Si doveva scrivere le parole giuste per tenere sollevato il cielo, scriverne tante che la massa verbale letta a bassa voce come un mantra tibetano servisse a impedire che cadesse. La musica delle parole lette avrebbe sollevato energia e avrebbe fermato il cielo.
Il cielo incombente con le sue nuvole tirate e pesanti, come un deposito di lamiere ossidate che gravavano sull’atmosfera molto umida ed impedivano ai gas e ai fumi di frantumarsi, disperdersi nella vastità dello spazio celeste.
Le parole elastiche e resistenti, stratificate sulla natura a proteggere e a fermare il cielo. Abbiamo incominciato a disporle in forma di colonna per sorreggere il cielo.
Poi abbiamo ammassato libri e fogli e giornali alla base delle colonne per alimentarle di parole, per raggiungere la massa critica e spostare il cielo verso l’alto.
Quando è scesa la notte anche le colonne sono crollate e le parole si sono frantumate come una grandine improvvisa che ha riempito i prati e i fossi.
Bruno Chiarlone Debenedetti