Piaggia, quel piccolo paese arroccato sulle pendici del monte, ha dato i natali al mio ceppo paterno, mi ha visto crescere e tutt’oggi resta la culla dei miei più cari ricordi. Per questo ogni volta che vedo chiudere per sempre una porta mi si stringe un po’ di più il cuore. L’ultimo saluto che ho dato è stato a Terenzio Toscano. Anche se in tutta sincerità, io così non l’ho mai chiamato.
Per noi bambini era il padrone della montagna. Quando partiva con la macchina ci salutava con la mano e mi faceva sentire speciale parlandomi in dialetto. Arveiru, mi diceva. Tutti gli altri, ignari del parlare brigasco, stavano ad aspettare spiegassi il saluto nello strano linguaggio. Così chiarivo che si trattava di un arrivederci perché andava a controllare che ogni cosa lassù fosse in ordine, che nessuno offendesse la natura rovinando i rododendri.
Quando ha saputo che mi sarei sposata proprio a Piaggia, si è venuto a congratulare e dandomi il permesso di raccogliere i suoi amati fiori scegliendoli tra quelli più belli, per addobbare la chiesa. Per anni è stato il mio vicino di casa, che salutavo dalla finestra quando usciva ad accudire il cane, quando passavo davanti al suo uscio e si univa a me per una passeggiata e una chiacchierata nel paese. Era un uomo estremamente gentile, aveva bei modi ed era un piacere parlare con lui di qualunque argomento. Forse perché da quando ero una studentessa magistrale per deformazione professionale si interessava ai miei studi, approfondendo metodi e programmi. Forse perché aveva sempre aneddoti interessanti sulla sua vita in Perù, sui campi di cotone, su come la realtà laggiù fosse diversa, talmente tanto da essergli rimasta addosso indelebile. Forse perché io sono sempre stata una persona curiosa, assetata di storie e lui amava raccontarmene.
Di Terenzio ricordo il sorriso timido, il passo affrettato, il cappello calato a proteggersi dal sole, la schiena curva a curare gli orti, lo sguardo vagare sulle sue montagne.
Negli ultimi tempi invece soffriva la situazione di abbandono del paese che via via si era trasformata nell’odierna esclusiva residenza vacanziera e guardava le finestre e le porte chiuse con estrema tristezza. La notizia della sua morte mi ha toccato profondamente. Dopo il disastro dell’alluvione è un altro triste ricordo che va a riempire il mio cuore, anche se so che è sempre e solo un Arveiru.
Nadia Bonaudi
Terenzio Toscano (19-10-1936 / 28-08-2017)
IL MIO RICORDO DALL’INFANZIA
Conoscevo Terenzio da quando era giovane studente e io fanciullo. In quegli anni, quassù, gli studi superiori non erano a portata di tutti e i pochi che potevano accedervi si distinguevano dagli altri non soltanto per ceto sociale e per cultura ma, in particolare, nei modi e nella raffinatezza. Ricordo che Terenzio frequentava la facoltà di ingegneria le cui materie esulano dalla matrice umanistica, tuttavia il suo modo gentile di rapportarsi non passava inosservato. Mio padre sosteneva che la sua mamma, maestra elementare deceduta a soli 44 anni, era dolce e signorile e che in Terenzio vedeva molta similitudine. Dopo gli studi, Terenzio si trasferì in Perù presso l’azienda di famiglia dove per diversi anni, con padre e fratello, svolse l’attività imprenditoriale.
In quel periodo i Piaggesi lo soprannominarono Terenzio l’americano (Terensiu r’amrican) ma, quando fece ritorno in patria e si dedicò all’insegnamento nella scuola media, quel distinguo gli fu contestualmente sostituito con (ër prufsùu), il professore. Alcuni suoi ex alunni di mia conoscenza lo ricordano con stima, anche quelli poco inclini alla matematica, materia che Terenzio insegnava. Ritiratosi in quiescenza, Terenzio tornò a Piaggia, il suo paese, quello a cui era legato indissolubilmente.
Qui potè dedicarsi alla gestione della proprietà di famiglia, l’intero versante del monte Saccarello che include la stazione sciistica di Monesi di Triora. Un enorme patrimonio naturalistico, forse unico in Liguria per estensione e per bellezza. In questo suo ultimo impegno, Terenzio dovette più volte confrontarsi con giudizi negativi nei suoi riguardi mossi da interessi legati alle sorti di Monesi e più in generale di un vasto comprensorio.
Nella mia personale opinione prevale il pensiero che gli rivolgo nella triste consapevolezza che un altro piaggese se n’è andato per sempre. Concludo questo breve ricordo di Terenzio con l’espressione di vicinanza e di cordoglio mio personale e di “A Vastera” a nome dei Brigaschi tutti: al fratello Enrico e a tutti quanti gli sono stati cari dimostrandogli un bene sincero.
Giancarlo Banaudi*
Brigasco verace, è stato funzionario della Banca d’Italia a Imperia e Savona