A quando la ‘giornata della memoria dei giornalisti precari a vita’ ? E quando i media nazionali, controllati da grandi e piccoli editori, daranno conto, meglio se con inchieste approfondite, iniziando dalla periferia, del dramma umano di decine di giovani e meno giovani che non sono nel mirino della mafia, ma della ingiustizia civile ? ‘Condannati’ a subire precarietà sine die, senza un contratto di lavoro dignitoso, tra CoCoCo, partite Iva, collaborazioni part – time, pagati a pezzo. A volte condannati dal giudice del lavoro alle spese di lite in favore dell’editore per ricorso respinto e causa persa. Con situazioni e condizioni occupazionali grottesche, che la stragrande maggioranza dei cittadini – lettori ignora perchè neppure gli ottimi ed illuminati servizi della Rai, della 7, delle Iene, di Striscia la Notizia, dedicano interesse, spazio, narrano storie di vita e di sfruttamento. Ci sono i social, ma non fanno visibilità mediatica.
Il nostro piccolissimo blog si era occupato di contenzioso quando l’editrice La Stampa (quotidiano storico e prestigioso della famiglia Agnelli, con edizioni e redazioni locali in Piemonte e Ponente ligure e che ha sempre ben pagato i suoi redattori e capi, ai quali concedeva anche l’uso di un’auto della ‘casa’) aveva dato il benservito ad Angelo Fresia, da dieci anni corrispondente per Albenga, Ceriale, il ponente savonese, entroterra incluso; stessa sorte per Gugliemo (Willy) Olivero, da 23 anni collaboratore sportivo, prima da Albenga poi dalla redazione di Savona; e Barbara Testa, a sua volta, per alcuni anni corrispondente da Alassio, Laigueglia, Villanova, Garlenda. I tre giornalisti pubblicisti avevano chiesto, in vista della fusione tra La Stampa ed Il Secolo XIX e temendo di finire nel tritatutto della razionalizzazione, di essere finalmente regolarizzati con un contratto. Chiedevano quantomeno una prospettiva nero su bianco. Risposta a tamburo battente: non abbiamo più bisogno di voi.
Olivero, laurea in giurisprudenza, abitante ad Albenga con gli anziani genitori, figlio unico, si è rivolto per primo alla giustizia del Lavoro, assistito dagli avvocati Carla Zanelli e Claudio Pesce di Savona; gli stessi legali hanno successivamente presentato ricorso per Angelo Fresia, residenza a Ceriale, famiglia di imprenditori edili nell’ambito provinciale. Fresia con una scelta di vita davvero controcorrente per un giovane rampollo, dopo essere stato messo alla porta dall’editore. Gestisce, con ammirevole spirito di sacrificio e dedizione, con successo, come del resto era solito fare da giornalista corrispondente, una piccola piadineria sulla via Aurelia, località San Rocco. Orari no stop da mezzogiorno a notte inoltrata, in estate soprattutto. C’è da aggiungere che entrambi avevano deciso di consultare in primis l’avvocato savonese Cristina Rossello, luminare del foro milanese, in ottimi rapporti con Galliani, Mediobanca ( “…da Cuccia a Forza Italia – titolavano i quotidiani nazionali – ora neo eletta in Parlamento….”), che pare avesse dato buone chance, consigliando studio dei colleghi di Savona.
Non è qui il caso di addentrarci nelle decisioni del giudice Alessandra Coccoli, in precedenza ricopriva il ruolo di sostituto procuratore (pubblico ministero) della Repubblica del tribunale di Savona. Non vogliamo parlare di preparazione giuridica della ‘materia del lavoro’, in particolare dell’editoria e dei giornalisti. Forse è solo il caso di accennare al fatto che l’Italiana Editrice Spa era rappresentata dall’avvocato Alberto Delfino (e dal collega Riccardo Prete) che non sono certamente a digiuno di contenziosi in materia giornalistica ed editoriale. Al di là, dunque, dell’aspetto giudiziario, traspare un ‘risvolto etico’. Dopo aver lavorato anni per un quotidiano e senza svolgere altre attività, né beneficiare di altri introiti da lavoro o professionali, ci si ritrova dall’oggi al domani ‘espulsi’ dal giornale che hai servito, amato, ora gioito, ora sofferto. Sempre speranzosi. Senza diritti contrattuali e neppre riconoscimento in termini di ‘danno economico’.
Quasi tutti i giornalisti anziani hanno alle spalle una gavetta, più o meno lunga, più o meno adeguata alla mansione svolta, senza orari e dopo le edizioni del lunedì senza badare ai festivi (per chi non è contrattualizzato). L’esordio con l’onore della firma, sentirsi importanti, il moltiplicarsi di informatori, rapporti con autorità, politici, pubblici amministratori, rappresentanti di categorie, enti, società sportive, sempre disponibili al telefono, ad incontrarti. Il giro di telefonate di cronaca o di risultati delle partite, delle gare. Una ‘no stop’ che accomuna tante esperienze di giornalisti professionisti e pubblicisti, di aspiranti magari delusi.
LA SORTE DI FRESIA – All’udienza del 5 aprile scorso, nella causa di lavoro n.352 /2015, in attesa del deposito della motivazione, il dispositivo di sentenza recita: “...respinge il ricorso proposto da Angelo Fresia, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della convenuta Italia Editrice Spa, che liquida in 3.500 €, oltre rimborso forfettario del 15 %, Iva e Cpa”. A quanto pare, Fresia non è disposto a ‘porgere l’altra guancia’, deciso a ricorrere in appello e se il caso in Cassazione. E’ infatti la Suprema Corte a ‘fare giurisprudenza’ a cui dovrebbero adeguarsi i giudici di merito. Ebbene, ci sono diversi precedenti abbastanza analoghi a quelli trattati a Savona e che hanno visto ‘riconoscere i diritti’ di lavoro subordinato in aziende editoriali. Aspetti, dicono Fresia e Olivero, che sarebbero stati sottoposti al giudice Coccoli che però non ha ritenuto di farli propri. Il giudice, pare di capire, non ritiene che pur lavorando per un giornale da mattino a sera, dovendo seguire e scrivere la cronaca bianca e nera, oppure quella sportiva quotidiana, per 360 giorni l’anno, per dieci, vent’anni, senza ferie, giorno di riposo, senza guadagnare una lira in caso di malattia, men che meno con le ferie, ci siano i presupposti di un inquadramento contrattuale giornalistico. O forse a noi, ormai vecchia cronisti in pensione, con qualche esperienza diretta, sfuggono tra le pieghe della giurisprudenza. Insomma siamo noi a sbagliare e le sentenze vanno rispettate.
L’ITER PROCESSUALE – Durante le testimonianze dei testi citati sarebbe emerso uno spaccato (della ‘categoria giornalistica)’ piuttosto curioso. Se alcuni hanno confermato la continuità temporale delle prestazioni, l’orario che iniziava di primo mattino e terminava alla sera, il coordinamento con il capo servizio di settore o il capo redazione, l’assetto organizzativo (tutti aspetti che ben conoscono ed hanno vissuto chi ha esercitato il lavoro di redazione); insomma, il classico dipendente. In qualsiasi altra attività non sarebbe difficile accertare la subordinazione, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo contrattuale, da Stato di diritto. Ma nell’editoria è tutto più difficile, complicato anche da dimostrare. E se il capo della redazione, come nel caso Fresia – Olivero, vale a dire Paride Pasquino, smonta tutti i dati di fatto e le certezze ?, testimoniando che i colleghi non avevano impegni precisi da rispettare, liberi di scegliere gli orari, gli argomenti da trattare, non erano punti di riferimento da una parte per le pagine sportive, dall’altra per la cronaca bianca, nera o rosa, i servizi di corrispondenza.
Chissà come reagiranno alle sentenze, coloro che quotidianamente hanno avuto a che fare con i due giornalisti, tre in causa ? Saranno animati da spirito di solidarietà, oppure meglio lavarsene le mani (e la coscienza) perchè tutto sommato corrispondenti e collaboratori fissi passano, i giornali ed i loro editori fortunatamente restano: anche se non mancano le eccezioni, i dissesti, gli stati di crisi anche ripetuti, le ‘cure dimagranti’ in seguito al crollo di pubblicità e di vendite in edicola. E che dire del dramma personale, a volte famigliare, in cui si finisce dopo la ‘cacciata’? Le conseguenze sul piano psicologico e della salute ? Un trauma difficile da guarire. Oltre al carico delle spese legali da rifondere agli avvocati quale onorario e magari dover ricorrere, speranzosi, a giuslavoristi quotati in campo nazionale, specializzati in cause di lavoro giornalistico.
E perché non si sono offerti a testimoniare quei colleghi, oggi in dignitosa pensione, che hanno lavorato fianco e fianco con gli ‘espulsi’ ? E con quale stato d’animo leggere e sapere che ci sono bidelli, ex comandante dei vigili del fuoco, colleghi, pagati a notizia, che suppliscono a quel lavoro che i ‘dimissionati’ svolgevano con serietà, impegno, dedizione e malpagati ? E che dire di quella riunione in cui avevano partecipato oltre una decina di collaboratori e corrispondenti, ma alla fine solo in quattro (una del cuneese, Monica Coviello, che in fase giudiziale ha ottenuto un risarcimento nella causa davanti al tribunale di Cuneo) hanno deciso di ricorrere alla giustizia che può trasformarsi in ingiustizia ad opera di giudici o per ‘colpa’ della strategia difensiva ?
Willy Olivero si sfoga: “Il precariato non può durare una vita, io di fronte alla certezza di un contratto sarei stato disposto a rinunciare alle pretese monetarie arretrate; ho 56 anni, 23 dei quali trascorsi a La Stampa, la mia prospettiva ora è la pensione sociale. Rispetto la sentenza, ma la contesto in fatto ed in diritto. Non si è tenuto conto di quelle testimonianze che confermavano che arrivavo in redazione al mattino e uscivo alla sera, in treno da Albenga a Savona e ritorno. Non si è tenuto conto della mole di lavoro che quotidianamente producevo, arrivando anche a compensi massini di 2400 € mensili, che curavo pure le pagine pubblicitarie redazionali della Publikompass S.p.a come hanno confermato i testi Gianni Bianchi e Roberto Albarello. Per contro le testimonianze del capo redazione Pasquino, del caposervizio Roberto Baglietto e Stefano Pezzini. Del primo si è già detto, il secondo ha sostenuto che non partecipavo a riunioni di redazione, non avevo alcun obbligo di orari…eppure mi chiamava a tutte le ore, è capitato persino quando ero malato le pochissime volte, di domenica, oppure essere sollecitato a seguire questa o quella partita sul campo, ad occuparmi di quasi tutte le discipline sportive della provincia. Pezzini ha confermato che non avevo vincoli, non producevo granché, andavo al giornale quando volevo, ma ha aggiunto che senza di me lo sport non sarebbe uscito…Forse non dovrei dirlo, non mi è mai piaciuta la retorica, con genitori anziani e malati, alla fine con i miei legali abbiamo proposto la rinuncia ad ogni pretesa economica, sia riconosciuto almeno un contratto ragionevole per il futuro. Risposta: “ Proposta irricevibile”. E in precedenza mi era stato detto che non avrebbero preteso i 5 mila euro di spese di lite, se non ricorrevo in appello; ho fatto due cause, una per il reintegro, l’altra per la parte economica. Durante le udienze aveva avvertito il clima, con domande ai nostri testi non ammesse, con i nostri legali in difficoltà al cospetto del magistrato, insomma un clima premonitore “.
Olivero che ha trascorso la maggioranza degli anni con il capo redazione, poi capo redattore Sandro Chiaramonti. Il giornalista più popolare e riverito della provincia e che aveva iniziato con lo sport minore da Varazze. Perchè non citarlo a teste ? Mentre ha testimoniato Dario Corradino nella veste di capo redazione solo per un paio d’anni ( dopo il pensionamento di Chiaramonti), da ultimo web editor ? Olivero: ” Sandro mi ha fatto un discorso strano, del tipo ‘vengo non so però cosa posso rispondere di fronte a certe domande del giudice…sono una mina vagante….‘ Forse riteneva che non avevo maturato alcun diritto… e dovevo accettare la sfortunata sorte”
Olivero parte lancia in resta contro quei quotidiani che pubblicano inchieste ed approfondimenti sul precariato quando “sono tra gli artefici dello sfruttamento di figure come i collaboratori che non hanno, come nel mio caso, alcuna dignità e magari sono trattati alla stregua di un albanese o romeno di un call center. Vorrei battermi per dare risonanza a quanto mi è accaduto anche se non avrò, dalla mia parte, molta considerazione mediatica. Fino ad oggi direi che hanno svolto il loro ruolo – dovere di informare sul mio caso, trucioli.it a cui è seguito un lancio dell’articolo da parte del blog nazionale di Franco Abruzzo, pubblicista lombardo impegnato in tante battaglie di giustizia e legalità nel mondo dell’editoria, delle legislazione parlamentare in materia penale. Ha scritto il blog NiNiN del collega Mario Molinari. Ha titolato il giornale on line ‘Senza Bavaglio’. C’è stato un intervento su Facebook dell’ex presidente dell’Associazione Ligure (sindacato unitario), Marcello Zinola; ad un’udienza ha assistito il segretario storico dell’Ordine Ligure dei Giornalisti e dell’Associazione, Pietro Tubino che ha convenuto sulle mie ragioni; parecchi gli interventi sui web, qualche decina di ‘ mi piace’, ma con le pacche sulle spalle non si risolve nulla, si resta con le pezze al sedere”.
Da gennaio si è concretizzato il colosso leader dell’editoria italiana con la fusione tra Il Secolo XIX, La Stampa, l’editoriale l’Espresso proprietaria de la Repubblica e una dozzina di testate locali con Gedi Spa. “Un atto di fiducia nel Paese” ha dichiarato Johon Elkann il giorno della firma dell’accordo con il Gruppo De Benedetti. Entro metà maggio si preannuncia per La Stampa, nuova grafica sulla scia di Repubblica, con meno pagine locali, tre articoli a pagina, di conseguenza minore necessità di lavoro giornalistico. Forse un po’ di ossigeno e speranza di risuscitare, come merita e accadeva nel lontano passato, per la cronaca e le pagine locali del Decimonono che quanto a copie vendute è quello che ha sofferto di più e che la sua gloriosa storia non meriterebbe. E dopo tre ‘stato di crisi’, con massicci sfoltimenti di tipografi, redattori e impiegati. Ma anche ricorso ai benefici di legge, come i prepensionamenti e contributi per l’editoria.
Luciano Corrado