Dietro l’angolo della Costa Azzurra, sul mare della Riviera dei Fiori, c’è un bellissimo giardino; dietro a questo giardino, là dove lo sguardo riesce a spingersi oltre le prime colline, c’è una valle ancora nascosta, che si insinua verde e selvaggia fino a raggiungere le vette delle montagne. Questa valle racchiude un tesoro: una ricchezza che non riempie le tasche ma l’anima; fatta non di ori o di denari ma di colori, di suoni, di profumi e di sapori. Uno scrigno a portata di mano, che tutti possono trovare e schiudere per ammirarne l’incanto.
La valle in realtà ha due nomi, Impero prima e Arroscia poi; e due volti, uno più dolce e tinto del verde argentato degli ulivi, l’altro più severo e scuro, dominato dal fascino imponente dei castagni secolari. La via antica per attraversare questo spazio, che è anche tempo, si chiamava Marenca, perché univa la montagna al mare; la via moderna si chiama Strada Statale 28 (il suo primo tracciato è stato voluto da Napoleone), ma anch’essa continua a unire la costa all’entroterra, e viceversa: uno scambio di uomini e culture che perdura intatto da secoli, che ad ogni generazione dà qualcosa e qualcos’altro prende.
Il viaggio di esplorazione e scoperta parte da Imperia Oneglia, ceduta dai Doria ai Savoia nel 1576 come principale sbocco sul mare dei Piemontesi, e si inoltra dapprima fra le morbide colline e i paesi della Valle Impero, ancora mediterranei, dove i colori tipicamente liguri sono padroni di casa.
Oltrepassato il Colle San Bartolomeo, che prima della recente galleria si percorreva in quota attraversando il piccolo borgo di Cesio (ma ancora oggi la strada è perfettamente praticabile, avventuratevi!), ecco un altro mondo: siamo nella curva del torrente Arroscia, dove il corso d’acqua si volge a sud-est per gettarsi nella Piana di Albenga. Non più entroterra marino, ma montano, con tutte le conseguenze naturali, culturali e storiche: il cambio paesaggistico è notevole soprattutto in autunno e in inverno, quando dal sempre immutato olivo si passa ai rossi accesi e ai gialli brillanti delle caducifoglie, oppure al bruno a volte quasi spettrale dei rami spogli in attesa della rinascita primaverile. Anche il clima e le temperature ricordano il volgere delle stagioni: aria di mare, tiepida e ancora salmastra in Impero, brezza di montagna e cime spruzzate di neve in Arroscia.
Il primo paese che si incontra nella risalita è Pieve di Teco: maestoso centro di valle, fondato nel 1233 per volontà dei villaggi limitrofi come presidio strategico genovese, esibisce ancora questa sua antica importanza nella fierezza degli abitanti e nell’orgoglio che sprigiona dalle architetture.
Nel centro storico, fra piazzette e carruggi, passato e presente si stringono la mano sotto i portici quattrocenteschi che odorano di pietra umida, dove negozi e botteghe ammiccano dalle vetrine, nei portali scolpiti dei palazzi storici, sui ponti in pietra che aprono la via della campagna. Qui l’arte nascosta è comune denominatore: il turista curioso si trova a fare i conti con la teoria del Gotico, del Barocco e del Neoclassico, messa in pratica dalle maestranze locali nei capolavori di Madonna della Ripa (1370), San Giovanni Battista (oratorio, XVI-XVIII secolo) e dell’imponente Collegiata, firmata nel XVIII secolo da Gaetano Cantoni, autore del Duomo di Imperia Porto Maurizio. Non manca neppure il contemporaneo, che si mostra superbo ma sempre a recupero della tradizione nelle Maschere di Ubaga, memoria un po’ surreale di quel mondo ligure preromano che oggi non è più. Prima di andarcene ricordiamo di mettere in agenda almeno un appuntamento della stagione al Salvini, teatro fra i più piccoli al mondo e bomboniera della Provincia, oltre ad una folkloristica recherche al mercatino dell’antiquariato (ultima domenica di ogni mese). E perché il nostro palato si faccia rassicurare dai sapori più tipicamente liguri, scegliete la Trattoria “Del Borgo Antico” o “Il Portico”, che offrono specialità secondo tradizione, accompagnate da un’ampia scelta di vini; non preoccupatevi di indugiare troppo fra cibo e monumenti: l’Albergo “Dell’Angelo” è a vostra disposizione, buon custode (di nome e di fatto) del vostro riposo.
Alla ripresa del viaggio sulla Statale 28 abbandoniamo per un po’ la direttrice principale e, a circa 2 km dopo Pieve di Teco, svoltiamo a sinistra in direzione di Montegrosso Pian Latte–Mendatica. Seguiamo il corso dell’Arroscia per arrivare alle pendici della sua sorgente: il Monte Frontè, regno di castagneti, pastorizia, erbe aromatiche e Cucina Bianca. Un nome curioso, ma evocativo dei sapori di un’intera cultura territoriale, di quel popolo brigasco che prima dell’ultima guerra parlava una stessa lingua, viveva (e cucinava) nello stesso modo. Oggi tre territori (Alpi Liguri, Alpi Marittime piemontesi e francesi) hanno nel loro passato i medesimi ricordi: il bianco è quello del latte, del burro e dei formaggi di malga, della farina e delle castagne, delle patate d’alta quota che si sposano con aglio, cavoli e porri profumati. Prodotti di transumanza e agricoltura, che le donne combinavano con l’ingegno e la fame per ottenere pasti nutrienti e gustosi: qui li chiamano agliè, minietti, streppa e caccia là, sugeli, raviole, turle, turtelli e ogni Comune ha ancora la propria ricetta tipica, che gelosamente conserva come per aggrapparsi alla fune un po’ sfilacciata di un tempo che aveva poco, ma dava molto. Per tradurre il dialetto in vero gusto è sufficiente trovare il tempo di venire di persona qui, dove i migliori ristoranti e agriturismi ripropongono tutto l’anno alcuni fra i piatti più classici della Cucina Bianca: l’Osteria “Il Rododendro” e l’Agriturismo “Cioi Longhi” a Montegrosso Pian Latte, l’Agriturismo “Il Castagno” e l’Albergo “Da Settimia” a Mendatica sono fra le eccellenze del territorio in materia di gastronomia.
Se poi il pasto vi ha lasciato soddisfatti e desiderate acquistare, ecco a disposizione per voi le numerose aziende a conduzione familiare: il miele del Colle di Nava, dei Fratelli Bonello di Montegrosso e dei Gastaldi di Cosio d’Arroscia, l’aglio di Vessalico della famiglia Floccia-Ferrari e le patate di montagna dell’azienda “Bacì du Mattu” di Mendatica, i formaggi all’agriturismo di Mendatica e presso i caseifici di Cosio d’Arroscia (Favero e Azienda “Ciapparin”), il vino Ormeasco DOC su tutto il territorio di Pornassio (cantine Ramò, Guglierame, Case Rosse) e a Pieve di Teco (Cascina Nirasca, Infantino). Volete un’esperienza davvero a 360 gradi? Allora procuratevi il volume “Il Bianco della Cenere” scritto a più mani e pubblicato dalla comunità di Mendatica, con la raccolta completa delle ricette e dei ricordi legati a questa secolare tradizione; oppure a Mendatica venite di persona il penultimo sabato di agosto per la grande Festa della Cucina Bianca, dove le famiglie del paese e del territorio vi accolgono ad ogni edizione con un percorso itinerante di gusti e profumi autentici.
Continuiamo a seguire la deviazione della Statale 28, la Provinciale n° 3 che dopo alcuni chilometri ci invita a seguire la freccia per Montegrosso Pian Latte. Un vero nomen omen: il borgo è nato su antichi terreni di pascolo e ancora oggi in località Pian Latte sorgono una malga e un rifugio gestito dal Comune. Parcheggiate all’inizio del paese e fatevi avvolgere dalla pietra: il centro storico è un inno all’architettura rurale e montana, si passeggia fra scalinate, archivolti, portali e abitazioni rustiche. Silenzio, aria pulita e vita lenta per il ristoro dello spirito. Se avete fame di cultura fate una sosta alla Chiesa barocca di San Biagio o al Museo della Castagna, da sempre vera vocazione del luogo; se preferite la natura inoltratevi in paese fino alla cima e seguite le indicazioni sentieristiche per una sana camminata nel bosco. Il mese di ottobre è particolarmente indicato per ammirare il foliage dai mille colori, senza dimenticare la tradizionale Festa della Castagna; una curiosità: nel 1477 circa 30 famiglie di Montegrosso emigrarono per ripopolare il borgo francese di Pontevès, e anche in questo caso la storia ritorna (oggi i due Comuni sono gemellati). Se desiderate fermarvi per la notte, l’Agriturismo “Cioi Longhi” e l’Osteria “Il Rododendro” possono offrire interessanti soluzioni.
Riprendete l’auto per tornare sulla Provinciale e proseguite in direzione di Mendatica: l’antico mulino restaurato alcuni anni fa vi saluta un paio di chilometri prima del paese offrendovi la chiave di lettura del suo territorio, l’acqua. Qui siamo sulla ‘torre’ della valle e sempre qui, a poco meno di un’ora di cammino, il grandioso salto delle Cascate dell’Arroscia è la principale attrazione naturalistica (raggiungibile su sentiero segnalato). Il nucleo abitato si avvolge attorno all’ombra della Parrocchiale dei Santi Nazario e Celso, gioiello barocco di Domenico Belmonte (abituatevi subito: in Valle Arroscia l’interno di ogni edificio religioso è una sorpresa tale da far spalancare gli occhi) che conserva l’altare in pietra della matrice romanica oltre ad una Madonna processionale in legno dello scultore Anton Maria Maragliano. La via dei colori e della fede a ritroso nel tempo è soltanto iniziata: a ovest del borgo, in posizione isolata ma dominante lungo il sentiero per le cascate, la Chiesa di Santa Margherita se ne sta umilmente fiera a ricordarci non tanto la religione ufficiale quanto piuttosto il credo intimo di pastori e contadini. Margherita d’Antiochia è la santa protettrice del parto, e una simile dedica (che qui ha vinto persino quella alla Vergine Maria) la dice lunga sul vivere di tanti anni fa. Spalancato il portone laterale della muratura esterna, quasi dimessa, la vista si stupisce una seconda volta, ora perché ha davanti un’intera parete affrescata con scene della Passione di Cristo, attribuite a Pietro Guido da Ranzo, artista locale attivissimo nella zona nel XVI secolo. Si torna al Medioevo, con le tinte a colori pastello e la linearità del disegno privo di prospettiva, ancor più affascinante se si pensa che altrove nello stesso periodo già si respirava aria di Manierismo post-rinascimentale.
A ovest dell’abitato, quasi dirimpetto a Santa Margherita, troneggia il Santuario della Madonna dei Colombi, tuttora luogo di pellegrinaggio per la popolazione ma anche invidiabile punto panoramico e di sosta. Proprio in linea con la via principale del centro storico le piccole cappelle fanno sempre riferimento alla religiosità popolare (e più amata) con San Rocco, San Sebastiano, San Salvatore e Santa Caterina.
Ma torniamo alla vita di tutti i giorni e addentriamoci nel piccolo portico dietro la piazza, sotto il quale troviamo la Casa del Pastore: una ricostruzione di dimora a due piani tipica delle malghe, storico luogo di soggiorno durante la transumanza estiva. I ‘mendaighini’ hanno messo a disposizione i ricordi di una vita per questa collezione di mobili e oggetti immersi nella patina del tempo, con la stalla al pianterreno, il focolare e la camera da letto al primo piano. Bambini e ragazzi visitatori non vogliono credere che quella fosse la vita normale su queste montagne ancora cinquant’anni fa. Camminando fra aie e puntji troverete lavatoi, un vecchio torchio e persino il locale delle antiche prigioni.
Ma con l’antico convive sempre il moderno, e oggi Mendatica è anche attiva località di turismo montano: il suo centro escursionistico organizza uscite con le racchette da neve in inverno e camminate in estate (non perdete il Grande Trekking delle Alpi Liguri il primo weekend di agosto), mentre Comune e Pro Loco gestiscono un Parco Avventura con 6 percorsi sospesi e il Rifugio Ca’ da Cardella, in un edificio in pietra ristrutturato e arredato con gusto e cura dei dettagli. Qualche altra idea di intrattenimento? La Festa dell’Arte e della Cultura di Montagna a luglio, la Cucina Bianca ad agosto, la Festa della Transumanza con il Palio delle Capre a settembre. Certo, perché Mendatica rimane comunque la terra dei pastori e della pecora brigasca, che oggi fornisce latte per una toma presidio Slow Food ma presta anche il profilo nei loghi del Parco Avventura e delle ceramiche prodotte a mano nel locale laboratorio di ceramica.
D’inverno la tradizione si fa ancora più sentire nella magia del Natale la notte di Vigilia (arrivano i pastori ad adorare il Bambin Gesù), mentre a gennaio si sale tutti a Monesi per la grande ciaspolata del primo plenilunio dell’anno (appuntamento 2015: sabato 3). Anche a Mendatica l’ospitalità per la notte non manca: agriturismo e rifugio hanno senz’altro lo stile ideale per restare in tema. Vale ora la pena allungare un po’ il giro per fare una puntata nella “Piccola Svizzera della Liguria”, Monesi appunto, che negli anni ’50 e ’60 era stazione sciistica all’avanguardia, frequentata dal jet set dell’epoca, e ora si è rimessa in pista con una nuova seggiovia, una Scuola Sci ed esercenti desiderosi di rilancio (provate la cucina del Ristorante “La Vecchia Partenza”).
Prossima tappa sulla Provinciale è Cosio d’Arroscia, che nei documenti rievoca la presenza dei Romani (fate attenzione in paese alle targhe con i toponimi in latino) e poi ci folgora per l’ennesima volta con anfratti scuri di carruggi, vicoli lastricati, piazzette e meridiane, pietra a vista. Cosio è l’impronta rediviva del castrum divenuto borgo medievale, e non è un caso che oggi vi si celebri il “Carnevale delle Sentenze”, con lettura su pubblica piazza di vicende curiose o frasi ironiche e taglienti. Nell’esplorazione del centro storico fermatevi al Museo delle Erbe, efficace dimostrazione della biodiversità vegetale del territorio comunale, esteso dai 300 ai 1800 metri sul livello del mare e dunque ricchissimo di fiori, piante aromatiche ed officinali (la Lavanda Coldinava è stato uno dei principali marchi del settore). Curiosate un po’ fra le specie esposte in bacheca, ammirate l’antico apparecchio per la distillazione e poi spingetevi sino alla piazza principale in fondo al paese per entrare nella Parrocchiale di San Pietro, risalente al XVII secolo. Più a valle del centro abitato, ecco infine un altro gioiello d’arte: la Chiesa di San Pietro del Fossato, con affreschi del XV secolo e una vista sulla Valle Arroscia che nelle giornate di sole accoppia il blu del cielo con il verde brillante della vegetazione. Non dimenticate di ritornare per l’annuale Festa delle Erbe (terza domenica di luglio).
Sulla strada di Cosio oltrepassiamo il paese per ricollegarci alla nostra Statale 28 e concludere la risalita sino al Colle di Nava, nel Comune di Pornassio. Qui, a 900 metri, termina la Provincia di Imperia e si fa sentire il confine con il Piemonte (in inverno si registrano le temperature più basse della zona), ma anche l’antica importanza strategica: cinque forti militari (Centrale, Montescio, Richermo, Pozzanghi, Bellarasco) edificati alla fine del XIX secolo sono disposti a stella attorno alla sommità del colle; il Centrale è visitabile all’interno e di ricordi ne ha talmente tanti che gli manca soltanto la parola. Poco oltre il Colle, la Rocca Ferraira (cava di pregiato marmo rosa) e i ruderi dell’hospitale di San Raffaele, che fa affiorare addirittura il nome dei Cavalieri di Malta. L’ultima notte del soggiorno può essere dedicata all’Albergo “Lorenzina”, che per dimensioni e servizi concorre senza fatica con i grandi hotel della costa.
Sarebbe giunto il momento di tornare a casa, tuttavia sulla strada del ritorno fermiamoci ancora in Località Villa di Pornassio (deviazione sulla Statale 28): sostiamo all’esterno del Castello, ora trasformato in abitazione e cantina dalla famiglia Guglierame, poi scendiamo verso la Parrocchiale di San Dalmazzo con il campanile romanico, il portale in pietra, la lunetta e il polittico attribuiti a Giovanni Canavesio.
Ora possiamo veramente ridiscendere al mare, sicuri di aver goduto appieno dei colori, dei suoni, dei profumi e dei sapori di una valle che i suoi produttori hanno chiamato, a ragione, Slow: siamo arrivati anche alle porte di un Parco Naturale, quello delle Alpi Liguri, che assieme agli altri due ‘colleghi’ Marguareis e Mercantour è candidato a divenire uno dei siti Patrimonio dell’umanità UNESCO.
Siete stati convinti a sufficienza? Noi vi aspettiamo.
Daniela Girardengo*
*Responsabile centro accoglienza turistica presso Parco Alpi Liguri