L’introduzione è di Germano Barbano, ex presidente del ‘Golfo dell’isola’, sindaco di Vezzi Portio. Una fauna ed una flora molto speciale e specifica. Due aree Sic (Siti di importanza Comunitaria) del Finalese e Capo Noli, l’Isola di Bergeggi e Punta Predani. Stupiscono le bellezze e le meraviglie da iscrivere alle Giornate del Fai. Una storia che risale a 25 milioni di anni fa, sull’Altipiano delle Manie esisteva un golfo separato dal mare, aperto da una soglia e le acque possono essere assimilate ad una zona caraibica: Acque tranquille, calde, limpide che pullulavano di vita. Successivamente questo fondo marino è stato sollevato di quasi 400 metri di quota mantenendo intatto il suo stato originario di giacitura, formando un altipiano debolmente inclinato verso Sud.
“Il Golfo dell’Isola è l’opportunità concreta di sviluppo e promozione per il nostro territorio in questa comunione di intenti che lega le quattro amministrazioni comunali di Bergeggi, Noli, Spotorno e Vezzi Portio. L’unione è stata anticipatrice di strategie e necessità che oggi emergono anche a livello nazionale, ma che nel nostro caso non consistono in un semplice accorpamento per razionalizzare delle attività e ottimizzare l’utilizzo di risorse finanziarie sempre più scarse, ma riguardano un arricchimento reciproco di competenze professionali, azioni e volontà politiche comuni per la nostra collettività, guidate dalla passione e dall’amore per il nostro straordinario territorio, consci dei valori che abbiamo costruito nel tempo. Le valenze ambientali, storicoartistiche, culturali, turistiche di questo lembo di Liguria ci permettono di offrire a tutti i visitatori che decidono di passare una vacanza nel Golfo dell’Isola, una varietà di possibilità che pochi luoghi sono in grado di dare contemporaneamente, a partire dallo scenario della Riserva Marina dell’Isola di Bergeggi che si specchia nel blu, ai borghi costruiti pietra su pietra nel nostro verdissimo entroterra a pochi minuti di distanza. Ma non c’è solo questo. C’è il lavoro dell’uomo, le nostre attività al servizio del comparto turistico come quelle più tradizionali, dalla pesca all’agricoltura all’artigianato. Ci sono i tanti eventi culturali e di spettacolo, le opportunità di sport e di outdoor, una frontiera che stiamo percorrendo tutti insieme e che sta portando nel nostro Golfo dell’Isola appassionati da ogni parte del mondo, affascinati di poter svolgere le loro discipline sportive in uno scenario straordinario. C’è il nostro patrimonio storico-artistico, i nostri monumenti, le nostre chiese, le nostre tradizioni popolari, l’ancestrale cultura materiale della nostra gastronomia, tra le più sostenibili e compatibili con il territorio e le sue risorse, giusto per rimanere in tema Expo senza perderne di vista i veri valori.”
Germano Barbano, ex Presidente del Golfo dell’Isola Sindaco di Vezzi Portio
Quello che vogliamo oggi offrire, a chi ci legge, è una carrellata di specie [flora e fauna] remote che tutt’ora si sono conservate e che rappresentano un territorio le cui origini partano dall’aspetto finalese dal langhiano – serraviliano fino allo stato odierno. La zona interna è definibile come un altopiano piatto, che a nord delle Manie acquista una sua singolarità. Infatti, circa 25 milioni di anni fa, in questa area esisteva un golfo separato dal mare aperto da una soglia, forse coincidente con l’altopiano delle Manie e della Caprazoppa: le acque di questo golfo possono essere assimilate ad una attuale zona caraibica con acque tranquille, calde, limpide che pullulavano di vita. Con gli eventi successivi che hanno portato ad un ulteriore sollevamento della catena alpina, questo fondo marino è stato sollevato a quasi 400 metri di quota, mantenendo quasi intatto il suo stato originario di giacitura formando un altopiano debolmente inclinato verso sud: l’altopiano di Finale. Una volta esposto agli agenti atmosferici, l’altopiano è stato interessato subito da fenomeni di dissoluzione legati da un lato alla natura stessa della roccia, dall’altro al fatto che la roccia non è compatta, ma vacuolare e talora interessata da fratture generatesi durante le fasi di assestamento della catena alpina nel quaternario.
Oceano Ligure-Piemontese si intende un paleo-oceano che si trovava tra la placca euroasiatica e la placca adriatica e che, durante l’orogenesi alpina, è stato coinvolto nella subduzione. La sua esistenza si può dedurre dalle ofioliti che affiorano soprattutto nel dominio Pennidico. L’apertura dell’oceano Ligure-Piemontese risale al Giurassico; in questo periodo, infatti, inizia il lifting della Pangea. L’oceano si configura quindi come una porzione del più grande oceano della Tetide. La fase di apertura non durerà però molto; nel Cretaceo, con l’apertura dell’Oceano Atlantico Meridionale, termina la fase distensiva e l’Oceano Ligure-Piemontese inizia a subdurre sotto la placca africana: durante il Cretaceo superiore questo movimento porterà alla prima collisione tra la placca adriatica e quella europea. Durante il Paleocene e l’Eocene la subduzione prosegue, portando il micro continente brianzonese fino a circa 70 km di profondità. La subduzione termina durante il Miocene, con la definitiva chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese e l’orogenesi alpina. Una delle forme di protezione che potrebbe essere consona a conservare ed ad incrementarne la presenza degli endemici è appunto l’arresto della perdita degli habitat maggiormente minacciati. La Regione Liguria, in attuazione di due direttive della Comunità europea, ha localizzato, nell’ambito del territorio di propria competenza, un sistema di aree aventi un elevato valore per la biodiversità: sono i Siti di Importanza Comunitaria (SIC), individuati ai sensi della Direttiva “Habitat” 92/43, e le Zone di Protezione Speciali (ZPS), individuate ai sensi della Direttiva “Uccelli” 79/409; il loro insieme costituisce il contributo ligure alla “Rete Natura 2000” europea. I Siti d’Importanza Comunitaria proposti dalla Regione alla Comunità Europea sono 124, dei quali 26 interessano aree esclusivamente marine; complessivamente i SIC terrestri ricoprono una superficie di circa 130.000 ettari, i SIC marini circa 5.000 ettari; le ZPS sono invece 7, per un totale di circa 20.000 ettari, i cui territori si sovrappongono in parte a quelli di alcuni SIC terrestri. Obiettivo della Rete Natura 2000 è quello di garantire nel tempo la conservazione della biodiversità a livello comunitario, attraverso la tutela sia di habitat (Allegato I della Direttiva 92/43), sia di singole specie (Allegati II e IV della Direttiva 92/43, Allegato I della Direttiva 79/409); la direttiva “Habitat” attribuisce anche un interesse prioritario alla conservazione di alcuni habitat e di alcune specie; le specie prioritarie presenti in Liguria sono una farfalla, Euplagia quadripunctaria, ed una pianta, Campanula sabatia.
I SIC terrestri liguri interessano 14 zone di tipo alpino, 11 zone di tipo continentale e 73 zone di tipo mediterraneo, dati che evidenziano la notevole biodiversità del territorio regionale, connettivo tra regioni biogeografiche differenti: una cerniera tra Alpi ed Appennino, tra Mediterraneo e Pianura Padana. In provincia di Savona sono stati individuati 28 SIC terrestri e 7 SIC marini, ai quali si aggiunge parte di una ZPS situata tra le province di Genova e di Savona.
I SIC savonesi appartenenti alla regione biogeografica alpina sono 9 e coprono complessivamente 15.147 ettari, quelli appartenenti alla regione biogeografica mediterranea sono 16, per un totale di 32.507 ettari, infine quelli riconducibili alla regione biogeografica continentale sono 3 con 1.755 ettari. SIC “Finalese – Capo Noli” (IT 1323201) si estende per un’area di circa 2.800 ettari. Geologicamente, l’area presenta aspetti peculiari che la rendono unica. La costa è dominata da falesie, “vive” e “morte” (non più soggette all’azione delle onde), spiagge fossili cementate dall’azione dell’acqua calcarea (beach rocks), terrazzi marini che testimoniano antiche linee di riva, e grotte, come la spettacolare Grotta dei Falsari, generata dall’acqua dolce ma modellata dal mare.
Nell’entroterra, un sistema di altipiani carsici si sviluppa ad una quota di circa 300 metri, costituito da una roccia che esiste solo qui: la “Pietra di Finale”, un calcare bianco-rosato ricchissimo di fossili, nel quale si sono sviluppate morfologie carsiche come valli cieche, doline, grotte e caverne al cui interno si sono rinvenute testimonianze di un’antichissima presenza dell’uomo nel territorio. Una flora speciale e specifica La Pietra di Finale ha costituito un fattore di isolamento che ha favorito l’originar si di endemismi, come la campanula a foglie uguali (Campanula isophylla), che cresce solo nelle fessure di questa roccia ed è stata proposta per l’inserimento nelle liste della “Direttiva Habitat”. Sul calcare trovano spazio anche la campanula di Savona (Campanula sabatia), endemica della Liguria occidentale, il vilucchio di Capo Noli (Convolvulus sabatius), relitto paleomediterraneo raro allo stato spontaneo, e terreni erbosi che ospitano oltre venti specie di orchidee protette a livello internazionale e/o regionale. Al tre specie sono presenti con popolazioni isolate o al limite della propria distribuzione, come il fiordaliso ovoide (Leuzea conifera) e l’afillante (Aphyllanthes monspeliensis).
Campanula di Savona
Questa specie ha fiori formati da una corolla campanulata a cinque petali, di colore azzurro-violaceo chiaro, del diametro di 1- 2 cm. Il calice è fittamente ricoperto da un rivestimento di papille (piccole sporgenze dell’epidermide, molto ravvicinate e arrotondate all’apice). Il fusto, erbaceo, è alto 20, 30 cm e porta fiori isolati, all’apice di lunghi rami arcuati verso il basso. Le foglie basali, picciolate, hanno lamina ovale con alcuni denti acuti. Habitat: ambienti sassosi e ben soleggiati, dal livello del mare fino a circa 1000 metri di quota. Distribuzione: specie endemica ligure esclusiva, limitata alle provincie di Savona e Imperia. Protezione: specie a protezione totale ai sensi della Legge Regionale n. 9/84. Fioritura: tra maggio e giugno.
Euforbia arborea
Nel periodo invernale questa splendida pianta forma dei cuscini sferici di colore verde poiché le foglie sono presenti su di essa già a partire dall’autunno; all’inizio della primavera presentano un netto colore giallo, dovuto ai primi fiori che cominciano a sbocciare. All’inizio dell’estate l’Euforbia, prima di entrare in riposo vegetativo, comincia a perdere le foglie che prima di cadere si colorano di rosso. In estate sono degli arbusti privi di foglie e dall’aspetto scheletrico, ma perfettamente vitali e pronti a riprendere in pieno la propria attività ai primi sentori dell’autunno. La defoliazione estiva è un adattamento al clima. Le foglie contengono un lattice urticante che spesso viene utilizzato come acido per bruciare porri e verruche; la sua presenza all’interno dei tessuti rende l’Euforbia poco appetibile, proteggendola così dall’attacco degli erbivori, in particolare delle capre.
Villucchio di Capo Noli – Campanula a foglie uguali
È uno dei fiori liguri più pregiati dal punto di vista ornamentale e scientifico. Vive esclusivamente nelle fessure delle rocce calcaree e dei muri di pietra che caratterizzano un’area di pochissimi km quadrati compresa tra la Caprazoppa e Capo Noli, dal mare sino a circa 400 m. Fiori campanulati azzurri spiccano sulle rosette di foglie cuoriformi e seghettate e creano splendide macchie di colore sulle tonalità chiare del calcare. Fiorisce tra agosto e ottobre Questa Convolvulacea ha fusto strisciante, con fitti peli rivolti verso il basso. Le foglie, su piccioli di 1 cm, hanno lamina ellittica e le maggiori sono arrotondate. I fiori, con corolla azzurro-violacea e gialla sul fondo, sono riuniti in fascetti di 2 – 5. Fiorisce da aprile a giugno. Vive sulle rupi calcaree litoranee, su terreni aridi e sassosi, dal livello del mare fino ai 300 m di quota. Specie presente in poche località d’Italia, Marocco e Algeria, ma per la quale è difficile stabilire se si tratti di popolazioni indigene. In Liguria attualmente la pianta è nota allo stato spontaneo solo per Capo Noli e immediati dintorni; altrove è stata ampiamente impiegata nei giardini e sulle scarpate da dove è poi sfuggita. Ha significato di specie dell’antica flora mediterranea cenozoica.
Afillante
Pianta erbacea perenne, alta 20-30 cm, dal portamento cespuglioso. Dal breve rizoma basale si elevano numerose foglie giunchiformi, gracili, di colore verde glauco e avvolte alla base da guaine brunastre. I fiori sono portati a 1-3 per volta in fascetti apicali. I tepali (di circa 1,5 cm) sono di un delicato color azzurro pallido. Forma densi cespi, quando è fiorita è inconfondibile Fiorisce tra aprile e maggio Vive su prati aridi e garighe, dal livello del mare a 800 metri di altitudine. la specie, rara, in Italia è presente solo in Liguria occidentale e centrooccidentale (fino al confine tra le province di Savona e Genova) e in qualche località disgiunta del nord-ovest (dal Basso Piemonte al Bresciano) e della Sardegna nord-occidentale. È l’unica appartenente al genere monotipico Aphyllanthes, unico rappresentante nell’area mediterranea di un gruppo sistematico di piante tipiche della flora australiana.
Fiordaliso Ovoide (Leuzea Conifera)
La Leuzea conifera è una specie tipica della regione mediterranea occidentale. In Italia si rinviene nel Piemonte meridionale, nella Liguria occidentale (da Capo Noli al confine francese), in Toscana, Sicilia e Sardegna. Nella nostra regione cresce dal livello del mare fino a circa 1000 metri di quota, in seno a praterie collinari e submontane, assolate, aride e pietrose, dove fiorisce nei mesi di giugno e luglio.
Poche piante hanno un aspetto inconsueto come il fiordaliso ovoide: un fusticino bianco per una fitta copertura di peli, foglie sottili ed elegantemente incise, verdastre di sopra, bianco-lanose sulla pagina inferiore, un capolino grosso ma slanciato, che ricorda nell’aspetto una curiosa pigna di colore chiaro. La rarità in Liguria, il significato di specie dell’antica flora mediterranea cenozoica, la foggia inusuale e la diffusione lungo tratti di Riviera molto alterati dall’uomo, giustificano una protezione totale.
Sopra le rupi e dentro le grotte Nell’area abbondano gli ambienti rupestri, che ospitano comunità vegetali casmofitiche (cioè adattate a vivere nelle fessure delle rocce) e sono siti idonei alla nidifi cazione del falco pellegrino (Falco peregrinus) e del gufo reale (Bubo bubo): la presenza di questi uccelli è il motivo del divieto di arrampicata sportiva su alcune pareti di roccia; sono comunque una novantina le specie di uccelli presenti e tutelate da norme internazionali. Nelle oltre 150 grotte vivono diverse specie di invertebrati di rilievo, molti dei quali sono endemici, come gli aracnidi Histopona paleolithica, Chthonius concii e C. gestroi, endemismi puntiformi; sono inoltre presenti diverse specie di pipistrelli ed il geotritone (Speleomantes strinatii). Animali al limite Il SIC rappresenta l’area di presenza meglio conservata di alcune specie che si trovano in Liguria al limite orientale della propria distribuzione. Tra i rettili e gli anfibi, la lucertola ocellata (Timon lepidus) ed il pelodite punteggiato (Pelodytes punctatus) sono anche specie rare ed assenti dal resto d’Italia, proposte per l’inserimento nelle liste della “Direttiva Habitat”.
Gufo reale
Raggiunge una lunghezza di 70 cm ed un’apertura alare di 190. Ha grandi occhi giallo-oro racchiusi in un disco facciale incompleto; il piumaggio è fulvo, più scuro sul dorso, macchiettato e striato di bruno. Caratteristica tipica del gufo reale sono i due ciuffi erettili sopra gli orecchi, Diventa sedentario in età adulta, mentre è erratico negli inverni o in giovane età. È il rapace notturno più grande d’Europa. Diffusione: è presente, anche se non molto frequente, in quasi tutta l’Europa, nell’Africa settentrionale ed in gran parte dell’Asia. In Italia è diffuso ovunque, tranne che in Sardegna, e si valuta la sua presenza tra le e 100 e le 200 coppie nidificanti.
Habitat: preferisce le regioni montuose perché vi trova i nascondigli a lui più consoni. Nelle pianure la sua presenza è limitata alle grandi foreste, in particolare in boschi con scarpate rocciose. Alcuni esemplari si soffermano nelle vicinanze di centri abitati. Biologia: il gufo reale nidifica nei primi mesi dell’anno, in genere tra marzo e aprile, collocando il nido nei fori delle rocce, in vecchi edifici, nel cavo degli alberi o tra i cespugli. Depone da 2 a 3 uova, bianche, tondeggianti e con il guscio rigido, che vengono covate dalla femmina, nutrita dal maschio, per circa 35 giorni. Saranno poi entrambi i genitori a procurare il cibo per i piccoli. Alimentazione: esce al tramonto e all’alba in cerca di prede, in particolare mammiferi ed uccelli, anche di grossa taglia, mentre di giorno resta nelle fessure delle rocce o fra i rami degli alberi, tenendo le penne aderenti al corpo e i ciuffi degli orecchi abbassati. Come altri rapaci notturni, il gufo reale ingoia le prede intere, e, nel caso queste siano troppo grandi, le dilania con il becco. Protezione: il gufo reale, da tempo cacciato dall’uomo, è oggi una specie protetta dalla direttiva “Uccelli” ed è in pericolo di estinzione. Spesso cade vittima dei fili di alta tensione.
Falco pellegrino
Il falco pellegrino è facilmente distinguibile dalla poiana comune (Buteo buteo) per il suo corpo compatto e la sua silhouette più agile, le ali sono strette e a punta e non larghe e frangiate all’estremità, come quelle della Poiana. Notevoli sono anche i suoi colpi d’ala veloci e vigorosi, mentre i battiti della poiana tendono ad essere più lenti. Più difficile è distinguerlo dal gheppio, più piccolo e meno massiccio e con la coda più lunga, ma per il resto simile. Il pellegrino, a differenza del gheppio, non fa mai lo “spirito santo”, un atteggiamento di caccia, utile per la cattura di insetti e roditori, che consiste nel librarsi fermo nell’aria, grazie a piccoli movimenti delle ali.
Il falco pellegrino (Falco peregrinus) prende il nome dal piumaggio sul capo, che ricorda un copricapo scuro molto simile ai cappucci che, nel Medioevo, indossavano i pellegrini mentre compivano lunghissimi e impervi viaggi lungo le vie della devozione in tutta Europa. Questa specie può essere trovata ovunque nel mondo, fatta eccezione per le regioni polari e le altitudini troppo elevate. Di dimensioni non notevolissime (la sua apertura alare non supera di solito i 110 centimetri), è comunque un grande predatore, arrivando a cibarsi di anche di uccelli di medie dimensioni come i piccioni. A ciò contribuisce la sua straordinaria abilità di volo. Il falco pellegrino può infatti raggiungere i 320 chilometri orari, superando in velocità una macchina sportiva e staccando persino il ghepardo africano. I falchi pellegrini sono animali tendenzialmente fedeli. Infatti, solitamente cercano un nuovo compagno solo dopo la morte del precedente. falchi femmina, di dimensioni molto più grandi rispetto ai maschi, depongono dalle 2 alle 4 uova. Piuttosto intolleranti ai rumori dell’uomo, di solito nidificano su rocce scoscese o in nidi abbandonati di altri rapaci. Ma oggi non è raro trovarli in città, su campanili o palazzi molto alti. Negli anni scorsi ne sono state avvistate alcune coppie sulla cime della Lanterna di Genova nel 2013 e nel 2017 sul Grattacielo Pirelli di Milano.
Pelodite
Punteggiato è una specie a distribuzione ibero-francese; in Italia è segnalato nelle provincie di Imperia, Savona, Cuneo, Asti ed Alessandria. In provincia di Savona non sembra superare lo spartiacque tirrenico. La specie è diffusa dal livello del mare fino a 300 metri di altitudine. Anfibio che possiede un corpo piuttosto snello, pupille verticali e dorso verrucoso caratterizzato da una colorazione grigio-verdastra costellata di punteggiature verdi che ricordano le foglie del prezzemolo. Raramente supera i 4 centimetri di altezza, ha testa appiattita e dita delle zampe posteriori quasi completamente mancanti di membrana. I maschi durante il periodo riproduttivo presentano delle callosità nuziali di colore bruno scuro sul primo e sul secondo dito, sul braccio, sull’avambraccio e sul petto.
I girini hanno una colorazione grigio-brunastra piuttosto uniforme, tendente al grigio negli ultimi stadi di crescita; possono raggiungere una lunghezza massima di circa 6 cm, soprattutto gli individui svernanti con metamorfosi primaverile. Habitat: Specie pioniera e prevalentemente terricola, frequenta preferibilmente formazioni aperte. In provincia di Savona è presente solo in ambienti mediterranei, quali garighe, arbusteti, pinete costiere e coltivi. Utilizza come siti riproduttivi stagni permanenti e temporanei, pozze in corsi d’acqua a regime torrentizio ed abbeveratoi. Modalità di riproduzione: Ovipara, ogni femmina depone un’ovatura, molte volte spezzettata in piccoli ammassa, contenente da 1000 a 1600 uova. Status: Gravemente minacciata. Dal 1994 sono stati individuati molti nuovi siti, purtroppo alcuni di loro sembrano oggi in forte regresso. Sensibile all’introduzione di specie ittiche nei siti riproduttivi.
Lucertola ocellata
Specie a distribuzione ibero-francese. Il territorio finalese sembra rappresentare il limite orientale del suo areale di distribuzione. La presenza della specie si rileva dal livello del mare fino a 700 metri di altitudine; non sembra superare lo spartiacque tirrenico. È il più grande lacertide europeo lungo, fino a 60 cm compresa la coda (l’adulto ha la coda lunga anche il doppio del corpo), corpo massiccio con una testa larga e massiccia anch’essa. Parti superiori hanno colorazioni prevalentemente verdastre o brunastre con fine reticolatura nerastra, sui fianchisono presenti numerose file di ocelli azzurri cerchiati di nero particolarmente grandi e brillanti nei maschi adulti durante il periodo riproduttivo; parti ventrali biancastre o giallastre, giovani grigiastri con ocelli chiari orlati di nero su tutto il corpo (alla nascita sono lunghi circa 7 centimetri). Habitat: Specie termofila legata ad ambienti mediterranei aperti, frequenta preferenzialmente garighe e macchie, ma anche ambienti antropizzati come coltivi ed uliveti tra il livello del mare e i 1000 ml.
Chirotteri
Sono gli unici mammiferi alati e capaci di volare; l’ala consiste in una membrana cutanea (plagiopatagio) tesa fra i lati del corpo, l’arto posteriore e quello anteriore, che è estremamente allungato soprattutto in corrispondenza della mano. Sono mammiferi antichissimi, allattano i loro piccoli e sono ricoperti di pelo; occhi piccoli e vista limitata, il loro udito invece è molto sviluppato. Hanno attività notturna, mentre il giorno riposano nelle fessure dei muri, nelle grotte e nelle cavità degli alberi. Molte specie di chirotteri si nutrono di insetti, ma ne esistono altre che mangiano polline, nettare, frutti, roditori, pesci, rane; i chirotteri italiani sono tutti insettivori. In inverno i pipistrelli vanno in letargo in gruppo, consumando così poca energia e sopravvivendo grazie alle riserve di grasso corporeo accumulate nella bella stagione. In primavera, cessato il letargo, le femmine si radunano in rifugi ove, tra giugno e luglio, danno alla luce i piccoli (in genere uno solo) che, dopo poche settimane, sanno già volare e vanno a caccia di insetti.
Geotritone
Presente nel sud della Francia, nel Piemonte meridionale, in Emilia Romagna, in Liguria e in Lombardia. Nella provincia di Savona è frequente nelle località dove il substrato geologico è di tipo calcareo, sembra invece essere assente nel massiccio olofitico del Beigua. La specie è diffusa dal livello del mare fino a circa 1000 metri di altitudine. Descrizione: Anfibio urodelo molto particolare, infatti non possiede polmoni e respira solo attraverso la cute e la mucosa bucco faringea. Cattura le prede estroflettendo la lingua peduncolata. Le sue dimensioni vanno dai 7 ai 13 centimetri, compresa la coda; il ventre è grigio scuro, il dorso varia dal marrone al grigio con macchie ocra. Può essere riconosciuto per le zampe parzialmente palmate, con dita corte e smussate. Altra caratteristica peculiare è il solco nasolabiale, una scanalatura che si origina nella parte anteriore della bocca e termina nella porzione basale dell’apertura nasale. I maschi adulti sono riconoscibili per la presenza di un corpo ghiandolare manto nero di forma ellittica. Habitat: Specie igrofila, nella zona litoranea frequenta ambienti ipogei con un elevato tasso di umidità relativa, quali cavità naturali e artificiali. Nell’entroterra la si può rinvenire anche in prossimità di corsi d’acqua situati in ambienti forestali mesofili. Modalità di riproduzione: ovipata, la femmina depone da 6 a 14 uova al di fuori dell’acqua (la fase larvale acquatica è assente). è l’unica specie di anfibio della provincia di Savona che presenta cure parentali, infatti la femmina rimane a contatto con le uova fino alla loro schiusa, proteggendole da predatori, infezioni fungine e batteriche. SIC “Isola di Bergeggi-Punta Predani” (IT 1323202) si estende per un’area di 10 ettari, sovrap ponendosi parzialmente all’area della Riserva Naturale Regionale di Bergeggi. Il colore grigio della roccia è l’elemento dominante di questo paesaggio tormentato da grandi pieghe e faglie, ben visibili a monte dell’Aurelia. È un tratto di costa articolato, con falesie attive che si alternano a piccole spiagge incassate (pocket beach) e ciottolose, interrotto da minuscole grotte. Più grande è la Grotta Marina di Bergeggi, testimone delle variazioni del livello del mare: nei periodi glaciali, quando le acque si abbassavano e l’isola era collegata alla costa, l’uomo l’ha colonizzata lasciando preziose testimonianze del suo passato, mentre sulle sue pareti i fori dei litodomi (molluschi litofagi, cioè “mangiatori di roc cia”) sono segno dell’innalzamento delle acque nei periodi interglaciali, come con fermano linee di riva ed antichi terrazzi marini a varie quote.
L’Area Marina Protetta “Isola di Bergeggi” ed il Sito di Interesse Comunitario “Fondali Noli – Bergeggi” proteggono un tratto di mare di estensione ridotta ma estremamente interessante, ricco e diversificato la regolamentazione della pesca, della navigazione e delle attività subacquee permette in zona la vita di numerose specie animali ed il mantenimento di ambienti sani e rigogliosi. In particolare, dal momento di istituzione dell’Area Marina Protetta, nel 2007, si è registrato sia lungo la costa che intorno all’Isola di Bergeggi un sostanziale aumento nell’abbondanza di pesci di grosse dimensioni, quali barracuda, dentici, cernie, scorfani rossi e murene. Queste ultime in particolare risultano essere molto comuni, spesso di grande taglia, e soprattutto molto confidenti nei confronti dei subacquei, al punto che in immersione è facile vedere grossi esemplari nuotare rapidi fuori tana o affacciarsi curiosi dagli anfratti, per nulla intimoriti dalle macchine fotografiche puntate verso le loro bocche minacciose. Bocche che, è sempre bene ricordarlo, sono spalancate solo per favorire la respirazione; le murene non sono affatto aggressive, e reagiscono solo se infastidite lungamente e se costrette dall’assenza di una via di fuga.
Purtroppo, l’aspetto un po’ “mostruoso” (il corpo serpentiforme, massiccio, lungo fino ad un metro e mezzo, e soprattutto la bocca spalancata irta di piccoli dentini aguzzi) ha da sempre reso questo pesce oggetto di miti sulla sua presunta ferocia e pericolosità. Per quanto non comune sui banchi delle pescherie, la murena comune mediterranea, Muraena helena, è oggetto di pesca sia con lenza che in apnea, ed è nota per la bontà delle sue carni, al punto che era perfino allevata per il consumo in grandi vasche già dai romani. Grazie alle misure di protezione, questo “mostro buono” può continuare a colonizzare gli anfratti dell’Isola di Bergeggi, pedina importante nel grande ecosistema del nostro mare.
Alesben B.
(CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO)
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