Il 14 settembre 1968 un gruppo di cattolici occupa la cattedrale di Parma per protesta contro le connivenze del vescovo con le banche e i partiti politici conservatori locali. Nascono comunità di base un po’ ovunque in Italia, nelle quali la riflessione sul Vangelo e sull’essenza dell’essere chiesa si sviluppa lontano e a volte contro la gerarchia ecclesiastica. Emergono figure significative: si pensi a dom Giovanni Franzoni abate benedettino di San Paolo fuori le mura a Roma, che rinuncia ai suoi privilegi per condividere e scelte delle comunità di base; o, per altri aspetti, don Lorenzo Milani, che, fedele al Vangelo e alla Costituzione, si impegna nella fondazione di una scuola per i poveri e gli emarginati, che mette in discussione l’incapacità della scuola pubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono ai poveri di essere cittadini a pieno titolo come gli altri.
Nascono movimenti che intendono vivere la fede nel rischio della quotidianità: si pensi a “Cristiani per il socialismo” e, di segno opposto a “Comunione e Liberazione”. Si sviluppa una coscienza mondialistica: Lega Missionaria Studenti, Movimento Giovanile Missionario, Operazione Mao Grosso, Mani Tese ecc. Fiorisce il volontariato cattolico, coordinato dalla Caritas o da altri gruppi come Gruppo Abele (di don Luigi Ciotti) o Comunità di S. Egidio.
Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio…Queste parole di Fabrizio De André (nella Canzone del Maggio) rendono bene la sostanziale incomprensione con cui il mondo degli adulti (con qualche eccezione) reagì a una rivolta generazionale che esplose un po’ ovunque, in Europa, in America, in Asia. Una rivolta generazionale che assunse subito una sua “divisa”: eskimo, capelli lunghi, barba incolta per i maschi; minigonne e gli ancor più scandalosi jeans per le donne.
“Divisa” che accentuava l’incomprensione e la condanna da parte degli adulti, a cui rispondevano I Nomadi con una loro canzone (Come potete giudicare? Come potete condannare? Chi vi credete che noi siamo per i capelli che portiamo?). Una rivolta generazionale nella quale confluiscono filoni diversi: il movimento degli studenti, il movimento dei figli dei fiori, il dissenso cattolico, le nuove lotte operaie, la lunga marcia delle donne e ancora le proteste dei neri americani, le marce contro la guerra nel Vietnam, la sofferenza accanto alla primavera di Praga schiacciata dai carri armati. Una rivolta generazionale che certo ebbe manifestazioni e prezzi diversi da pagare: una cosa fu la contestazione negli USA e in Europa occidentale (dove al massimo si rischiò qualche manganellata dalla polizia), un’altra cosa fu quella dei cecoslovacchi contro la repressione sovietica, un’altra ancora fu quella delle giovani guardie rosse scagliate in Cina da Mao Ze Dong contro i suoi avversari interni al Partito comunista cinese.
IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI – Il movimento degli studenti irrompe sulla sena in Italia dai primi mesi del 1967. Fino al novembre di quell’anno l’oggetto della contestazione da parte degli studenti universitari è lo stato dell’università italiana. Gli studenti contestano l’arretratezza dell’università a fronte dell’arrivo dei figli delle classi sociali subalterne che fino ad allora erano esclusi dagli studi superiori; contestano lo scarto tra la formazione culturale e professionale che l’università fornisce ai suoi studenti e gli sbocchi che effettivamente sono disponibili nel mondo del lavoro; contestano le procedure di selezione in uso nell’università (esami, voti) che essi ritengono funzionali non alla preparazione degli studenti ma all’autoconservazione del potere baronale dei docenti universitari.
Dal novembre 1967 al febbraio 1968 il movimento degli studenti matura nuove scelte: dall’ottica riformista (che intende cambiare l’università) si passa a un’ottica rivoluzionaria (che ha l’ambizione di cambiare il mondo). Tra il marzo e il giugno 1968 in tutte le università italiane si realizzano occupazioni di massa che a volte sfociano in scontri con la polizia, chiamata dai rettori per liberare le aule occupate. Lo scontro più famoso, tanto da diventare simbolico, è quello del 1° marzo 1968 a Valle Giulia a Roma: in quest’occasione per la prima volta gli studenti non fuggono davanti ai celerini ma decidono di affrontarli.
Pier Paolo Pasolini, comunista, prese le distanze dagli studenti che si erano scontrati con la polizia, con una sua poesia “Il PCI ai giovani”:
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti !
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
Il loro modo di essere stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari ecc.ecc.
E poi, guardate come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha eguali);
umiliati dalla perdita di qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
(…)
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi;
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri.
C’erano certo contraddizioni nel movimento degli studenti tra il dire e il fare, ma una cosa dobbiamo riconoscere: ci furono certo episodi di violenza ma la violenza non è caratteristica delle manifestazioni di massa di quel movimento, al contrario di quanto accadde nel movimento del ’77 nel quale la violenza fu certamente diffusa e non di rado fu (a prescindere dalle responsabilità dei singoli contestatori e delle stesse istituzioni) oggettivamente contigua al terrorismo.
Ma quali furono i segni particolari del movimento degli studenti nella sua fase matura? Anzitutto l’antiamericanismo e, con esso, la simpatia per i guerriglieri comunisti vietcong nella guerra contro gli USA in Vietnam e la sintonia con i giovani statunitensi che contestavano quella guerra. Insieme con l’antiamericanismo, il rifiuto del comunismo sovietico, al quale alcuni contrapponevano, con una buona dose di ingenuità, il comunismo cinese, e la naturale simpatia per la primavera di Praga e il suo tentativo di socialismo dal volto umano, che sarà represso dai sovietici. Infine il mito di Che Guevara e la prospettiva di una rivoluzione internazionalista capace di sottrarre il destino dei popoli sia all’imperialismo americano che a quello sovietico.
La differenza fondamentale era tra quelli che guardavano agli operai come naturali alleati e quelli che teorizzavano un’autonomia politica del movimento degli studenti. Così all’Università Cattolica di Milano, dove la contestazione, iniziata contro l’aumento delle tasse, di fronte alle chiusure da parte del rettore era progredita fino a mettere in discussione l’egemonia delle gerarchie ecclesiastiche sulla ricerca e sulla diffusione del sapere, il movimento tende a caratterizzarsi come organizzazione politica autonoma che agisce nel territorio. Gli studenti dell’Università Statale di Torino, invece, cercano di saldarsi con le nuove lotte operaie nella FIAT.
Ma proprio quando raggiunge la sua fase matura, il movimento degli studenti non trova altri sbocchi alle sue parole d’ordine rivoluzionarie che frazionarsi in una serie di gruppuscoli alla sinistra del PCI, nei quali vengono coltivate ambizioni di piccoli leader: Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, Servire il Popolo ecc. La linea di demarcazione tra questi gruppi era costituita dal giudizio e dall’atteggiamento riservati alle organizzazioni tradizionali del movimento operaio (sindacato e partiti, in particolare quello comunista): c’era la tendenza a credersi i veri eredi di quella tradizione, chiamati a ridarle slancio e vitalità contro i tradimenti e i rallentamenti prodotti dai leader sindacali e di partito; c’era l’altra tendenza di cercare un’organizzazione nuova della lotta che facesse riferimento agli orizzonti politici terzomondisti o, per quanto riguarda gli influssi cattolici, alle problematiche poste dalla teologia della liberazione. Questi gruppi , irrilevanti sulla scena politica generale, scompariranno nei primi anni Settanta, mentre i singoli si dissemineranno nelle esperienze politiche o sociali più varie: dalla scelta del volontariato alla scoperta della cultura orientale, all’approdo nei lidi di coloro che erano stati i loro bersagli negli anni della contestazione, alla tragedia del terrorismo, all’impegno politico o sociale nelle istituzioni già contestate, al riflusso nel privato.
I compagni di un giorno o partiti o venduti, sembra si giri attorno a pochi sopravvissuti: così canterà qualche anno dopo Francesco Guccini.
I FIGLI DEI FIORI – I “figli dei fiori”, caratterizzati da vestiti decorati con fiori e a colori vivaci, diffondevano slogan come “Mettete dei fiori nei vostri cannoni” e “Fate l’amore, non fate la guerra”, slogan che sintetizzano la loro sfrenata ricerca della libertà: libertà sessuale, libertà dal lavoro (che è il contrario della libertà del lavoro propugnata dai movimenti di ispirazione marxista), libertà da ogni autorità ecc.
Questa ricerca della libertà si sostanzia nel rifiuto delle istituzioni, nella critica dei valori della classe media, nella condanna delle armi atomiche, nella protesta contro la guerra (in particolare la guerra nel Vietnam), nell’attrazione subita dalla filosofia orientale, nella promozione di libertà sessuali, alimentazione vegetariana e valori ambientalisti, nell’uso di droghe psichedeliche,nella creazione di comuni in cui vivere all’insegna della pace, dell’amore e della fratellanza.
I figli dei fiori esercitarono un certo fascino e un’influenza sui Beatles e su altri complessi musicali occidentali. Del resto la musica fu per loro un forte elemento di aggregazione: dal primo raduno all’aperto, a San Francisco, il 14 gennaio 1967 con 20.000 partecipanti a quello di Woodstock nell’agosto 1969 con oltre 500.000persone. Il “viaggio” farà sempre parte integrante della cultura dei figli dei fiori. Viaggio compiuto fisicamente (con mete spesso in Oriente o con pellegrinaggi verso San Francisco), ma anche viaggi spirituali, vissuti attraverso l’uso di droghe psichedeliche.
IL DISSENSO CATTOLICO – Col Concilio Vaticano II (1962-1965) la Chiesa Cattolica si pone il problema del dialogo col mondo moderno, fondandolo sulla distinzione tra “errore” (le ideologie che restano da condannare, come il marxismo) e l’”errante”(le organizzazioni concrete e le persone che si richiamano a quelle ideologie, con le quali si può invece camminare). Nel dopo Concilio si scontrano due opposti modelli ecclesiali: quello dell’obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e quello della partecipazione e della responsabilità dei laici sulla base della fedeltà al Vangelo.
Così l’Azione Cattolica si sforza di emanciparsi dalla sua dimensione di organizzazione promossa dalla gerarchia ecclesiastica alla quale deve obbedienza. Le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) , nel riaffermare la loro triplice fedeltà alla Chiesa, alla democrazia e al movimento operaio, pongono fine nel 1969 al loro collateralismo con la DC (Democrazia Cristiana) e nel 1970 teorizzano la “scelta socialista”. Le associazioni di scout cattolici mettono in discussione l’esistenza di due associazioni separate per i maschi e le donne e le fondono in un’unica associazione. Nascono numerose riviste cattoliche in cui si dibatte la modernità e si cerca l’incontro e il confronto con i leader del ’68 e gli esponenti della sinistra politica e sociale. Il dissenso cattolico toccherà il suo punto più alto nel referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio nel 1974: in quest’occasione laici e sacerdoti cattolici si mobilitarono nel fronte del NO all’abrogazione, non perché fossero favorevoli al divorzio ma perché volevano lasciare agli altri la libertà di sceglierlo
LA LUNGA MARCIA DELLE DONNE – Nel ’68 esplode in Italia anche il femminismo facendo germogliare, nell’atmosfera iconoclastica e antiautoritaria del ’68, stimoli culturali di femministe europee e americane e precedenti esperienze di collettivi di discussione e mettendo in discussione ruoli e organizzazione della famiglia e della società tradizionali. Qual era la condizione della donna nel ’68? Fino al 1970 non c’è divorzio; fino al 1971 c’è il divieto di informazione sulla contraccezione; fino al 1971 c’è una limitata tutela della maternità: fino al 1975 il codice civile stabilisce che la donna sposata deve assumere il cognome del marito e seguirne sempre la residenza, che il capofamiglia è sempre automaticamente l’uomo, che la moglie deve essere autorizzata dal marito a chiedere un passaporto, che una donna italiana che sposi uno straniero perde automaticamente la cittadinanza italiana, che sui figli le decisioni spettano al padre; fino al 1977 non c’è una legge che vieti discriminazioni delle donne sul lavoro; fino al 1978 non c’è aborto legale ma solo aborto clandestino dalle mammane con rischio della propria vita o della propria salute per chi è costretta a sottoporvisi; fino al 1981 il delitto d’onore (cioè l’uccisione della propria moglie on la scusa di essere stato tradito da lei) assicura all’assassino una pena mite, mentre il matrimonio riparatore consente a uno stupratore di uscirne indenne se offre alla donna violentata di sposarla ed espone quest’ultima alla condanna pubblica se rifiuta di farsi “riparare”.
Nel ’68 le donne prendono la parola nei sit-in e nelle assemblee ma ben presto sperimentano che lo stesso movimento studentesco è una struttura maschilista da contestare. Prendono coscienza che anche in un movimento che si dice antiautoritario e rivoluzionario si può essere relegate a un ruolo gregario, secondario: “angelo del ciclostile”, secondo un’espressione probabilmente coniata nell’Università di Trento. Prendono coscienza che la stessa libertà sessuale può portare vantaggi al partner maschio e conseguenze indesiderate alla donna in una società che ancora rifiuta o condanna la contraccezione.
Ci sono femministe che rivendicano la parità con i maschi sostenendo che le differenze tra maschio e femmina sono solo di origine culturale. Ci sono molte altre femministe che rivendicano la differenza come propria identità e rifiutano l’integrazione nella società maschile negando che questa sia l’unica possibile e propugnando un altro tipo di società. Alcune, più vicine ai partiti tradizionali di sinistra, adottano un linguaggio marxista e rivendicano, ad esempio, salario per le casalinghe e diritti per le prostitute. Altre insistono su valori di solito trascurati dalla sinistra tradizionale: l’autocontrollo del proprio corpo contro il potere del medico e del sacerdote, la libertà sessuale, la contestazione dei ruoli della famiglia tradizionale.
In generale le femministe diffidano della politica tradizionale, anche dei partiti di sinistra, giudicandola frutto di un’organizzazione maschilista autoritaria e gerarchica. Per questo prendono le distanze dall’UDI (Unione Donne Italiane) per il suo collateralismo con i partiti di sinistra e optano per un’organizzazione fluida: collettivi di autocoscienza di sole donne, che proliferano senza un’organizzazione rigida e senza gerarchie interne e si confrontano in occasionali convegni nazionali.
I temi trattati nei collettivi da sole donne sviluppano una riflessione sulla propria condizione femminile per ricavarne un’identità sessuale su cui costruire una società alternativa. Per questa via le femministe conquistano anche qualche simpatia tra le donne dell’UDI e delle organizzazioni partitiche di sinistra e dei sindacati. In gran parte le femministe sono giovani e appartengono alla classe media, ma non mancano presenze di anziane e di operaie. Nonostante le diffidenze reciproche tra femministe e partiti tradizionali (che considerano estranee al loro vocabolario politico le rivendicazioni femministe, come l’aborto, rivendicazioni che verranno invece assunte dal Partito Radicale), le femministe dovranno accettare di dialogare con partiti tradizionali quando si porranno l’obiettivo di ottenere dal Parlamento riforme significative della condizione sociale della donna. Al tempo stesso partiti e sindacati dovranno in qualche modo rinnovare il proprio linguaggio e il proprio bagaglio culturale a seguito del contagio che le femministe riusciranno ad operare sulle donne inserite nelle altre organizzazioni.
Ma, nonostante i provvedimenti legislativi che hanno modificato la condizione sociale e giuridica delle donne italiane rispetto a quella del Sessantotto, la lunga marcia delle donne continua: anzitutto nella lotta contro la violenza sessuale che spesso culmina nel brutale assassinio di una donna e contro le discriminazioni che, a dispetto delle leggi, di tanto in tanto cercano di riaffiorare.
LE NUOVE LOTTE OPERAIE E L’AUTUNNO CALDO 1968-1969 – Di fronte alla strategia degli industriali per aumentare i profitti attraverso la riduzione dell’occupazione, l’aumento dei ritmi di lavoro alla catena di montaggio, il ricorso al lavoro straordinario, la risposta degli operai coglie di sorpresa anche i sindacati. Le nuove lotte operaie sono al di fuori degli orizzonti sindacali, come l’identificazione tra operai e sindacati che accomuna CGIL, CISL e UIL o l’etica del lavoro e l’orgoglio professionale di far bene il proprio mestiere di operaio (CGIL) o l’accettazione acritica dei progressi tecnologici (CISL).
Le nuove lotte sono all’insegna di una spinta egalitaria e sono sostenute da un giovane proletariato (anche con forte presenza di immigrati meridionali) che introduce nelle fabbriche una conflittualità diffusa e improvvisa, senza preavvisi, che non rifiuta lo scontro con la polizia e che cerca il collegamento con la popolazione fuori dalla fabbrica. Non si tratta più, infatti, di migliorare solo le condizioni nel luogo di lavoro ma anche di trasformare l’assetto della società. Su questo terreno i sindacati tradizionali possono recuperare il proprio ruolo, perché, collegati con i partiti politici, sono sensibili al problema della riforma sociale.
Nell’autunno caldo emerge il bisogno di unità sindacale tra i lavoratori. Dopo la rottura sindacale del 1948, che dal sindacato unico CGIL aveva fatto scaturire i tre sindacati CGIL, CISL e UIL, il primo sciopero unitario si era realizzato tra i metalmeccanici solo nel 1963. Ora la base operaia sente la necessità di una nuova unità, nonostante le resistenze delle burocrazie sindacali. Questa spinta unitaria si concretizza nella federazione unica dei lavoratori metalmeccanici (FLM). Il punto d’arrivo della strategia sindacale unitaria è l’approvazione in Parlamento dello Statuto dei Lavoratori (1970). L’unità sindacale, però, subirà rallentamenti e pause in relazione all’atteggiamento che i singoli sindacati principali assumeranno di fronte a specifiche politiche dei vari governi.
IL NO ALLA GUERRA DEL VIETNAM – Tra il 1955 e il 1975 si combatte un conflitto tra il Fronte di Librazione Nazionale filocomunista (con appoggi in Cina) e le forze governative della Repubblica del Vietnam. Nel conflitto vengono coinvolti gli USA a partire dal 1965 in un appoggio militare al governo autoritario del Vietnam del sud contro la guerriglia comunista che si radica nel nord del Paese. Gli USA, a seguito di pesanti perdite nonostante i bombardamenti intensi e l’uso di napalm contro i guerriglieri comunisti, nel 1973 abbandonano militarmente il Vietnam. I guerriglieri comunisti (vietcong), guidati dal generale Giap (lo stesso che aveva guidato vittoriosamente la lotta di liberazione dell’Indocina dal colonialismo francese), conquistano la capitale Saigon nel 1975 e avviano il nuovo corso politico del Vietnam.
Contro la partecipazione degli USA alla guerra del Vietnam e a favore dei guerriglieri vietcong marciano e protestano in quegli anni masse di giovani in Europa e in America e ancora intellettuali e artisti: si pensi alle canzoni di Joan Baez, popolarissime tra i giovani di quegli anni. Una protesta particolare fu quella di Muhammad Alì (già Cassius Clay): campione del mondo dei pesi massimi di pugilato, rifiuta di andare a combattere in Vietnam dichiarando “Non ho problemi con i vietcong, non mi hanno mai chiamato negro”. Privato del titolo mondiale e della licenza di pugile nel 1967, l’anno successivo viene condannato a 5 anni di carcere, non scontati a seguito di appello e di annullamento della sentenza da parte della Corte Suprema nel 1971. Ritorna sul ring nel 1970 e nel 1974 riconquista il titolo in un incontro leggendario con George Foreman.
LA PRIMAVERA DI PRAGA – Nel 1968 il segretario del Partito Comunista Cecoslovacco, Alexander Dubcek, per rispondere al malcontento del Paese verso il regime comunista, avvia una politica di riforme riassunte nel nome di un “socialismo dal volto umano”. L’esperimento, che suscita l’entusiasmo popolare e l’appoggio di intellettuali e di membri riformisti del partito, viene avversato dall’Unione Sovietica di Leonid Breznev , segretario del Partito comunista sovietico. Questi, appunto, per salvare il comunismo in Cecoslovacchia e l’appartenenza del Paese al sistema di satelliti dell’Unione Sovietica, decide l’invasione della Cecoslovacchia. Così nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 circa 7.000 carri armati e tra i 200.000. e i 600.000 soldati (dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi satelliti, esclusa la Romania che non partecipa all’invasione) invadono la Cecoslovacchia. La popolazione ceca si oppone disarmata ai carri armati e mette in difficoltà i soldati invasori, che credevano di venire come liberatori e scoprono di essere visti come oppressori. I cechi, che pure hanno obbligatoriamente studiato a scuola la lingua russa, fingono di non capirla e si ostinano a parlare nella propria lingua.Il 16 gennaio 1969 lo studente Jan Palach, ispirandosi alla protesta dei monaci buddisti in Vietnam contro la guerra, si dà fuoco in piazza San Venceslao per protestare contro l’invasione. Muore dopo tre giorni di agonia. il suo esempio viene seguito da altri studenti. Al suo funerale partecipano 600.000 cecoslovacchi.
Quando la piazza fermò la sua vita, sudava sangue la folla ferita, quando la fiamma col suo fumo nero lasciò la terra e si alzò verso il cielo, quando ciascuno ebbe tinta la mano, quando quel fumo si sparse lontano, Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava all’orizzonte del cielo di Praga… Così cantava Francesco Guccini nel suo omaggio alla primavera di Praga e al sacrifico di Jan Palach (nuovo Jan Hus), “Primavera di Praga”.
MARTIN LUTHER KING E LA PROTESTA DEI NERI AMERICANI – Il 4 aprile 1968 viene ucciso Martin Luther King, leader non violento delle lotte dei neri statunitensi contro le discriminazioni. Luther King è l’alternativa (con la sua pratica di non violenza di massa) alla protesta violenta che trova i suoi simboli in Malcom X (anche lui assassinato) o nelle Pantere Nere. Grande fascino ebbe sui giovani contestatori europei il discorso di Luther King “I have a dream (Ho un sogno)”:
Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Geogria, i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
IL DISCORSO SUL PIL DI ROBERT KENNEDY – Fratello del presidente ucciso a Dallas nel 1963, candidato alle presidenziali nel 1968, viene ucciso il 5 giugno 1968. Di lui resta famoso il discorso sul PIL (prodotto interno lordo), che andrebbe letto e meditato dai nostri politici che rinchiudono il loro orizzonte nei vincoli di pil, deficit, costi, spese. Bob Kennedy tenne questo discorso in un’università il 18 marzo 1968: Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato alla eccellenza personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l’anno, ma quel PIL – se giudichiamo gli USA in base ad esso – comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.
LE OLIPIADI DEL MESSICO DEL 1968 – A Città del Messico si svolgono le Olimpiadi del 1968. Il 2 ottobre, pochi giorni prima dell’inizio dei Giochi, la polizia reprime violentemente una manifestazione di studenti a Città del Messico facendo almeno 300 vittime. Le proteste da tutto il mondo non ottengono la sospensione o il rinvio dell’apertura dei Giochi olimpici. Il 17 ottobre 1968, alla premiazione dei 200 metri di velocità, gli atleti neri americani Tommie Smith (vincitore) e John Carlos (terzo classificato) al momento dell’inno statunitense abbassano la testa e alzano il pugno chiuso in un guanto nero. Protestano contro la discriminazione dei neri negli USA: vengono espulsi dal villaggio e in patria vengono accolti con insulti e minacce di morte. A fatica riprenderanno un loro ruolo nella società americana. Peggiore fu il trattamento riservato all’australiano Peter Norman (secondo classificato): accusato di aver solidarizzato con Smith e Carlos fu ostracizzato dai media australiani e non verrà fatto partecipare alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, nonostante avesse realizzato il tempo minimo per l’ammissione ai giochi olimpici. Quando morì, nel 2006, furono Smith e Carlos a portare la sua bara.
IL PRIMO UOMO SULLA LUNA – Il 20 luglio 1969 avviene il primo allunaggio (ovvero atterraggio sulla Luna) di una navicella spaziale terrestre. Poche ore dopo, alle ore 4.56 (ora italiana) del 21 luglio 1969, l’astronauta statunitense Neil Armstrong è il primo uomo a camminare sulla Luna. Lo segue poco dopo Burr Aldrin, mentre il terzo astronauta, Michael Collins, li attende in orbita.
CONCLUSIONI – Che resta oggi del Sessantotto? Scrive Umberto Galimberti: Il ’68 è fallito non per ciò che si proponeva, ma perché è stato assorbito dal suo opposto, che parlava il suo stesso linguaggio con intenzioni radicalmente diverse. Come dire che l’emancipazione, invocata dal ’68 insieme per ognuno e per tutti (perché il privato è politico) è stata rovesciata nell’affermazione individuale, del tutto è possibile, del trionfo dell’efficienza, anche se il mio successo deve essere pagato da altri. Bernardo Valli annota: Al di là degli slogan marxisti, le proteste giovanili hanno cambiato la società soprattutto nella cultura e nei costumi. Enrico Deaglio, dal canto suo: A chi denigra il Sessantotto domando: preferivate com’era prima? Ascoltiamo anche l’amara conclusione di Giorgio Gaber, anche se scritta per la fine del sogno comunista (“Qualcuno era comunista” 1995-1996):
Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra, il senso di appartenenza a una razza, che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita. No, niente rimpianti. Forse anche allora molti, avevano aperto le ali, senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora, ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra, il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo.
Quanto a me, penso che noi sessantottini abbiamo la colpa di aver sognato l’impossibile e di non essere riusciti a realizzarlo. E, tuttavia, vale sempre il monito A chi indica il cielo con il dito, lo sciocco, anziché guardare il cielo, guarda il dito. Non vorrei, però, concludere con la commozione e il groppo alla gola di un nostalgico sopravvissuto e, perciò, faccio appello alla mia napoletanità per ripensare ironicamente un’epopea che, non per meriti personali ma solo per casualità anagrafica, ebbi la fortuna di vivere. Chiudiamo allora con I Nomadi e la loro ironia nei “Tre miti”:
Quelli che son stati adolescenti insieme a me (…)
Avevano tre miti nel Sessanta o giù di lì:
il sesso, il socialismo ed il GT (…)
e c’è chi fra di noi ha abbandonato l’avventura,
per noia, opportunismo o per paura.
C’è chi non l’abbandona, ma non capisce cosa sia
per troppa fede e per poca ironia.
E c’è chi come me, fra Sessantotto e masochismo,
è ancora qui che aspetta il socialismo.
Arriverà, siam certi, euro dal volto umano,
speriamo che non sia di seconda mano
Luigi Vassallo