Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza in campo previdenziale il Giudice del Lavoro di Savona (nella persona del GOT dr. Domenico Pedron) ha riconosciuto che anche nel caso la domanda non sia fatta per avere immediatamente l’assegno assistenziale il richiedente ha diritto a vedersi riconosciuto l’aggravamento dell’invalidità civile. Leggi anche: la talpa dell’Aurelia bis e l’occasione mancata.
Il caso era nato nel 2014 quando M.M., già riconosciuto invalido civile nella misura del 67%, chiedeva l’aggravamento del grado d’invalidità a seguito di un cancro e della conseguente asportazione della tiroide, cosa che lo costringeva ad assumere giornalmente farmaci salvavita e a sopportare altre spiacevoli conseguenze. La ragione di tale richiesta era semplice:M.M. non voleva un assegno di invalidità ma chiedeva gli venisse riconosciuto il contributo figurativo di due mesi per ogni anno di lavoro a partire dal riconoscimento dell’aggravamento (in pratica l’anticipo di un anno della pensione) come previsto dall’art.80 della legge 388 del 2000.
Il 25 settembre 2014 la Commissione Invalidi Civili dell’ASL2 riconosceva l’aggravamento al 75% ma disponeva che a distanza di un anno venisse effettuata una visita di controllo presso la Commissione Medica dell’INPS provinciale. A gennaio del 2016 la Commissione INPS (dopo una nuova visita collegiale consistente esclusivamente nell’esame dei documenti medici) riportava la percentuale al 67%. A questo punto M.M. si rivolgeva al tribunale di Savona chiedendo un Accertamento Tecnico Preventivo (in pratica, una consulenza tecnica affidata ad un medico designato dal giudice). L’INPS si costituiva in giudizio, sostenendo che il ricorso “era da ritenersi inammissibile e/o improcedibile e quindi da rigettarsi perché alla richiesta di riconoscimento di una percentuale di invalidità civile pari e/o superiore al 74% non era correlata alcuna richiesta di natura previdenziale e/o assistenziale, e quindi il ricorso era carente dal punto di vista dell’interesse ad agire”.
Il giudice del lavoro era di diverso avviso e disponeva l’accertamento, a seguito del quale (e della relativa visita medica) il tribunale riportava la percentuale d’invalidità al 75%. Ma l’ufficio legale INPS ricorreva contro la decisione riproponendo in buona parte quanto aveva già sostenuto e introducendo qualche motivo nuovo: secondo l’INPS, M.M. aveva “proposto ricorso per a.t.p. volto esclusivamente al riconoscimento della sussistenza delle condizioni psico-fisiche riguardanti il riconoscimento di una percentuale d’invalidità pari e/o superiore al 74% senza compiere alcuna domanda avente contenuto previdenziale/assistenziale”. In pratica, pare di capire, M.M. non aveva un concreto interesse ad agire perché aveva chiesto l’aggravamento – e il riconoscimento dello stesso in giudizio – ai soli fini del contributo figurativo per la futura pensione. Per l’ente sarebbe quindi mancato un interesse attuale e concreto e, in ogni caso il giudice non avrebbe potuto utilizzare l’accertamento tecnico preventivo in casi di questo tipo.
Nella sentenza (pubblicata a novembre 2017) il giudice Pedron rigettava in toto la richiesta dell’INPS (e condannava l’ente all’integrale rifusione delle spese) accogliendo la posizione dell’avvocato Alessandra Magliotto (legale di M.M.) e sostenendo che l’interesse ad ottenere l’aumento dell’invalidità civile è un interesse attuale ed esclusivo e che l’accertamento tecnico preventivo è per l’appunto “lo strumento giudiziale previsto dalla legge per chiedere la revisione della percentuale d’invalidità civile riconosciuta dalla Commissione Medica”.
Le storie giudiziarie sono spesso noiose e incomprensibili ai non addetti ai lavori. Ma – senza pretesa di eccepire alcunché a quanto già stabilito sul piano giudiziale – dall’esame della vicenda non possono non venire in mente al profano alcune considerazioni.
La prima riguarda la commissione Invalidi dell’ASL2: la decisione di sottoporre M.M. alla visita di controllo sarà pure ineccepibile sul piano giuridico, ma suscita qualche perplessità dal lato della logica. La tiroide, infatti, è stata asportata e – salvo casi di ricrescita spontanea di cui non si hanno notiziedi fonte medica ma che comparirebbero casomai nella letteratura religiosa alla voce “miracolo” – non si vede come il deficit conseguente all’asportazione potrebbe regredire o scomparire in futuro.
La seconda riguarda l’INPS: per l’ente previdenziale l’accertamento tecnico preventivo può farsi solo in presenza di un interesse attuale e concreto e quindi, a lume di logica non può essere disposto “solo” per avere una pensione nel futuro cioè, se le parole hanno un senso, per un fine “solo” previdenziale. Questo significa che in tal caso per l’INPS la decisione della propria commissione medica non può essere contestata (almeno con lo strumento dell’accertamento tecnico preventivo che però è lo strumento “volto ad ottenere il riconoscimento dell’esistenza delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa previdenziale”) in nessuna sede, neppure da un giudice. Ma, sempre per il profano, la Costituzione italiana all’art.24 dice l’esatto contrario. A meno che non si voglia ammettere (ma il caso è chiaramente da escludere) che secondo l’INPS non è possibile per il cittadino preoccuparsi oggi (e, quindi, agire in giudizio) per la propria pensione di domani.
Terzo: la conseguenza logica delle tesi INPS sarebbe un boom delle domande per avere l’assegno di invalidità civile: ai richiedenti converrebbe in ogni caso chiedere tale prestazione, anche quando non ritenessero di doverne usufruire, perché solo in questo caso potrebbero rivolgersi ad un giudice per vedersi riconosciuto l’aggravamento in caso di diniego della Commissione. Poi, certo, possiamo discutere fino a domani delle differenze tra assegno ordinario di invalidità e assegno di invalidità civile, della natura assistenziale o previdenziale della corresponsione, delle differenze tra pubblico e privato della necessità o meno di produrre altri ricorsi amministrativi: ma al profano il dubbio rimane.
LA TALPA E’ FERMA, SAVONA HA PERSO UN’ALTRA OCCASIONE
Talpa ferma. La talpa è quasi arrivata alla Rusca, affronta ora un passaggio critico: 8 metri al di sotto del livello suolo. C’è bisogno di rinforzi, di palificazioni e la talpa attende.
Oggi si può vedere fisicamente che l’Aurelia bis passa proprio a stretto contatto con via Schiantapetto, e che sarebbe bastato veramente poco quella connessione che avrebbe consentito una veloce uscita dal quartiere sia verso corso Ricci, ma anche verso le funivie. Bastava infatti da via Schiantapetto andare fino in corso Ricci, fare inversione ed andare ad uscire alle funivie, il tutto senza attraversare la città!