Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Loano, panetteria Tassara: dopo 117 anni nuovo gestore. E quel bar Taboga dei ricordi


Uno dei emblemi della vecchia Loano. La panetteria – pasticceria Tassara dopo 117 anni cambia gestione. La storica famiglia Tassara che già dal 2015, dopo la morte di Graziella, 61 anni, strappata alla vita da un male crudele (vedi…….) aveva visto l’ingresso del marito Gigi Crippa, origini a Bergeggi, ora è subentrato Andrea Raddi, origini salernitane, mamma tedesca, esperienza conquistata da garzone in 6- 7 forni della Riviera. Con lui il figlio Ciro, 23 anni, diplomato all’Elfo di Albenga, e la figlia  Sasha. Un’altra antica penetteria Tassara, di via Garibaldi, altro ramo famigliare, aveva già perso con gli anni duemila la titolarità Tassara e da allora ha cambiato gestione, l’ultima nei mesi scorsi.Famiglie che hanno fatto la storia ed hanno lasciato il segno nel corso di uno, due secoli. I Tassara di Borgo Castello non rappresentavano solo un’attività che andava avanti da generazioni, per anni è stato  il simbolo della Sagra del Crostolo, quando ancora le sagre non erano inflazionate, nè ridotte ad un mercinonio dove ormai di caratteristico resta ben poco. Non solo per le mutate leggi in campo sanitario, ma perchè sono lo strumento per finanziare associazioni, enti, sodalizi. Ed il menù, manco a dirlo, finisce per incentivare la fantasia dell’offerta, nella sostanza buona parte dei prodotti sono di lavorazione industriale, artigianale (si pensi ai quintali di pasta, ravioli, gnocchi). Si pensi, ma non si legge mai perché si è creato pure un commistione tra pubblicità (giornali e web) ed promotori, organizzatori, che l’unica sagra dove i ravioli vengono ancora fatti rigorosamente a mano è Massimino, il più piccolo comune della provincia, più cuneese che savonese. Qui un affiatato gruppo di casalinghe prepara ormai da parecchi anni oltre due quintali di ravioli, rigorosamente casalinghi. Appuntamento dal 5 al 7 agosto con la Festa dei ravioli  con sugo di funghi o carne

Ciro e Andrea Raddi, padre e figlio, gestiscono l’antica panetteria Tassara di Borgo Castello

o burro e salvia. Pare pacifico che si debba comunque ricorrere al surgelatore, mentre i ravioli che si acquistano generalmente sono a loro volta pastorizzati, con qualche rara eccezione.

La panetteria Tassara che ha resistito, manco a dirlo, ai primi anni quando l’avvento dei supermercati rappresentavano una novità e una vera e propria mannaia per gli esercizi famigliari dei cosiddetti ‘alimentari’.  Ha resistito, fino all’ultima resa dei conti, la produzione di pane, la qualità, la professionalità del panettiere. Anche se non sempre viene premiata per una più che diffusa incultura popolare. Un tempo la Liguria poteva fregiarsi del pane cotto nel forno a legna, delle farine e del grano di produzione nostrana. Oggi non profuma neppure più in grano che seminiamo nelle nostre fasce alpine, confidava qualche tempo fa al cronista, l’ultimo mugnaio della Valle Arroscia, Giulio Manasse. Lui ormai, dopo aver ceduto il mulino ad acqua al Comune che ne ha fatto un museo, fa dimostrazioni di macinatura per le scolaresche e per un paio di amici che coltivano il grano a scopo famigliare. Non c’entra dunque nè l’aria, né l’acqua, ormai è il seme a non profumare.

Andreas Raddi ha cominciato a lavorare a 15 anni, fino a sette anni è rimasto con i genitori a Friburgo, con lui altre due sorelle. Dalla Germania a Borghetto S. Spirito, con la passione e l’impegno, il sacrificio indispensabile per la vita del panettiere, si lavora di notte e si dorme una parte della giornata. Un lavoro duro e non è facile trovare chi è disposto a quella vita. Da qui il ricorso, specie negli ultimi anni, di molti panificio a personale straniero, extracomunitario. Raddi appartiene al genere umano di chi è cosciente che senza impegno e sacrificio non si fa molta strada, a meno che la fortuna non bussi due volte, si suole dire.

Ora sa di aver raccolto il testimone di un’azienda contraddistinta dal buon nome, dalla buona fama. Ci sono tanti loanesi, ma anche gente che abita nel circondario che raggiunge Borgo Castello per comprare il pane di Tassara. Con la bassa stagione è iniziato un altro capitolo di storia per la panetteria. Con papà Andreas, nel laboratorio c’è il figlio Ciro. Tanti segreti poco conosciuti anche in questo mestiere come l’uso dei miglioratori. “Io utilizzo solo farina doppio zero – dice Raddi – perchè non ho bisogno di ricorrere ai miglioratori e spero di rifornirmi sempre con quanto si può acquistare dai migliori mulini, non risparmio insomma nella materia prima”.

I panifici o le rivendite di pane sono inflazionate, la concorrenza persino di prodotti stranieri (si trovano in certi supermercati) è forte, resta il fatto che è un genere popolare, con l’aggiunta soprattutto della focaccia, nelle sue diverse specialità, della piazza. Cosa ci sia di salutare non è semplice saperlo. I controlli delle panetterie sono di fatto inesistenti, si procede tutto sulla base dell’autocertificazione e sono rarissimamente si legge di blitz del Noe dell’Arma e l’intervento da mosche bianche dell’Asl. Eppure ce ne sarebbe bisogno a tutela della salute e tenendo conto che si tratta di un genere di largo consumo che merita un approfondimento. Cosa che faremo.

I Tassara hanno resistito con sacrifici ed onore per 117 anni, dato il buon esempio, la scommessa, la palla passa ora a papà Andreas e ai figli. E’ vero che loro sono in affitto, ma è altrettanto vero che le panetterie famigliari che possono puntare su una produzione di nicchia non sono molte. La sfida dipende per intero dalle loro capacità. Dal buon pane, focaccia e pizza che sapranno sfornare e far apprezzare.

TRE MESI FA CAMBIO GESTIONE AL BAR TABOGA

Ci sono locali pubblici (bar, ristoranti e pizzerie) che in una città rappresentano il punto di incontro tra residenti, e in una località turistica, sono caratterizzati anche dalla frequentazioni di ‘foresti’. Il bar Taboga è rimasto un fiore all’occhiello perchè di gestori ne ha visto davvero pochi. Per 30 anni l’ha gestito la famiglia Vellani, rilevandolo dai proprietari dei muri, i Taboga. Un bar che era frequentato anche dagli sportivi, infatti era il locale più vicino allo stadio Ellena, il campo di calcio.  Era il punto d’incontro del dopo partita, ma anche per le escursioni nella valle sopra Verzi e al Monte Carmo. E’ qui che si poteva incontrare, magari di buon mattino, il mitico Cencin abituè del Carmo, con gli amici dei Cai, del Carmo, gli alpini.

C’è chi conserva curiosi ricordi, come Gianni Taboga, cittadino di Borghetto S. Spirito: “Avevo 15 anni, si chiamava via Pavia (oggi via Dei Gazzi ndr), non era neppure asfaltata, ricordi straordinari perchè nel locale si ritrovavano gli amici del papà; ricordo che c’era un angolo detto da Sciorba, albero da frutto, ed un roveto dove non era raro vedere qualche biscia di due metri, ma non erano pericolose.  Una zona in cui oltre al bar aveva aperto una panetteria, alimentari, un tabaccaio, il giornalaio, tutto in un fazzoletto di territorio.  Da sempre il bar che porta il nostro cognome è una “cerniera” di raccordo tra la periferia residenziale di Loano ed il resto della città, luogo d’incontro tra turisti e residenti e tappa “quasi obbligata” per una veloce colazione andando a lavorare o un aperitivo a fine giornata”.

Ora è stato rilevato da un esercente che aveva il bar Tipota in corso Europa a Borghetto S. Spirito.  Una coppia giovane con due bambini, animati dalla buona volontà e dal sano orgoglio di far bella figura, non tradire la buona nomea del locale. E’ vero, oggi quella Loano che molti ricordano con nostalgia se n’è andata, non c’è più, come tante figure benemerite e caratteristiche di una comunità. L’urbanesimo ed il turismo hanno portato benessere per molti, ma anche segnato il solco di una crescente disintegrazione sociale dove spesso non ci si riconosce neppure abitando nello stesso rione. Ognuno fa i fatti propri all’insegna della diffidenza. Una società meno unita, meno coesa, più egoista e solitaria al di là delle apparenze che spesso ingannano.  E c’è ancora chi può fare distinzioni, ricordando il passato, magari con rimpianti.

ADDIO ENZO ROCCA PIONIERE DEL BAR STELLA

NELL’OMONIMA VIA DEL CENTRO STORICO

Enzo Rocca fondatore del bar Stella di Loano

Le giovani leve non lo sanno e ormai non sono neppure interessate a saperlo. Se n’è andato a 95 anni Enzo Rocca, sui muri della città sono apparsi i manifesti, compreso quello del Comune di Loano, una Rocca, la figlia Enrica, è assessore comunale e da tempo impegnata nella vita politico amministrativa della città, studio avvio di commercialista in corso Europa. Lascia altre due figlie: Rarbara e Giovanna.

Papà Rocca non era un cittadino qualunque, conosciuto e stimato nella vecchia Loano, una vita operosa, da galantuomo; è stato il fondatore del bar Stella negli anni ’50. Lui originario di Revigliasco, in provincia di Asti, con un cognome che a Loano ha origini assai antiche, basti pensare ai Rocca che hanno fatto fortuna e sono emigrati in Sud America, oggi quel ramo famigliare è tra le famiglie più benestanti del Paese, in Lombardia, con interessi e fabbriche sparse nel mondo. Appartiene ai Rocca l’Humanitis dove molti savonesi si trasferiscono soprattutto per interventi chirurgici all’anca e dove operava anche il prof. Lorenzo Spotorno.

Il bar Stella sorto da quella che era una fiaschetteria di Giovanni Bruzzone, famiglia storica di Loano, con Antonio Bruzzone, compianto e la moglie Caterina Burastero, ancora in gran forma e che collabora con il figlio Giovanni  in quella che è conosciuta come ‘l’Agricola’. I coniugi Bruzzone hanno esercitato a lungo con un negozio di alimentari in via Garibaldi, mentre il nonno di Gianni erano famiglie di agricoltori, ma anche dei piccolo commercio, nel caso specifico la fiaschetteria che poi prenderà il nome di Bar Stella, ovviamente con i necessari lavori di ristrutturazione. I Bruzzone che avevano, ai ridosso di piazza Italia e di rimpetto ai giardini comunali di levante, i magazzini. E’ in questa zona, ora in gran parte recuperate sul mercato immobiliare, che si trovavano tre attività caratteristiche di Loano di fine 800 e primi novecento. Qui c’erano le stalle, c’era chi realizzava le botti, e chi lavorava il ferro. Una cartolina caratteristica di com’era Loano.

 

 

 


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