Vincenzo Mombelli accusato, incarcerato, assolto per il sequestro (ed il pagamento di un riscatto) di Mario Berrino – cofondatore del leggendario Caffè Roma e Roof Garden, inventore del Muretto di Alassio, pittore di successo in vita e di fortune da morto – trascorre la vecchiaia all’Istituto Trincheri di Albenga. Un Vincenzo che non si da pace e per gli ospiti, i visitatori, il personale, è un simbolo di chi non si rassegna, nonostante l’età, le malattie, le disgrazie. Vive con un chiodo fisso: “prima di morire voglio giustizia”. Non da tregua ad un paio di avvocati, contrariato perché ” promettono e non fanno”. Nel suo mirino il mondo dell’informazione: “mi ignorano”. Si dice scandalizzato. Quando è morto suo fratello Ezio, pure lui arrestato con accuse infamanti e scagionato, media e social locali non hanno scritto neppure una breve. Con la sola eccezione di trucioli.it. Vincenzo non passa giorno, cerca e vuole parlare al fotoreporter Silvio Fasano e con l’anziano cronista che aveva seguito dall’inizio il ‘giallo Berrino’.
Altri giornalisti che si occuparono di quella triste e drammatica vicenda, sono in vita: Camillo Arcuri vive a Genova, era inviato speciale de Il Giorno, Natalino Bruzzone da giovanissimo collaboratore de Il Lavoro e l’alassino Daniele La Corte, esordio a Il Corriere Mercantile. Un racconto della ‘Mombelli story’ che questo umile blog propone, dopo quanto abbiamo già scritto in anni non lontani, cercando di non ripeterci, anche se le giovani generazioni non possono ricordare, il trascorrere dei decenni non aiuta certo la memoria. A luglio saranno passati 44 anni. Vincenzo è ormai un robot nel suo ricordare, narrare, insistere, ripetere, accanirsi. E’ seduto ad una tavola della grande sala da pranzo del Trincheri, veste in modo semplice, dignitoso, tra una parola e l’altra confida “ma non è da scrivere” che gli capita di dover aiutare economicamente la sorella più giovane, a sua volta ospite di una casa di riposo ad Andora. “Poverina ha sofferto tanto pure lei, è malata, ci sentiamo al telefono quasi tutti i giorni e se posso l’aiuto volentieri, è una brava pittrice; io sono solo, ho rinunciato a sposarmi; eravamo una famiglia numerosa, non benestante, ma neppure poverelli, anzi….”. E per fortuna che esiste il Trincheri dopo che Vincenzo per sbarcare il lunario aveva fatto anche il lavapiatti al convento dei frati di Pontelungo, “mi hanno prestato anche dei soldi dovevo pagare l’avvocato”. Il nuovo Trincheri di viale Liguria oggi è la sua casa, la sua famiglia. Un ente pubblico di assistenza sorto per volontà del benemerito notaio benefattore Cav. Domenico Trincheri. Nelle sue volontà testamentarie ha lasciato scritto: ….“dare ricovero e mantenere i vecchi e i poveri d’ambo i sessi inabili a proficuo lavoro”.
Vincenzo Mombelli tiene tra le mani, tremanti, il libro I Miracoli che hanno fatto santo Padre Pio, scritto da Enrico Malatesta per ‘Piemme’. Prima edizione 1998, seconda edizione economica nel 2002.
“Prima di chiudere per sempre gli occhi vorrei poter parlare con i giudici viventi che hanno seguito il ‘sequestro Berrino’ e che io continuerò a chiamare un ‘giallo inventato’, visto che, con mio fratello Ezio, siamo stati assolti con formula piena e lui è finito imputato di calunnia e simulazione. Del mio caso si sono occupati Tartuffo, Stipo, Boccia (non più in vita ndr), Vincenzo Ferro (giudice istruttore che ha svolto gran parte dell’istruttoria, sopralluoghi sulla collina di Alassio dove Berrino disse di essere stato tenuto prigioniero, Renato Acquarone e da ultimo Michele Del Gaudio”. Il magistrato di origini campane, poi parlamentare ma senza vitalizio, che si occupò anche del ‘ciclone Teardo‘.
“La mia povera mia mamma si è uccisa dal dispiacere bevendo acido muriatico, una santa donna, disperata al punto che mi diceva ‘quello è da ammazzare... (Berrino ndr)’. Nessuno ricorda che mamma scriveva poesie e componeva canzonette anche al Caffè Roma. Papà ha lavorato una vita ed ha perso la testa al punto che un giorno si era presentato con un accetta al Caffè Roma e sono intervenuti i carabinieri. Abbiamo perso un fratello primogenito in un incidente stradale, ucciso a 20 anni. Mia madre, dopo che siamo finiti in carcere con tutte quelle accuse, in prima pagina con giornali e tivù, locandine cubitali davanti alle edicole, il nostro cognome nei titoli di testa delle Tv nazionali, era finita alle Molinette per due mesi, ridotta a pesare 30 kg. Scrisse al Secolo XIX una lettera, non fu pubblicata, se non con qualche accenno in uno dei tanti servizi giornalistici. E mia sorella Vania per sette anni ha vissuto con Ernani Iezzi, anche lui ha scelto di togliersi la vita mentre si trovava a Montecatini, era in pensione dai telefoni di Stato, scriveva per la Gazzetta del Popolo, per Il Secolo XIX, Il Gazzettino Ligure della Rai, per un’agenzia di stampa nazionale e aveva continuato la sua battaglia di verità sul nostro dramma dalle pagine di un periodico locale che gli fruttò uno scontro fisico con Mario Berrino durante una cerimonia pubblica. Ernani, assistito dal compianto penalista Nazzareno Siccardi, che aveva presentato denuncia – querela, ha accettato la transazione dietro il versamento di 13 milioni e l’impegno a non rivelare a nessun organo di stampa la notizia. Motivo ? Me lo disse Ernani: “Sono al verde, col fido in banca…”. Di quella querela tutti zitti, solo trucioli savonesi aveva scritto.”
Vincenzo si scalda, si agita, cambia colore, balbetta: “Ma lo sa chi era mio padre ? Uno che lavorava, uomo di fiducia dei conti Marzotto, Franco e Nicoline, grazie a loro ha potuto comprare i primi camion in proprio. Poi aprì un grande ristorante a Capriolo, mio fratello fu trovolto e ucciso da dei contrabbandieri, era il 1962, io avevo 7 anni ed oggi quanti anni mi da ? Sono della classe 1953, ne dimostro molti di più… Sono stato rinchiuso in quattro carceri con mio fratello, abbiamo fatto lo sciopero della fame e a Marassi i detenuti hanno inscenato una protesta salendo persino sui tetti… ; nel carcere di Savona hanno fatto una rivolta per i Mombelli causando milioni di danni. Andate a rileggere i giornali, non una riga che all’origine c’era la nostra detenzione da innocenti e radio carcere, come si suole dire, sapeva benissimo che noi non c’entravamo con il sequestro Berrino.”
Nella prossima puntata proseguiremo nel racconto di Vincenzo che ha molti aspetti davvero inediti e tanti spaccati di vita carceraria che resistono nel tempo e di cui poco o nulla trapela, emerge.
Luciano Corrado
PADRE PIO, IL LIBRO, I BERRINO E LA SUORA VENETA ‘ MADRE PURA ‘
A pagina 344 si legge. “Ci sono miracoli che salvano la vita, ce ne sono altri che producono radicali conversioni spirituali ma ci sono anche miracoli capaci di cambiare il corso drammatico degli eventi. Proprio a quest’ultima categoria appartiene la straordinaria vicenda umana di un devoto che a Padre Pio deve veramente tanto.
La storia ha inizio negli anniu dell’immediato dopoguerra quando, di ritorno dallo sfollamento delle città, insieme ai fratelli Giorgio. Adriano ed Elio, rientra ad Alassio anche Mario Berrino, e questo è il nome del nostro personaggio. Nato nel 1920 e sotto la costellazione della Vergine, Berrino è una spirito libero, gioviale, allegro ma anche ricco di iniziativa e talento artistico. Sono momenti assai difficili, duri, quelli della ricostruzione dell’Italia postbellica e nonostante tutto, Mario e i suoi fratelli riescono ad aprire nella centralissima via Dante di Alassio il grande Caffè Roma, ritrovo per artisti, scrittori, cantanti e speranza per molti altri di avvio a quella tanto sospirata normalità. Dapprima le cose non vanno tanto bene, anzi le difficoltà si moltiplicano e i quattro fratelli Berrino devono sfoderare ogni loro buona capacità e tanta, tanta pazienza, per mantenere in piedi la loro unica attività e unica speranza per l’incerto domani.
E’ negli anni ’50, con la ripresa economica del Paese che a Mario Berrino si presenta la grande occasione della sua vita- Ha acquistato proprio all’attico dell’edificio ove è situato il suo bar, alcuni locali che adibisce a ritrovo mondano, così come ha già fatto con il piano interrato proprio sotto al Caffè Roma. Nascono così il Roof Garden in alto, e, in basso il Night Club di Alassio, entrambi eleganti e raffinati punti di incontro e meta abituale della bella gente del luogo, che ne faranno presto il vanto di tutta la riviera. Arrivano così personaggi illustri e grandi celebrità da ogni parte del mondo e arriva anche Ernest Hemingway, il famoso scrittore americano. Proprio con lui Berrino intreccia una grande amicizia e un attivo scambio culturale. Infatti è dal grande scrittore che Mario riceve il profetico suggerimento di raccogliere su alcune piastrelle di ceramica, le firme dei suoi ospiti più illustri, da porre poi a ornamento del lungo ‘ muretto’ dio Alassio, proprio dirimpetto al grande Caffè Roma. Prende vita così la più grande attrazione turistica mondana degli Anni ’60. Attrici, modelle, vedette internazionali, grandi attori americani e vere star del cinema di tutto il mondo sfileranno lungo il ‘muretto’ di Alassio per lasciare, sotto lo sfavillio di migliaia di flash fotografici, il loro personale autografo in ricordo delle mitiche notti rivierasche.
Passo gli anni e Mario Berrino diviene una vera celebrità. Le fotografie lo ritraggono con i personaggi del jet set internazionale finiscono sulla carta patinata dei più autorevoli rotocalchi della stampa italiana e non. Tutti parlano del mitico ‘muretto’ e tutti i protagonisti del mondo della celluloide non si sentono tali se non hanno la loro ‘stella’ incisa sui marciapiedi di Hollywood e la firma sul ‘muretto’ di Alassio. La moda divampa e per la riviera ligure di ponente, è una vera fortuna.
Alberghi, ristoranti, night club e ogni altro, spuntano come funghi lungo tutta la ‘riviera delle palme’, è il boom economico e lo è soprattutto per i fratelli Berrino.
Gli affari vanno dunque benissimo e Giorgio, Adriano ed Elio (quest’ultimo, ora non è più tra noi) – in realtà nessuno è ora più in vita ndr – si dedicano attivamente all’impresa famigliare, al ricevimento di quegli ospiti illustri e a ogni loro divertimento notturno, perchè quella ‘dolce vita’ nata sui marciapiedi della via Veneto degli anni ’60 a Roma, trovi il suo naturale sfogo anche sulla costa ligure, nella bella ed incantevole Alassio. Sara proprio questa florida stagione economica a procurare, però, in un immediato futuro, molti grattacapi alla famiglia Berrino, anzi veri guai al buona Mario che in tutto questo sfavillio di pailettes e brillantini non ha perso di mira i suoi veri sentimenti.
Da un po di tempo infatti, infastidito da tutta questa improvvisa popolarità e memore dei lunghi periodi di magra vissuti insieme a tante sofferenze durante la guerra, ha riscoperto il piacere di dedicarsi alla cultura, alla ricerca del pensiero e alla cura dello spirito. Da arista sensibile e intelligente sa di dover ringraziare il buon Dio per tutto quanto riccamente ricevuto e pensa bene di visitare anche qualche santuario per aiutare chi è meno fortunato di lui.
Un caro amico gli parla di Padre Pio, il primo sacerdote stigmatizzato della storia della Chiesa e di quanto costui faccia in favore dei poveri, quelli che Gesù chiamava “i più piccoli; addirittura si dice che abbia costruito il più grande ospedale del Sud con i soldi delle elemosine ricevute dai pellegrini, grati per i tanti miracoli ottenuti proprio dalla sua insostituibile preghiera. Gli parlano anche di come Padre Pio celebri la Messa: un interminabile e inesauribile colloquio con Dio, durante il quale il frate soffre e offre i suoi terribili patimenti di crocifisso vivente, in pagamento alle tante sofferenze dei più umili.
“Avevo un gran desiderio di assistere a una messa di Padre Pio. Ero partito partito da Alassio con mia moglie e mio sucero. Mi dissero che il Padre avrebbe detto Messa alle 4,30 del mattino ” ci racconta oggi Mario Berrino. “Eravamo scesi in una pensioncina retta dalle suore, così semplice e spartana da sembrarci profumare di santità. La mattina seguente, il 5 maggio 1962, alle 4,30 in punto, assistemmo alla funzione. Eravamo posizionati al lato destro dell’altare, per chi guarda frontalmente il grande quadro della Madonna delle Grazie, nella chiesetta piccola. E quindi Padre Pio lo vedevamo, dalle primissime file, di profilo destro. Fu un’esperienza irripetibile, la messa durò oltre due ore e mezza ma ci sembrò brevissima, non più lunga di dieci minuti. Finita la celebrazione, il buon Padre Pio ricevette tutti gli uomini e solo uomini, in sacrestia per la confessione. Curvo sull’inginocchiatoio e con il cappuccio ben calzato sul capo, tanto da solo intravederlo, pregò lungamente; assorto totalmente nelle sue orazioni sgranava tra le dita il lungo rosario appeso al cingolo del suo saio. Non volava una mosca, un silenzio totale avvolse tutta la sala della sacrestia. Mio suocero che non era affatto un uomo di chiesa e spesso mal sopportava preti e suore, rimase estasiato, mi disse “Questo si che è un uomo di Dio !”.
Terminata la preghiera, il Padre sali le scale che lo portavano alla sua cella e, a metà rampa, si girò per benedire e salutare tutti i presenti, a quel punto mi lancio uno sguardo profondo e pieno di contenuto che non potrò mai più dimenticare. Poi ci disse: “Buona giornata a tutti !”. Nello stesso punto ove si fermò a pregare, oggi c’è un mio quadro che lo ritrae, regalato da me al Convento diversi anni dopo “.
Quello sguardo, lungo e penetrante, che Padre Pio gli indirizzò solo per pochi istanti dopo essersi alzato dall’inginocchiatoio, doveva però contenere un ben più lungo messaggio che la sola assoluzione per i semplici peccati di tutti i giorni. Sì, perchè fa quella giornata trascorsa in preghiera nella chiesina di San Giovanni Rotondo e in compagnia dell’uomo che sulla terra incarnava in se stesso il tormento della passione di Cristo sulla croce, Mario Berrino se lo ricorderà per tutta la vita. Specialmente qualche anno più tardi quando, suo malgrado, sarà trascinato in una vicenda personale che lo vedrà vittima e carnefice al tempo stesso.
Infatti, a metà dell’anno 21 1974, Mario Berrino viene brutalmente rapito. Un sequestro a scopo di estorsione che gli costerà la bella cifra dell’epoca di ben 300 milioni (quasi 30 miliardi di oggi) e lascerà nella vita del pittore di Alassio un lunga scia di sofferenze ed umiliazioni.
“Nel 1974 fui rapito. prosegue il racconto di Berrino – e pagammo un riscatto di ben 300 milioni. Dovetti trascurare il mio lavoro al Caffè Roma per dedicarmi completamente a fare il pittore di professione. Un giorno una signora di Palermo che aveva un mio quadro mi invitò a tenere una mostra proprio nella sua stessa città, purtroppo solo della durata di un giorno ma che comunque riscosse talmente tanto successo, da farmi iniziare un lungo itinerario di mostre ‘lampo’, insomma sempre della durata di non più di un solo giorno. Attraversai tutta la costa siciliana con, a dire il vero, una grande fortuna inaspettata.
Con i soldi ricavata dalla vendita dei quadri pagavo abbastanza agevolemente le mie rate di mutuo per il prestito bancario di 300 milioni del riscatto (prestito erogato dalla Banca Galleani, allora amministrata dal conte Enrico, gli altri fratelli erano Ingo e Roberto primogenito, quest’ultimo fece qualche utile confidenza al cronista che scrive queste righe ndr). Ricordo che fusi per ben due volte il motore di una grande Ford a furia di mostre lampo. In una mia visita a San Giovanni Rotondo da alcuni miei parenti, presso il notaio Giovanni Frumento e la moglie Maria Rosa, mi sfogai per il cattivo esito del processo perchè stavo ricevendo tanto il ‘danno’ quanto la beffa. Avevo messo nella mani della giustizia i miei rapitori: la polizia sull’auto aveva trovata 22 oggetti da me poi riconosciuti per essere quelli dei giorni della mia segregazione e, nonostante ciò, i malviventi tramite i loro avvocati, veramente di pochi scrupoli, continuavano ad intorbidire le acque.
A tutti i costi volevano coinvolgermi nella vicenda, lasciando credere che io fossi probabile complice del fattaccio e dunque anche simulatore del rapimento. Avevo il cuore a pezzi e il morale sotto le scarpe. Non credevo più a nulla. Solo il Padre fu per me di grande sostegno. Guai se non avessi avuto lui in quel brutto momento.
Maria Rosa mi disse: “Mario telefona a Madre Pura !“. Chi è ?, risposi. E’ una santa ! Pensa che ha assistito sempre il Padre ed è sempre stata a contatto diretto con lui. Vive in Veneto in un antico convento”. Allora la pregai di telefonarle: Pronto…parlo con Madre Pura ?” “No, non c’è…è fuori… no…attenda…perchè sta entrando proprio in questo momento”. Allora Maria Rosa raccontò a Madre Pura tutto quanto capitatomi. Fu una lunga telefonata, al termine della quale la Madre disse: Lo dirò in preghiera a Padre Pio “.
Passarono i giorni e un mercoledì Madre Pura fece telefonare da una sorella a Maria Rosa per dirle di riferirmi questa frase: ” Il Padre vuole fargli sapere, che al termine ci sarà una grande luce!” Poi la suora riattaccò il telefono.
All’indomani andammo in santuario per l’ultima Messa prima della nostra partenza da San Giovanni Rotondo. Alle 10,30 partimmo per Alassio ma dal sagrato, sul gradino del piazzale, Maria Rosa mi ripetè: “…ci sarà una grande luce !”.
La salutai e partii con tutta la famiglia. Pochi giorni dopo il mio avvocato ( mio genero), all’epoca dei fatti componente dello studio legale dell’avv. Uckmar (Genova), mi disse che in tribunale a Savona avevano depositato gli atti del mio rapimento. Andò ad esaminare tutto il poderoso carteggio, circa 22 faldoni. Tornato a casa mi disse di non aver trovato nulla di particolare. Quella sera stessa però, mentre cenava con la moglie, improvvisamente rammento che in un fascicolo, attaccata all’interno della copertina, aveva visto una busta arancione. Il giorno dopo , incuriosito tornò in tribunale alla ricerca di quella busta. Trovatala, l’aprì e rimase sbalordito: era la ‘grande luce ‘!!! Vale a dire, conteneva la lettera che i miei rapitori avevano scritto al loro avvocato confessando il nome dei veri autori del misfatto. Ne feci stampare ben 10 mila copie per distribuirle in tutta Alassio e ne detti a piene mani a tutti, amici e nemici”.
Ecco il documento:
Gentilissimo avv. Nuvolone, 10 settembre 1974. Mi dispiace di non poterlo ricevere personalmente, perchè le miei condizioni e quelli di mio fratello non possono permetterci di uscire dal letto, perchè è tre giorni che abbiamo cominciato lo sciopero della fame.
Questa idea l’abbiamo avuta dopo che sabato mattina siamo venuti a conoscenza che il giudice Ferro (Vincenzo ndr) non aveva rimandato l’ordine di cattura ai Laurettani, i quali sono i veri colpevoli, e loro potrebbero dire tutto del sequestro del sig. Berrino. Se è possibile per Lei venire nella nostra cella, a conferire. Mombelli Ezio, Mombelli Vincenzo.
Credo che quello che stiamo facendo (lo sciopero, drr) lei lo faccia presente alla stampa. In tal caso aspetto una sua risposta in merito se lei non dovesse venire in cella da noi “.
Cos’era dunque accaduto ? Gli avvocati del malviventi, depositando gli atto di parte: memorie, verbali d’interrogatorio e ogni quant’altro, inavvertitamente si erano dimenticati, tra i loro fogli del carteggio, proprio quella lettera. Inviata allo studio legale dal carcere, la missiva conteneva la confessione scritta di pugno dei rapitori. Il diavolo, si sa, ‘fa le pentole ma non i coperchi’, e così quell’attestato di colpevolezza, di vitale importanza per Mario Berrino, scivolando tra i tantissimi documenti del giudizio, era arrivato direttamente nel fascicolo processuale, proprio per mano degli stessi difensori.
Passato poi di mano per più di otto magistrati tra pubblici ministeri, giudici, giudici istruttori e inquirenti, il poderoso carteggio di tutto il procedimento giudiziario non aveva rivelato all’ultimo consigliere d’appello, il rapporto intercorso tra gli arrestati: i fratelli Mombelli e gli ancora latitanti fratelli Laurettani. Gli avvocati dei primi, inoltre, onde attenuare la pena ai propri clienti, se ne erano guardati bene dal produrre questa lettera assai grave per i loro assistiti, lasciando così maturare nella mente del magistrato anche, e sempre più, la convinzione della partecipazione attiva dello stesso Berrino al proprio rapimento. Chissa, forse una specie di ‘autosequestro’ inventato allo scopo di non pagare le tasse per i tantissimi proventi guadagnati dalla famiglia Berrino, lungo tutta la costa ligure, fautrice di quel miracolo economico che rese ancor più mitici gli anni ’60.
Ma Mario Berrino intanto, innocente, ex rapito e defraudato di ben 300 milioni del suo onesto lavoro, era stato anche arrestato, si perchè è da dirsi, la legge quando non ci vede chiaro, arresta tutti, tanto qualcuno colpevole deve pur essere ?! e quindi che paghi !!. Quel semplice foglietto di carta, insomma, diviene per il buon e onesto Mario Berrino, la ‘luce’ profetizzata da Padre Pio e Madre Pura.
Si, proprio quella semplice lettera, scritta dai complici e inviata dal carcere ai propri avvocati, i giudici d’appello poterono ricostruire i fatti così come confessati dagli stessi protagonisti della vicenda.
Un vero miracolo, uno di quelli che avvengono per effetto della Santa Provvidenza, lo stesso effetto che deriva immediatamente da Dio e dall’Agente naturale, come lo stesso san Tommaso scrive….
Dunque Mario Berrino, vittima e , per equivoco della giustizia, carnefice di se stesso, si rivolge disperato a quel Padre Pio che nel non lontano 1962 lo aveva conosciuto e benedetto. Quello sguardo, quel lungo e penetrante sguardo rivoltogli dal frate delle stigmate, ora trova la sua piena giustificazione: Padre Pio lo avrebbe sempre protetto.
Ma per gli uomini come Mario Berrino, onesti, laboriosi e soprattutto innocenti, i guai non terminano mai. Due anni fa infatti, per celebrare i dieci anni dalla fine del lungo processo e ovviamente il miracolo ricevuto da Padre Pio per lo scampato pericolo di rimanere in galera (per il resto della sua vita), Mario decide di erigere ad Alassio un monumento bronzeo a perenne ricordo. All’inizio sono tutti d’accordo, poi…qualcuno dice categoricamente di no. “E’ stato lo stesso parroco della chiesa dell’Immacolata, padre Mariano, e cappuccino anche lui, a essere prima d’accordo con l’iniziativa e poi misteriosamente oppositore – ci racconta Silvio Fasano, fotografo famoso dell’epoca della ‘dolce vita rivierasca’ e amico da quarant’anni di Mario Berrino – secondo l’articolo 1187 del codice canonico, diceva il parroco, non è possibile ospitare vicino ad una chiesa raffigurazioni di culto di opere che riguardano personaggi non beatificati e su Padre Pio, all’epoca dei fatti, la chiesa non si era ancora pronunciata. Ma oggi che tutti sanno che il frate delle stigmate sarà presto santo, la statua di Mario Berrino è già, da un anno e più, monumento cittadino, grazie proprio all’intervento provvidenziale del sindaco, Roberto Avogadro (eletto nella Lega Nord di Umberto Bossi e giovanissimo senatore della Repubblica, lasciato anche l’insegnamento, è prima diventato albergatore a Montalcino, quindi esercente ad Alassio, infine pensionato sempre in corsa nella vita pubblica ndr). Addirittura, nel 1995 il monumento fu inaugurato dall’allora presidente della Camera dei deputati, On. Irene Pivetti (pure lei di fede leghista, oggi piccola diva della tv generalista ndr). E’ certo, la verità e l’innocenza per i giusti, che siano uomini semplici come Berrino o grandi santi come Padre Pio, trionfa sempre”.
Enrico Malatesta
PS: ma cosa nasconde il ‘giallo’ della lettera confessione ? E’ quanto rivelerà nella prossima puntata di trucioli.it il resistente e indomabile Vincenzo Mombelli. Un’altra ‘verità clamorosa’ a oltre 40 anni dai fatti.
E NELL’OTTOBRE DELLO SCORSO ANNO INCIDENTE NEL RITORNO DAL PELLEGRINAGGIO