Chissa perchè la storia dei fratelli Piero e Renzo Costalla non ha mai fatto notizia. Sono titolari dello storico albergo – ristorante Italia di Ormea. In silenzio detengono un guinness che merita di essere rivelato. Mai un giorno di chiusura, servizio a tavola incluso, pranzo e cena. Gemelli di età, classe 1962, e sul lavoro. Il primo si occupa del servizio in sala, il secondo ai fornelli. Uno ha la passione dei cavalli, la figlia partecipa ai concorsi internazionali di salto a ostacoli. L’altro fa collezione di motorini e moto. Con una Guzzi Airone 250 del ’57, un Gabbiano 125 dello stesso anno e una bicicletta Leopoldo Tartarini a motore acquistata ad Alassio da un cliente dell’hotel.
Tempi duri, anzi durissimi abbiamo spesso documentato per Ormea, con Garessio i due pilastri dell’alta Val Tanaro. Ormea che ha avuto i suoi anni di sviluppo, benessere, meta persino di nobiltà. Un Grand Hotel, il Casinò, le fabbriche; basta citare cartiera che ha garantito lavoro dignitoso e una pensione a centinaia di ormeaschi. Un periodo di boom edilizio, da falso benessere si direbbe col senno del poi. Ormea raccontato in almeno una decina di libri, tra storia d’altri tempi e fatti dei giorni nostri. Ormea che come altre località di montagna ha conosciuto dopo gli anni ’60 e ’70 veri e propri esodi alla ricerca di lavoro, di una vita migliore, i figli soprattutto, i nipoti. A resistere le ultime generazioni nate con gli anni della guerra, alcuni testimoni sono ospitati in una moderna struttura – ospizio gestito dall’Ipab, Casa di Riposo Renzo Merlino. Un fiore all’occhiello. Dal settembre 2014 affidata al presidente Luciano Obbia, già a capo della locale Croce Bianca, ma soprattutto esperienza dirigenziale all’ Usl di Cuneo, ora Asl.
Ormea che ormai fonda la sua ‘economia’ prevalentemente sul turismo, con poche presenze significative nella pastorizia, nell’agricoltura, quasi assente la risorsa – filiera del legno, nonostante l’immenso patrimonio boschivo comunale e privato. Nonostante un tema di cui poco si parla, ma che ha risvolti diciamo clamorosi, quello degli usi civici.
Ormea dove c’è una famiglia di albergatori di cui è difficile trovare ‘sosia’ nella pratica quotidiana del mestiere. I Costalla, con gli avi che due secoli fa gestivano una fornace, due figli Carlo e Arnaldo, nel ‘900, hanno acquistato e ristrutturato l’albergo Italia, mastodontico complesso che si affaccia sul Tanaro, a ridosso del centro storico, affacciato sulla statale e sull’area di quella che un tempo era una ‘trafficata’ stazione ferroviaria e che sciaguratamente la politica ha voluto mettere a riposo per ‘mancanza di passeggeri’. E che oggi si vuole fare rivivere con il ‘treno storico’.
Oggi al timone i gemelli Piero e Renzo che sono anche proprietari e gestori del ‘Albergo Bar Payarin, in una zona tranquilla nella frazione Aimoni. Un cugino, Marco Costella, è albergatore e ristoratore a Villa Pinus.
Piero e Renzo festeggeranno almeno in pace il compleanno, il 12 di luglio ? Neanche per sogno, come si lavora in tutte le ‘feste comandate’, Pasqua, Natale, Capodanno. La vecchiaia si avvicina per tutti. Fare gli stacanovisti vale ancora la pena ? E viene da dire, chi ve lo fa fare ? Piero: “Il ristorante non chiude mai, anche perchè c’è una clientela, un giro di lavoro tutto l’anno. La nostra pubblicità è quella della cucina sana, del giusto prezzo, essere sempre aperti, anche quando magari i tavoli occupati sono due o tre. Un servizio, una garanzia che alla fine pagano. Riceviamo complimenti e i clienti tornano. Se c’è la crisi, noi la sopportiamo e cerchiamo di batterla. Io qualche giorno di festa me lo prendo, non tutti insieme, poco alla volta. Del resto il mio amore è Ormea e starmene con i cavalli. Una ventina di purosangue arabi, per corse ad ostacoli. Mia figlia Alessia in questi giorni è in Belgio, con mia moglie, per partecipare ad una gara internazionale e credo si sia classificata al 29° posto tra i giovani; mondiali a cui partecipano altri 27 italiani. Certo, la nostra è una vita di sacrifici, d’estate si tira avanti senza soste, però ci prendiamo delle soddisfazioni”.
Per un’Ormea in fase calante ormai già prima che iniziassero i sei, sette anni di recessione nazionale, l’esempio dei gemelli Costalla dimostra che con la tenacia, la salute ed un po’ di fortuna si può vincere la partita. Anzi può accadere come racconta ancora Piero: “Mia moglie è nata a Montecarlo da padre italiano, si è venduta i beni ed ha scelto la vita di Ormea. E indietro non tornerebbe. Del resto credo di non dire bestialità a sostenere che siamo un paese vivibile, hai tutto”.
Sarà pure così visto da un gran lavoratore, ma per i giovani, i laureati, i diplomati e non solo. Piero: “Non saremo nel paese del bengodi, alcune professioni qui non hanno sbocco, però posso dire che tanta gente giovane non si adegua a fare certi lavori, certi orari, non essere liberi alle feste. Tirare tardi la sera. Per loro sacrificarsi non va più di moda, ecco i risultati”.
Anche l’albergo Italia avrebbe bisogno di restyling, non è detto non accada. Il mercato immobiliare avrebbe iniziato a dare segni di ripresa e si parla di un buon numero di case vendute. A Ormea con 10 – 20 mila euro si può comprare un immobile da ristrutturare. Ce n’è uno su tre piani di 50 mq, al prezzo di 8 mila euro. Ormea rimasta orfana delle sue storiche fabbriche dove la macchina può girare a pieni giri se si riesce a fare in modo che la mano pubblica (Stato, Regione, Provincia, Comune) crei le condizioni perchè il privato investa, chi ha attività non sia oberato da balzelli, il sistema bancario sia di incentivo. Ormea non può camminare solo con il terziario, l’industria del legno è un patrimonio da sfruttare, così come l’aria salubre, fonte di salute e relax. Senza dimenticare che alcune sorgenti di Ormea possono competere con blasonate acque oligominerale che si promuovono in tivù, sui giornali, negli stadi.
Il rilancio di Ormea potrebbe davvero segnare una svolta e rendere plausibile l’indiscrezione che potrebbe essere venduta la storica villa, oggi abbandonata, di Angiolo Silvio Novaro, poeta, impreziosita dalla dipendence, dall’opera di un pittore che anni fa aveva magistralmente recuperato vecchi affreschi. L’ultimo proprietario la famiglia Ferrero di Ceva, costruttori, con l’eredità a tre fratelli e due ancora in vita.
Luciano Corrado