“Il Cuore a Ormea” è – o forse solo sembra – una passeggiata sentimentale nei ricordi del passato. Come tale l’apprezzo, anche se mi rende perplesso. Perché anch’io potrei fare almeno una ventina di passeggiate sentimentali, nei vari luoghi dove ho abitato, in quelli a cui sono rimasto più affezionato e così via: non l’ho mai fatto supponendo che non possano interessare a nessuno. Riconosco che qualcuno – per esempio Marcel Proust – di queste ricerche nel tempo perduto ha fatto una ragione di vita. E riconosco che qualche volta la forza del ricordo e quella del sentimento che ne emerge possano funzionare. Allora mi domando perché cose del genere non le facciamo tutti.
Perché ogni vita ha i suoi ricordi, le sue ‘struggenze’ e le sue poesie. Ma se ognuno di noi ne scrivesse, forse sarebbe un’alluvione. Io dovrei scrivere almeno una dozzina di libri, altri probabilmente altrettanti e anche la dottoressa Carla Bollini, sebbene (a mia conoscenza) si sia limitata a Ormea. Moltiplicando questi piccoli numeri per un paio di milioni di italiani dalla penna facile, vengono fuori una dozzina di milioni di libri, impossibili da pubblicare e da vendere, destinati ad inflazionare il numero degli inediti e degli autori frustrati.
Se qualcuno vuole che scriva un libro sulla mia infanzia a Roma, di fronte alla villa Torlonia dove abitavano Mussolini e la sua famiglia e nel cui giardino sbirciavo per ore col binocolo dalla finestra di mia nonna, non c’è problema. E neppure se si preferisce un racconto dei due anni passati a Quinto, in una casa che non c’è più e della quale io, con qualche cugino, abbiamo uno struggente rimpianto e della quale, quando è stata demolita per una speculazione edilizia, nessuno si è preoccupato di scattare una (una sola!) foto. Oppure se si vuole che racconti delle mie estati a Rovegno.
Ma poi si scopre che la vita di tutti noi è piena di episodi importanti per loro e insignificanti per chiunque altro. E, a questo punto, forse è opportuno entrare nello scopo dei libri e della cultura che ne proviene. Serve a qualcosa tramandare agli altri le proprie esperienze di vita? Forse si. Serve a qualcosa pubblicare poesie, che rappresentano soprattutto il proprio modo di essere. Forse si. Ma, poi, ci sarà qualcuno che legge? Forse pochi, forse nessuno, forse la risposta è ‘chissenefrega’. Allora, forse, tutto questo serve se si tratta di un’opera d’arte: forse è ciò che è successo a Montale, a D’Annunzio, a Proust e, un po’ meno, a Angiolo Silvio Novaro, la cui poesiola sulla pioggerellina di marzo avevo letto da bambino. Personalmente non mi interessano neppure queste opere d’arte e neppure questi autori. E, sempre personalmente, ho scritto libri di ben altro spessore, tutti immolati sull’altare del ‘chissenefrega’, anche quando avevano la pretesa di essere utili in qualche modo alla comunità.
In ogni modo non nego al libro un suo significato, un suo calore, una sua simpatia e perfino una sua utilità, soprattutto a Ormea: magari ci fossero tanti che ne parlano e che riescono a farsi leggere. Magari ci fosse qualcuno che, stimolato da libri del genere, decide di tornare a Ormea ogni tanto perché si accorge che ne vale la pena anche per lui, oltre che per la località, le montagne, i boschi e le passeggiate lungo il Tanaro.
UN ORRORE LE STREGHE DI TRIORA
Detto questo sul volume e sul suo significato, ho da aggiungere qualcosa su qualche spunto preso qua e là nel testo. Per esempio, di Triora si può e si dovrebbe dire molto di più e molto di peggio. La faccenda delle streghe è un orrore, e il fatto di averla trasformata in una leggenda utile ad attirare i turisti mette la pelle d’oca, quasi che si speculasse sulla fama di Auschwitz per una speculazione immobiliare. Fortuna che ad Ormea non è successo nulla del genere, sarei passato oltre senza fermarmi, così come ho fatto con Triora, appunto.
IL TRENINO SOPPRESSO, ALTRO CHE RICORDO !
Quanto alla faccenda del trenino, secondo me dovrebbe essere molto più che un ricordo: i due vagoncini azzurri erano una pena. Poi sono diventati un solo vagoncino sporco e puzzolente. Un monumento ambulante su come certe cose non vanno gestite. La ferrovia Ceva/Ormea va vista pure come un’opportunità, vederla solo come un dolce ricordo mi sembra uno spreco.
LA CHIESA PARROCCHIALE E’ BELLA?
Affermare che la Chiesa Parrocchiale di Ormea sia molto bella, mi sembra qualcosa di più di una forzatura sentimentale. La trovo brutta, scura, cupa, fredda, sgradevole. So che il bello dipende soprattutto da un fatto personale ma, allora, trovo molto più bella la chiesa di Eca, quella di Villaro con i suoi affreschi che si vanno disfacendo per l’umidità, quella di Albra arrampicata su un cocuzzolo e con una cappella ormai staccata e che un giorno o l’altro scenderà a valle. E soprattutto, la cappelletta della Madonna del Carmine, per la quale da anni mi batto inutilmente perché venga riparata, messa in sicurezza e della quale la persona responsabile della provincia di Cuneo per la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte ha detto testualmente che “è un vero gioiellino”. L’inesattezza più incredibile contenuta nel libro è quella di attribuire a Ormea la qualifica di località turistica anche invernale per gli impianti sciistici che un tempo non esistevano. No, l’autrice può stare tranquilla, non esistono neppure oggi, non c’è neppure l’ombra. E, quanto ai turisti invernali, tolto Natale temo che sia la stessa cosa.
Come vede, per una persona che cerca di essere razionale e di badare al sodo, ho scritto anche troppo. Per utilità dei cittadini interessati a scoprire le tante bellezze troppo poco valorizzate- anche a fini turistici e culturali – ecco qualche altra fotografia di chiese. A dimostrare che nei boschi di Ormea c’è qualcosa di buono.
Filippo Bonfiglietti
SUL NUMERO 46 DI TRUCIOLI.IT ABBIAMO PRESENTATO
IL LIBRO DI CARLA BOLLINI: Il CUORE A ORMEA
Nella copiosa storia delle pubblicazione su Ormea bisogna aggiungere l’ultimo arrivato. Per ora ci limitiamo a presentare l’autrice, Carla Bollini, nata e vivente in provincia di Cuneo. Sempre impegnata alla scoperta dei piccoli borghi, un grande amore per gli animali e la natura. Anestesista ospedaliera, frequentatrice di Ormea da giovanissima. Edizioni Color&more, la dr.ssa Bollini ha dedicato il libro (119 pagine, 14 euro) “A mio padre e alla sua Ormea: le plus beau coin del nos Alpes”.
Nella prefazione il sindaco Gianfranco Benzo scrive: “Un libro è sempre un’occasione di festa…Raccontando i viaggi e le vacanze nel paese dove nacque il padre, si immedesima nella atmosfere, descrive luoghi e personaggi, coglie e percepisce persino i rumori e gli odori della piccola città di montagna...”.
Il primo cittadino, manager e già dirigente d’azienda in campo internazionale, laureato in agraria, richiamato più volte a reggere le sorti del suo paese, fa un cenno verbale a San Faustino del quale Ormea ospita alcune soglie, patrono dei single, gli eterni ricercatori dell’amore. Il caso vuole si festeggi il giorno dopo San Valentino (14 febbraio) festa degli innamorati.