La proposta di una presentazione autonoma delle forze della sinistra italiana non è dovuta a un rigurgito massimalista e/o meramente identitario (anche se la questione dell’identità è seria e non può essere sottovalutata) ma a una analisi, che mi permetto di ritenere sufficientemente compiuta, riguardante lo stato dell’arte del sistema politico italiano.
L’Italia rimane un “caso”, nel contesto internazionale e specificatamente europeo, laddove, all’interno della confusa fase di transizione apertasi attraverso la furia iconoclasta che aveva distrutto, nel 1993, la Repubblica dei Partiti si sono verificati tre fenomeni molto particolari.
a) L’assoluta inefficacia del meccanismo dell’alternanza di governo pur realizzatasi attraverso l’assunzione di un profilo bipolare a livello sistemico, esauritosi nel 2006 con l’adozione di un nuovo sistema elettorale e la disastrosa prova di governo realizzata dalla cosiddetta “Unione” (prova di governo che, nella sua effettualità di “disastro” minaccia apertamente di ripetersi in caso di successo nelle prossime elezioni, del variegato schieramento raccoltosi attorno al balzano meccanismo delle “primarie” indette dal PD)
b) La lunga assunzione di un ruolo di governo, rivelatosi assolutamente esiziale per l’economia e la credibilità internazionale del Paese, da parte di una destra populista composta, da una parte, da un soggetto di tipo personalistico del tutto privo di una qualche capacità politica complessiva che non fosse legata agli interessi diretti del suo padrone e dall’altro dal tentativo di mettere in discussione la stessa tenuta unitaria dello Stato, già messa a dura prova dalla crisi dello “Stato-nazione” dovuta, nello specifico, dell’affermarsi dei meccanismi europei:
c) L’attuale situazione di “democrazia sospesa” dovuta all’avvento del cosiddetto “governo dei tecnici” sorto in una situazione border-line sul piano della legittimità costituzionale e in grado di portare avanti una feroce politica anti-popolare in chiave meramente ideologica attorno alla riproposizione, dal punto di vista padronale dell’antico ma sempre moderno “concetto di classe”.
Il provvedimento emblematico assunto surrettiziamente in questa fase e assolutamente indicativo di questa situazione è stato sicuramente quello della modifica dell’articolo 81 della Costituzione Repubblicana, con l’imposizione del pareggio di bilancio.
Ecco: più ancora che attraverso il referendum sulle modifiche all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la riscossa di una sinistra nuovamente parlamentare passerebbe, a mio modesto avviso, attraverso una battaglia di abolizione delle modifiche apportate – appunto – all’articolo 81 della nostra carta fondamentale e, quindi, con una riconsiderazione anche a livello teorico del concetto di “deficit spendig” e di primato della politica sull’economia.
In quest’ambito la sinistra, di tradizione comunista e socialista, è rimasta fuori dal Parlamento e non faccio qui la storia delle ragioni di questo crollo. Dovrebbero riuscire a farla, serenamente, i dirigenti dei partiti e dei soggetti politici attivi in campo nel corso di questi ultimi 15 anni e principali protagonisti di questa sconfitta storica.
Quello che interessa affermare in questo momento può essere ridotto a due punti:
1) Non esiste, al momento, uno schieramento di centrosinistra che possa garantire, attraverso un normale meccanismo di competizione elettorale, una efficace alternanza di governo, anche semplicemente posto sul piano della socialdemocrazia classica come avviene in altri Paesi d’Europa.
Questo elemento accade perché la trasformazione/riaggregazione dei partiti della sinistra storica, segnata nel nostro Paese per un lungo periodo dalla “diversità” del PCI, non è stata compiuta nel segno di una alternativa se non di sistema almeno di diverso riferimento complessivo sul piano programmatico al riguardo del quadro internazionale, dell’economia, del rapporto con i temi del “sociale”, della qualità della democrazia. L’introiettamento dell’ideologia liberista da parte del soggetto principale di questo campo, il PD, rende vano un tentativo, eventuale, di affermazione di un meccanismo di alternanza/alternativa e del tutto minoritaria, perdente, subalterna la presenza di soggetti che intendano misurarsi, in questo campo, con una tematica di governo alternativo.
Tanto più che il quadro complessivo è, a questo proposito, reso ancor più opaco dal peso di una situazione europea che andrebbe ben diversamente affrontata (fiscal compact, ecc). Il recinto di quello che, anche non è così, continuiamo a chiamare impropriamente centro-sinistra, non garantisce assolutamente una qualche possibilità di fuoriuscita dalle politiche liberiste fin qui perseguite e appoggiate, ben al di là della cosiddetta “agenda Monti”;
2) La sola possibilità di ripresa sul piano politico, oltre ovviamente alla continuità nell’iniziativa sociale, risiede in questo momento in un afflato unitario di tutti i soggetti di sinistra, al di là della loro tradizione e della loro attuale collocazione all’interno del quadro politico, per tentare, in piena autonomia (l’autonomia politica da altri schieramenti “conditio sine qua non” di un possibile recupero di presenza anche istituzionale, che in altre condizioni si rivelerebbe semplicemente una collocazione personalistica di qualche dirigente, del resto già protagonista, con ogni probabilità del fallimento del Governo Prodi e, successivamente, della Lista Arcobaleno).
E’ evidente, in queste condizioni, come un’eventuale, possibile, rappresentanza parlamentare non possa collocarsi che in una condizione di opposizione, significando la prospettiva di una concreta alternativa.
Il mio auspicio, in chiusura, è quello del moltiplicarsi di iniziative attorno al nodo di una presentazione elettorale unitaria e autonoma: una esigenza ineludibile e urgente da affrontare attraverso una metodologia di pieno coinvolgimento dal basso di quella base militante, all’interno della quale – inutile negarlo, si sono verificati evidenti fenomeni di distacco che debbono essere assolutamente recuperati.
Franco Astengo