10, 100, 1000 Peer Gynt.
di Sergio Bevilacqua
Il Teatro Due di Parma, da decenni tempio della sperimentazione, il 20 e 21 giugno 2023 ha messo in scena, per la regia di Daniele Abbado, un ispirato “Peer Gynt”, opera tardo ottocentesca ma modernissima di due norvegesi, il grande drammaturgo Henrik Ibsen e il grande musicista Edvard Grieg. Lo spettacolo è stato godibilissimo e perfetto, e la sua qualità mi ha riportato alla mente alcune riflessioni dolorose sul Teatro in Italia oggi: perché non 10, 100, 1000 spettacoli come questo?
Iniziamo dalla fine: il signorilissimo libretto apre lo scenario maneggevole e quasi chiropratico dell’esperienza postuma. Gemma tra le gemme di questa splendida (splende come una stella!) produzione, racconta il delicato equilibrismo della regia e della fruizione contemporanea di un pregiato lavoro di teatro e musica.
Il tema, va detto, è il bildung roman di una psicologia pre-psicanalitica, vagamente wagneriana e fortemente nordica.
Gli elementi che la mente drammaturgica di Ibsen ben inquadra nel personaggio di Peer Gynt ruotano intorno a un problem child, che è anche un question mark emblematico ancor’oggi, Umano tout-court incluso. Il suo profilo affascina e piace soprattutto alle donne del dramma: la madre stessa, pur criticandolo aspramente per la sua incontenibile mutevolezza in un velleitario palleggiarsi tra illusione e realtà, lo adora, fino ad abbandonarsi, prima della morte, a una cavalcata pegasiana con le briglie nelle mani del figlio: egli le regala così, in extremis, un’ultima volta quei mondi che la vita non dona, se non è guidata dalla fantasia creatrice.
Il segno del Padre che ha dissipato fortuna e tranquillità familiare lo condiziona e, a cavallo appunto di illusione e realtà, avveduto della sfida al reale e all’immaginario (i Troll), Peer costruisce un suo avvincente simbolico, adorato da donne di tutti i tipi, che si eccitano per il tenore di sfida che Peer emana e, consumata l’emozione, meno elevate sono, più lo sfruttano… Lui nasce debole, reso inabile da un edipo non vissuto: è disperatamente materiale e superficiale, come un significante incompiuto corre nella vita alla ricerca del suo significato, come fanno i pazzi, e il suo progetto è di cieca affermazione individuale. Ma la sua cecità morale e sociale lo spinge proprio nei mondi incantati dell’immaginario, a proporre avventure d’ogni tipo un pò per tutti (tutte), fino a convincere quasi anche la Oscura Sorella, nei panni pressoché insensibili (ibsensibili…) del fonditore di bottoni. Daniele Abbado ha saputo donare fresca linfa a un lavoro ispiratissimo, dove un Grieg giustamente perplesso ma anch’egli sedotto, dona note di preciso equilibrio, penetrate da tempo nel gotha della sinfonia.
Le numerose presenze degli attori sul palcoscenico brillano tutte di luce propria oltreché di quella riflessa dalla grandissima interpretazione di Pavel Zelinsky (Peer Gynt). Insieme al numeroso corpo musicale dell’orchestra La Fil, Filarmonica di Milano, ci fanno godere egoisticamente di questa bellissima produzione, che vorremmo vedere replicata in 1000 teatri, ma che incontra un profilo economico, interno ed esterno, purtroppo contrario, di problematica gestione.
Mi auguro che sia davvero l’eccezione, che conferma la tragica regola di un teatro d’alto profilo costretto in circuiti commerciali asfittici, sbranato dall’alto da produzioni cassettare spesso inqualificabili, e dal basso dal dilettantismo e dall’amatoriale sprovveduto e opportunistico.
Questo Peer Gynt è esempio ispirativo e poietico della capacità registica italiana nonché delle grandi qualità artistico-attoriali disponibili… E allora, che fare per dare il giusto lustro?
Mi sembra di poter dire che la via non è solo quella di sostenere il prodotto teatrale (o artistico in genere) con sovvenzioni e finanziamenti. Spettacoli come questo Peer Gynt sono affascinante per noi come lo sarebbero per tutti i turisti che vengono in Italia, a raddoppiare una domanda potenziale… E perché ieri Teatro Due di Parma non aveva in cartellone 20 repliche di questo piccolo-grande capolavoro di messinscena?
Di chi è la colpa? Non del prodotto, lo spettacolo è stupendo per pressoché tutti i palati. Non della pubblicità o della comunicazione: il bacino può produrre altre repliche magari a Reggio Emilia o nei dintorni, e va pure bene…
Ma quanto costa questo allestimento, con tutta quella deliziosa carne al fuoco? Eppure così va fatto!
E allora? Vanno destati nuovi flussi. Va collegato il turismo con l’intrattenimento in modo meccanico e preordinato. Occorre passare a un’altra fase della strategia economico-culturale italiana, che potrà esistere solo con una diversa politica economico-turistica. Allora, il mercato potenziale si moltiplicherà con vendite prenotate da mesi, e questo meraviglioso Peer Gynt, come tante altre produzioni di quel livello, potranno avvenire serenamente e dare respiro al grande messaggio culturale globale, antropocenico, mediatizzato e ginecoforico che questo humus straordinario, variegato, di gran classe che è proprio solo dello Stivale.
Il piacere di eventi artistici come questo Peer Gynt non può e non deve essere quello di 1000 esseri umani che si strizzano l’occhio a fine spettacolo, ben sapendo di essere stati i pochi privilegiati che ne hanno potuto godere!
Sergio Bevilacqua