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Liguria e Basso Piemonte

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Pietra Ligure: ma quale era il significato vero del Con­fuoco durante i secoli passati? Cosa succedeva


Cenni sulla storia e sul significato di una celebrazione natalizia genovese e ligure: il Confuoco

di Mario Carrara 

Uno sguardo sulla sua ripresa a Pietra Ligure e sulle sue origini e vicissitudini al tempo glorioso della Repubblica di Genova.

La “ripresa” del Confuoco a Pietra Ligure

A Pietra Ligure, nei tempi moderni, l’antica cerimonia del CONFUOCO si svolse per la prima volta, nel 1977, su iniziativa della società di ricerche storiche e salvaguardia delle tradizioni: “Centro Storico Pietrese”, di­retta da Giacomo Accame.

Quella prima cerimonia si svolse con la consegna di una semplice e spontanea espressione augurale al Sindaco ed al Presidente dell’Azienda Autonoma di soggiorno e turismo di allora: i compianti Nicolò Tortarolo ed Angelo Spotorno.

Dall’anno successivo, la festa venne tenuta all’aperto, con una certa curiosità della gente, che, non sapendo di che cosa si trattasse, pensava fosse una via di mezzo tra una parata storico folclo­ristica e una festa di carattere natalizio, fatta culminare con l’accensione del fascio di ALLORO, “l’oibaa”, al centro della piazza Vecchia.

Da allora ad oggi il “Confuoco” ha per­corso molto cammino, diventando un appuntamento fisso del periodo prenatalizio di Pietra Ligure. Ai tempi della Repubblica di Genova.

Stampa del Peschiera tratta dalla rivista “A Compagna” del 3 Giugno 1928

Ma qual era il significato vero del Con­fuoco, durante i secoli passati? Che cosa succedeva effettivamente durante questa festa ai tem­pi della Repubblica di Genova, quando il Confuoco rappresen­tava un’occasione di vero giubilo e solennità, tanto da coinvolgere le massime Istitu­zioni dello Stato e muovere moltitudini di popolo?

Sembra che il Confuoco possa esser fatto risalire fino al 1307, quando la Repubblica di Genova, nominò o istituì, per la prima volta, la figura dell’ Abate.

Questi, a differenza del significato che questa carica rappresenta ai nostri giorni, cioè strettamente di natura “ecclesiastica’, nel­ medioevo, a Genova, designava, invece, tutt’altra istituzione di carattere civile. Nella Repubblica di Genova, una Repubblica sostanzialmente oligarchica, basata sul potere concentrato nelle mani dell’aristocrazia, o meglio, di poche famiglie aristocratiche, l’Abate era il rappresentante delle classi imprenditoriali, dei lavoratori, della gente comune: era “l’Abate del popolo”.

L’Abate faceva, quindi, da contrappeso al potere esercitato dalla classe dominante dei nobili e delle grandi, loro fami­glie; era una specie, a grandi linee, del Tribuno della plebe dell’antica Roma repubblicana.

Ebbene, per confermare che l’intesa tra aristocrazia e nobiltà, da una parte e popolo dall’altra, sulla quale si fon­dava la stabilità dello Stato, “reggeva’; e per dimostrarlo a tutti, facendo un atto formale concreto in modo palese e ostentando­lo sotto gli occhi di tutti, al chiaro scopo politico di dare una rassicurazione gene­rale, nel periodo più antico venne istituita questa cerimonia di “incontro” tra gli esponenti delle due parti: quella aristocratica, il ceto dominante e quella del popolo, sostanzialmente dei sudditi; cerimonia che veniva tenuta proprio in un momento cruciale, fondamentale del cor­so dell’anno, cioè il giorno del Capodanno genovese, dato che a Genova, come in molti altri Stati italiani e stranieri, l’anno civile non iniziava, come nel nostro moderno calendario, il primo Gen­naio, bensì, essendo il tempo computato con riferimento preciso al giorno della nascita di Gesù, iniziava proprio il giorno di Natale, secondo uno stile detto, appunto, “della Na­tività”; si cumulava, così, in una doppia solennità, la celebra­zione della maggiore festa cristiana con la celebrazione dell’inizio dell’anno civile.

La cerimonia, con il passar del tempo, subì modifiche ed evoluzioni, aggiornate, via via, ai cambiamenti istituzionali interni che ebbe la Repubblica genovese; il Confuoco, infatti, fu rivolto dapprima ai Consoli, poi al Podestà, quindi al Capitano del popolo; infine, quando la forma dello Stato assunse l’assetto definitivo di una Repubblica basata su un Senato oligarchico, con un suo capo elettivo, che aveva, però, la dignità ed i paramenti di un re, si rivolse al Doge.

Anche la figura dell’ Abate evolse, in seguito, in quella di rappresentante delle comunità delle vallate circostanti la città di Genova, cioè del “Polcevera” e del “Bisagno”, cui spettava l’incarico di porgere solennemente gli Auguri al Doge; compito, in un secondo tempo e definitivamente, riservato al solo Abate della vallata del “Bisagno”.

La cerimonia del Confuoco seguiva un rituale consolidato, fastoso e solenne. Il suo inizio si teneva presso il ponte di Sant’Agata, sul Bisagno, ove si svolgeva il passaggio delle consegne tra il nuo­vo Abate, neoeletto, e l’Abate uscente, tramite la consegna da parte di quest’ultimo al successore dello stendardo di San Giorgio, accompagnata da frasi rituali solenni.

Veniva, quindi, a formarsi, imponente per la partecipazione di popolo, un corteo guidato dal nuovo Abate, che precedeva un carro trainato da otto coppie di buoi adornati di ghirlande; sul carro era posto un grosso fascio d’alloro decorato con mazzetti di fiori multicolori e lunghi nastri variopinti; seguivano i capofamiglia muniti di molte bandiere rossocrociate della repubblica, fatte svolazzare in evoluzioni nello stile di quelle dei moderni sbandieratori, quindi, dietro a loro, procedevano i notabili; chiudevano il corteo valligiani e popolo genovese. Raggiunte le mura della Città a porta d’Archi, il corteo veniva affiancato da un drappello militare con funzione di scorta d’onore.

Giunto il corteo in Piazza del Palazzo Ducale, al suono delle trombe araldiche, veniva dato avvio alla cerimonia.

Il Doge, in pompa magna, scendendo dallo scalone del palazzo con tutte le insegne della regalità istituzionale, seguito dal personale di corte, andava incontro all’Abate; a questo punto, pronunciando delle precise, inderogabili formule di rito, venivano scambiati reciprocamente gli Auguri; iniziava l’Abate: “Ben truvou, Messer ro Duxe“, cui il Doge rispondeva: “Benvegnu, Messer l’Abbou“; quindi, l’Abate, esprimendo gli Auguri Natalizi e di Buon Anno, offriva al Doge il Confuoco d’alloro; a sua volta, il Doge, nel porgere il suo benvenuto, faceva distribuire alla folla confetti, arance, vino in abbondanza e, massimamente graditi, soldi….

Calata la sera, il Doge, con i rappresentanti del Senato, tornava presso il fascio d’alloro cui appiccava il fuoco, irro­randolo con spruzzi di vino, mentre l’Arcivescovo, presente anch’egli con i paramenti solenni, concludeva il rito con l’aspersione di acqua benedetta.

Da come il fuoco bruciava, da come la fiamma si alzava verso il cielo, se ritta e giocosa oppure floscia e ansimante, il popolo traeva auspici per il nuovo anno che, l’indomani, giorno di Natale e Capodanno genovese, stava per aprirsi (cosa che nei nostri nuovi Confuochi contemporanei avrebbe, ben difficilmente una qualche validità, specie se venissero “cosparsi” precedentemente di liquido infiammabi­le: per garantire la produzione di una fiammata di sicuro effetto).

All’epoca della Repubblica di Genova, in cui i riti, il rispetto per la perpetuità delle tradizioni, gli auspici, i “segni” empirici che si potevano trarre dalle forze della natura e del tempo e dell’esito incerto di immutabili cerimoniali tramandati, il Confuoco, pur nella sua gioiosità, era una cerimonia dal valore terribilmente serio: rivestiva un carattere quasi “sacrale”.

“... Et tutto il fuoco fu portato via in giubilo di tutti al suono di trombe e tamburri collo sparo di mortaretti, cose tutte che accrebbero la solennità “, così scriveva un con­temporaneo: Alessandro Giustiniani, ricordando un Con­fuoco cui era intervenuto di persona.

Infatti, dopo l’incendio dell’alloro si scatenava la caccia ai suoi carboni, alle braci, considerati dotati di virtù terapeutiche, se non proprio magiche, dalla gente; tanto, che venne coniato un detto a mò di auspicio: ‘Che e sinsène du Cun­fegu i te preserven d’an Dena a l’atru” (Che le faville del Confuoco ti possano proteggere -portar fortuna- da un Natale all’altro). Le braci, i carboni della combustione dell’alloro, erano conservati tutto l’anno per essere utilizzati quando fossero insorte malattie, dolori, eruzioni cutanee, piaghe, ecc.: bastava sfregare la “sinsena” del Confuoco sulla parte dolente che la malattia spariva…

Tanto era forte e consolidata questa credenza che, nel 1491, ad una pretesa degli abitanti di Castelletto di avere in assegnazione a loro tutti i pezzi d’alloro bruciati, il governatore fu costretto ad affidarli al questore affinché li distribuisse, invece, equamente tra tutti i cittadini.

Intorno al fascio ardente si scatenavano canti, balli, bevute di vino, spari di moschetti. …. Tutte cose che, nell’euforia generale, davano sovente luogo ad esuberanze ed eccessi, degenerati spesso in veri e propri tumulti e in problemi di ordine pubblico; fu così che nel 1637, il Confuoco venne riformato e ridotto alla semplice consegna di un mazzo di fiori al Doge.

In seguito, tanto era sentita questa cerimonia da tutto il popolo, da esser ripresa con rinnovato vigore; con la proi­bizione, tuttavia, degli eccessi nei quali era precedentemente caduta, ma con il mantenimento, emblematico e fondamentale, delle forme che confermavano l’intesa tra le due parti sociali e politiche su cui si reggeva la Repub­blica, nonché del significato di rappresentanza popolare e territoriale da questa stessa cerimonia sempre rivestito.

Il 24 Dicembre 1796, l’Abate delle badie del Bisagno, An­tonio Bazzorro, della parrocchia di San Martino di Struppa, si inchinava a Sua serenità il Doge: ma era l’ultima volta. Infatti, la rivoluzione francese, che travolse la secolare Repubblica di Genova, il 13 Giugno 1797, pose fine alle sue istituzioni e conseguentemente alle sue tradizioni, cosicché anche il Confuoco, visto con sospetto ed odio come una delle cerimonie più antiche, non venne più consentito che si celebrasse, in quanto considerato rito superstizioso, superato dalla modernità rivoluzionaria.

Il numero di Dicembre 1797 della “Gazzetta di Genova“non citava più né la rinnovazione della carica dell’Aba­te, né che si sarebbe tenuta la tradizionale cerimonia del Confuoco, dopo tanti secoli, abolita per volontà del governo fran­cese, in odio a tutto ciò che poteva ricordare il passato.

Tra le altre cose, con la dominazione francese, il giorno di Natale non veniva più a coincidere con il Capodanno perché, nel frattempo, il calendario era stato riformato nel senso di esser riportato ad iniziare col primo Gennaio e non più, appunto, come usava a Genova, a Natale, venendo così meno una delle più importanti motivazioni di svolgimento del Con­fuoco stesso. Bisognerà attendere fino ai primi decenni del novecento, perché a Genova, su iniziativa della società di storia ligure “A Compagna” e, poi, successivamente in varie altre località della Liguria, ove l’amore per le vecchie tradizioni non venne mai meno, il Confuoco, sulla traccia dell’antico spirito dei nostri antenati, fosse riproposto, ritornando a nuova vita.

Da appunti tratti da una conferenza sul Confuoco tenuta dall’autore nel municipio di Pietra Ligure nel 2008 e quindi riportati su Res Publica.

Mario Carrara

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DA RES PUBBLICA GAZZETTINO DI PIETRA LIGURE, UNA FOTO IN BIANCO E NERO DA ANNALI STORICI…

UN’OCCASIONE PER PORGERE GLI AUGURI AD UN EMERITO CITTADINO PIETRESE CHE ONORA LA SUA CITTA’

Piero Traverso mostra a un perplesso Mario Arzani un materiale ancora sconosciuto a quasi tutti gli addetti ai lavori: siamo negli anni cinquanta ed è appena stata scoperta la vetroresina. “Pierin” fu tra i primi a usarla. Da allora è stata utilizzata per la costruzione di oggetti esposti agli agenti atmosferici, in particolare: automobili e imbarcazioni, piscine, serbatoi, lucernari, box telefonici. Per le eccellenti doti di leggerezza, solidità, resistenza alla fatica la vetroresina viene anche usata nel settore aeronautico, nella costruzione delle pale eoliche, nella produzione di attrezzi sportivi. Per la sua resistenza alla corrosione in ambienti basici come l’acqua marina la vetroresina viene utilizzata per produrre tubazioni, vasche, silos, grigliati.

 


M.Carrara

M.Carrara

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