Destra o sinistra non cambia molto, per la Repubblica: o partiti ben organizzati o la sua fine. Al centro di tutto, una legge sul funzionamento dei partiti politici.
di Sergio Bevilacqua
I poteri forti che hanno guidato l’Italia democratica e repubblicana nelle ultime stagioni politiche hanno coscientemente adottato le condizioni peggiori per l’elezione dell’organo sovrano di questa Repubblica, il Parlamento. Estate, problemi tecnici, legge elettorale molto dibattuta e criticata, forze politiche impreparate: insomma il giusto mix per una pessima performance democratica, che potesse preludere a un ulteriore avvento alieno…
E così è la situazione, per il momento. Senza nulla togliere ai protagonisti di questa tenzone: sempre i leader in primo piano, i partiti (cioè gli organismi ai quali la Costituzione, il buon senso e la esperienza bisecolare delle grandi democrazie occidentali, secondo il principio della rappresentanza), soltanto dietro. Qualora presenti, beninteso, e mi sento di dire che il solo caso è quello del PD, di essere un partito abbastanza organizzato. In assenza (ma è anche il caso del PD, partito sì, ma con serissimi problemi), ecco i candidati nell’uninominale e nell’altro scelti direttamente dai leader o in taluni casi da loro vassalli.
Insomma, nessuna vera democrazia, né a destra né a sinistra, tribù all’assalto dello Stato per ottenere dal proprio posizionamento qua o là i soliti vantaggi personali o, nella migliore delle ipotesi, animati da un sacro fuoco che, da soli, senza una solida organizzazione di partito alle spalle, si spegne subito e ottiene poco o nulla.
Perché la democrazia è una catena che richiede un anello fondamentale, quello delle organizzazioni di partito. Per questo il PD è incomprimibile al suo 20% circa: è collegato ai corpi sociali intermedi, ha dalla sua i sindacati, molti patronati, il terzo settore del volontariato e, dopo la svolta non comunista, ha intessuto buoni rapporti con il mondo dell’economia; è riconosciuto a livello internazionale come interlocutore affidabile, pluritestato e capace di operare sullo Stato in modo “pratico” (il Deep-State). L’altra prova è la volatilità di un 20% abbondante di voti: Renzi, Grillo, Salvini, ora la Meloni. Se ci fossero state serie strutture di rappresentanza, al di là del successo elettorale, questi elettori sarebbero rimasti legati al simbolo, non solo per ideali sociali ed economici ma anche per servizi concerti.
Ora, visto che, a parte il PD, gli altri questa organizzazione non ce l’hanno, vedremo cosa succederà. Ridicole le giustificazioni: la forma partito della sinistra è sbagliata, a destra ce ne deve essere un’altra, basta sull’individuo e non sull’organizzazione. Nella passata legislatura, il fallimento di Salvini fuggiasco la dice lunga… limiti suoi di sicuro, ma anche nessuna solidità alle sue spalle, nessun partito vero, degno di questo nome: un’accozzaglia di arrivisti sotto soglia (un camionista e un elettricista alla guida del Piemonte…) e tantissima scarsa qualificazione. In Fratelli d’Italia non è molto diverso: targhette su porte a nascondere le mire elettorali dell’uno è dell’altro, senza vera regia organizzativa e struttura di partito.
E dire che anche un bambino saprebbe cogliere la differenza… Per essere affidabili in termini di rappresentanza, le forze politiche devono prima essere organizzate, avere presenza territoriale per dare servizi al popolo e agli elettori, effettuare una seria selezione dei candidati, fatta su base di competenza e non di signorsì, ed essere quindi pronti a mettere in campo ben coordinati circa 10000 figure politiche e amministrative: questo è l’ammontare di personale politico e amministrativo necessario a un partito nazionale per la guida dello Stato Italiano, nell’interesse del Popolo italiano sovrano, ancorché europeo, occidentale e globale.
Dietro quei leader solitari e ingenuamente acclamati, non c’è nulla di tutto ciò. Quello che ne ha anche qualcosa è il M5S, che ha mantenuto dall’epoca originaria, un certo dialogo con la base, ma non è organizzato ed è basato su alcune sviste istituzionali clamorose come ad esempio il rigetto del concetto di rappresentanza in capo ai partiti, costituzionale e proprio di tutte le democrazie. Alla fine, ha preso una grande quantità di suffragi da una specie di “voto di scambio” (coi benefici economici, ad esempio il reddito di cittadinanza).
Ma una novità oggettiva c’è: è il primo capo di Governo donna. La sua partita è molto difficile, perché i suoi nemici hanno tanti punti di attacco, e dalla sua non c’è l’organismo rassicurante e potente dell’organismo di partito. Se, al contrario dei dilettanti allo sbaraglio dell’individualismo borghese, la Meloni dovesse capire bene la questione, dovrebbe pensare a creare davvero un organismo di partito forte e radicato nel popolo italiano grazie ai servizi e ai corpi sociali intermedi, e di professionale rappresentanza nelle istituzioni, basata non su amichetti od ottusi signorsì, ma su competenze di management pubblico. Proprio perché il ciclo operativo della politica in democrazia prevede che la garanzia dell’interesse repubblicano passi attraverso la separazione dei poteri: e, mentre gli “uffici” fanno le cose, gli eletti, provenienti dai partiti di governo, indirizzano e controllano. E se per l’indirizzo (gender sì, gender no; eutanasia sì, eutanasia no; aborto sì, aborto no; ecc. ecc. …) bastano idee, cultura e valori, per la funzione di controllo è necessaria competenza specialistica sui processi operativi (circa un milione) dello Stato e suoi organismi indotti e partecipati.
In Europa e in Occidente tutto questo è molto chiaro. Si dice che il popolo italiano non sa organizzarsi per gestire la propria democrazia, che non è solo indirizzo ma soprattutto un serio, faticoso ed esperto lavoro di controllo. Per questo ridono, e così Draghi al saluto al Parlamento italiano: non essere capaci di creare efficienti strutture di partito, per le funzioni che esse devono svolgere, è un vero ritardo antropologico, che riduce la nostra politica e un volgare pantomima di bugiardi, di illusi e di dilettanti allo sbaraglio. Che prelude sempre, in virtù delle nostre imprescindibili appartenenze strategiche a organismi sovranazionali, a un ulteriore innesto di guida autoritaria/autorevole.
Speriamo non più violenta per gli interessi della Repubblica Italiana di quella attuata del bravo Mario Draghi. Che però considero molto più probabile dell’attuazione di un solerte lavoro di organizzazione operativa sul corpo del partito che ha vinto le elezioni e del centrodestra tutto.
Una legge sul funzionamento dei Partiti, prima di tutto!
Sergio Bevilacqua