Mario Draghi sta conducendo con intelligenza lucidissima la politica estera italiana. Nessuno può dare pareri definitivi, ma al G7 lo si è visto molto forte verso gli altri del mondo: non esibisce mogli, e sorride. Un grande. Mi sta piacendo davvero. E olimpicamente digerisce il bibitaro Di Maio agli esteri, quello del penoso uno vale uno. Uno non vale sempre uno: ma deve valere uno nell’urna e rispetto alla legge e alle istituzioni democratiche.
di Sergio Bevilacqua
Per il resto per fortuna siamo tutti diversi e valiamo tutti (indistintamente credo di poter dire) ma per cose diverse, a seconda dei punti di vista e delle regole, buone o cattive. Anche il pensiero comunista verace, marxiano, dice: “Da ciascuno secondo le proprie qualità e a ciascuno secondo le sue esigenze”.
Intanto, non senza fine umorismo e grande consapevolezza tecnico-economica, l’artista cinese Bantonglaoatang costruisce una vignetta sull’ostile G7 con la celeberrima Ultima Cena di Leonardo, subito adottata dal Governo del PCC (oltre 100 milioni di iscritti, la più grande organizzazione del mondo).
Osservatela attentamente…
Seduto all’estremità sinistra del tavolo, un falco nero rappresenta la Germania mentre il gallo di Francia occupa il lato opposto, entrambi “in silenzio” intenti “a guardare ai propri interessi”. Segue il canguro australiano, che con una mano tiene la borsa, simbolo degli affari con la Cina, e con l’altra punta ai dollari americani. Subito affianco troviamo il Giappone, raffigurato come un cane Akita, nell’atto di offrire agli ospiti una brocca di acqua radioattiva. Sempre impegnati a coordinarsi con gli Stati Uniti invece il leone britannico e la nutria canadese, mentre un elefante malato raffigura l’India che, nonostante debba sostenersi con due flebo, continua a bere dall’amaro calice giapponese.
Lo stesso confronto globale (un po’ vero e un po’ sipariettone) tra Occidente e Cina, mostra come da parte della Cina si usi come cavallo di battaglia il “Valore d’Uso” (disponibilità diffusa di prodotti popolari) mentre si attacca l’uso scellerato da parte dell’Occidente del “Valore di Scambio” (finanza tossica e concorrenza su base di forza d’altro genere, ad esempio la forza bellica USA-NATO).
Notare inoltre come la attuale fase sociologica cinese abbia saputo concretamente fare evolvere il comunismo, incorporando la componente (sic) individuale di cui al Marx sopra, la cui compressione portò all’implosione del modello comunista sovietico, serio ma poco dinamico proprio per il soffocamento delle molteplicità creative e pulsionali individuali.
Il nuovo comunismo cinese è in realtà un individual-comunismo. Un’altra di quelle fusioni a cui l’area della sinistra ci ha abituato e che nei sociologi del dopoguerra (e anche oggi) avrebbe destato la massima sorpresa. Il comunismo ha saputo contaminarsi in modo del tutto inatteso, cosa che invece il pensiero della destra plutocratica, efficentista e logico, tendente alla non contraddizione salvo che nel diritto commerciale, alla libertà del mercato che poi ha portato al nuovo feudalesimo globale, ai giganti sovranazionali che umiliano con le loro enormi risorse gli Stati presidio di civiltà, di diversità e di welfare…
Paradosso? La libertà dalle ideologie della destra ha prodotto dominio globale, e l’intestardirsi della sinistra sulle ideologie ha prodotto varietà e tutela delle libertà e delle diversità?
Il comunismo digerisce la religione (cattocomunismo), oppio marxiano dei popoli, l’impresa individuale, il “siur paron dale braghe bianche“, il consumismo, cioè i “compagni che scelgono la qualità della vita”? Ed è sempre comunismo?
Ma va detto: la destra non è solo plutocratica: esiste anche la destra sociale, che, guarda un po’, s’incontra all’estremità della sinistra intelligente e sinceramente popolare, umana. Quella cinese? Ma cosa è successo davvero, in Cina?
Vediamo il tutto in modo pragmatico.
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Nessuno nel mondo discute che il benessere guidi la politica. È quasi un’endiadi, che il benessere venga con lo sviluppo economico all’80%, per buoni e meno buoni, intelligenti e stupidi. Nemmeno nella storia del pensiero economico c’è contraddizione: la pensano così Marx, Lenin, Trotskij, Smith, Ricardo, Keynes, Modigliani e anche la Merkel, la BCE, Biden, i nostri leghisti e Mario Draghi.
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La Cina non nega il mercato, anzi: ci opera a tutto tondo (come il Mondo). Semplicemente, con lo spirito pacifico che ha sempre contraddistinto il Drago (quello cinese…), va detto, opera nel mondo con un modello differente dal capitalismo occidentale, che vede gli Stati occidentali rincorrere l’enorme successo delle loro aziende, le quali nemmeno sentono il bisogno di addivenire a una funzione sociale generale, ma semplicemente a una logica di tribù propria o di beneficienza.
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Il vantaggio competitivo cinese non è il blitz industriale “alla giapponese di Pearl Harbour” degli anni ’80 e ’90: cresco di nascosto, sviluppo prodotti molto più competitivi e ti aggredisco a viso aperto sui tuoi mercati. La Cina cresce alla luce del sole (levante) convince quasi tutti con i suoi prodotti poco costosi che non crescono di prezzo troppo, perché non seguono soltanto il “Valore di Scambio”, cosa che ha fatto fare scintille agli occidentali e ai giapponesi tra loro con la guerra dei ’90. I cinesi ce l’hanno dentro, il concetto umanissimo e non ideologico di “Valore d’Uso“.
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C’è un fattore civile, culturale che alimenta il progetto economico giallo, quello originario, dal ventre dell’Asia: lo spiega anche la loro arte, che non celebra mai l’individuo ma sempre il popolo tutto, dall’antichità pre-comunista. Il “comunismo” alla cinese è sempre stato istinto comunitario, movimento di tutti verso tutti, confuciano senso di correttezza nelle relazioni e si può dire che le due rivoluzioni, quella politica e quella culturale, non hanno fatto altro che aggiornare questo sapere millenario di popolo, dargli protocolli moderni, in particolare incorporando ciò che il Celeste Impero aveva rifiutato non fidandosi (mica scemi, però), la Rivoluzione scientifica occidentale, il metodo sperimentale con tutte le sue vertiginose implicazioni economico-industriali e ora globali anche per Pechino e Shenzen.
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La Cina fa sistema, e lo fa bene. Le Amministrazioni pubbliche aiutano l’impresa privata e questa s’identifica col popolo già per cultura e a maggior ragione se il Sindacato del Popolo (lo Stato, leninianamente Partito) la segue. Così, a spalle coperte (e tutti gli imprenditori sanno cosa vuol dire avere uno Stato dalla propria anziché vampiro…) i capitani d’implesa (la elle è voluta…) se ne vanno in giro per il mondo a cercare ciò che gli serve: in Africa, le materie prime in modo meno rapinatorio e falso del colonialismo presuntuoso all’occidentale, in Australia a riversare la loro contiguità industriale con gli australiani che si lamentano mentre godono, verso gli USA sostenendo il debito pubblico dello Stato Federale, con i fortissimi globalizzatori destatalizzati (gli altri) facendo accordi e joint-ventures, comprando attività e pagando con soldi buoni e subito, rispondendo agli insulti e alle illazioni con pacatezza, ironia e silenzi…
Ma cosa vogliamo dire di male di questi cinesi? Cosa vogliamo dire di male di questo popolo, dove le Chinatown di tutto l’occidente producono meno reati dei quartieri occidentali? Che sorridono molto più dei nostri musoni WASP? Che sono sensibili ai bisogni dei poveri e che non minacciano mai guerre come i nostri alleati americani e qualche esagerato al loro servizio (Erdogan)? Che amano l’Italia dal profondo, la nostra lingua e la nostra cultura? Che sono nostri dirimpettai macrocontinentali quando la logistica nel valore industriale fa la differenza, con la presenza altrettanto dialetticamente naturale della Grande Madre Russia a farci da comune ombrello eurasiatico di valore e materie prime?
Occorre anzi urge una riflessione. E seria.
Per il bene dell’Umanità Tutta, della civiltà giudaico-cristiana e dell’Islam, del benessere e della pace.
Io credo che dobbiamo cercare il comune denominatore: la Cina è di nuovo vicina.
Sergio Bevilacqua