di Alesben B
Ha avuto origine durante il sollevamento della catena montuosa nel corso dell’orogenesi ercinica, precisamente la sua formazione è connessa con i processi di detrizione che si instaurano nel permo-carbonifero a carico dei rilievi. Tale processo ha dato luogo alla formazione di abbondanti sedimenti, da grossolani a fini, che si depositarono sia nei settori esterni, sia in quelli interni del dominio paleogeografico del Brianzonese Ligure.
La Formazione di Murialdo – Si colloca nel settore interno di tale dominio e di fatto è rappresentata da metasedimenti derivanti dalla deposizione di materiali essenzialmente fini, talvolta contenenti residui carboniosi che conferiscono agli affioramenti una caratteristica colorazione nerastra; le facies arenacee sono di norma assai subordinate. Nel territorio comunale la formazione è appunto costituita da una fillade nerasta all’interno della quale si osservano frequentissime vene di quarzo ripiegate. Tali depositi sono stati oggetto di tutte quelle trasformazioni connesse ad un metamorfismo alpino di basso grado che hanno essenzialmente interessato gli originari sedimenti argillosi. Essa affiora nell’estrema porzione settentrionale del territorio comunale, in corrispondenza del rilievo di Monte Alto, a partire da località Rocche Bianche.
Sotto il profilo del comportamento geotecnico le filladi risultano terreni di modesta resistenza, in particolare nei livelli esterni, ove gli stress tettonici che l’hanno interessata e la successiva idro alterazione hanno dato luogo alla formazione di orizzonti piuttosto disarticolati e dislocati. Di norma è interessata da manti di copertura, di natura autoctona, di spessore peraltro di solito piuttosto contenuto.
Scisti Di Gorra – Anch’essi hanno avuto origine durante l’orogenesi ercinica, in questo caso dalla deposizione di sedimenti terrigeni quarzo-micacei e piroclastici, derivanti dal rimaneggiamento di vulcaniti acide, e successivamente interessati da metamorfismo alpino di basso grado; si tratta essenzialmente di meta sedimenti fini il cui spessore è notevolmente variabile, sempre stimabile comunque nell’ordine di alcune centinaia di metri. In generale con il termine “Scisti di Gorra” vengono comprese una serie di facies [[1]] differenti, spesso intercalate una nelle altre e di difficile attribuzione e restituzione grafica; principalmente si riconoscono infatti: scisti quarzo – sericitici, cloritoscisti, micascisti e quarzoscisti.
Come citato molto spesso tali termini risultano essere associati a più riprese con livelli delle coeve formazioni dei Porfiroidi del Melogno e della Formazione di Eze. Questa formazione, in prevalente associazione con la Formazione di Eze, interessa una buona parte della fascia centrale del territorio comunale passando dalla vallata di rio Cassigliano, a valle del tracciato autostradale, e, attraversando località Santa Libera, si estende nella vallata del torrente Sciusa sino a località Cà de Bo e, verso nord, sino a rio dell’Arma.
Due ristrette aree di affioramento sono state inoltre censite nella parte settentrionale del territorio, ad ovest e nord-ovest di località Rocche Bianche. In generale nei suoi affioramenti gli scisti risultano sul lato nord in contatto esclusivamente con termini porfiroidici mentre in quelli meridionali si pone in contatto con le litologie terziarie (quarziti e calcari dolomitici) di cui costituisce il letto come, ad esempio, in corrispondenza delle località Magnone, Santa Libera e Portio.
Hanno colore variabile dal grigio-argenteo al verdolino, localmente anche violetto, in funzione delle variazioni composizionali, e tendono, nei livelli più esterni, ad essere interessati da frequenti ossidazioni che conferiscono talora una colorazione brunastra; non sono rari al loro interno livelli più compatti, marcatamente quarzosi. Laddove invece la componente quarzosa risulta assente, prevalgono le facies più micacee accompagnate da una estrema plasticità ed alterabilità dell’ammasso roccioso così caratterizzato.
Marcata la scistosità, piano principale di discontinuità, di preferenza orientata verso sud e sud-est (con angoli di inclinazione in prevalenza compresi nel range di 25°-45°). Gli intensi eventi deformativi che hanno interessato il dominio in generale nonché la relativa plasticità della formazione, specie in corrispondenza delle intercalazioni di litologie più rigide (masse porfiroidiche e/o andesitiche), hanno peraltro determinato da un lato numerose altri piani di discontinuità (famiglie di fratturazione) tra loro intersecantesi e dall’altro variazioni accentuate della giacitura anche in spazi piuttosto ravvicinati.
In generale trattasi di una formazione piuttosto esposta alla alterazione chimico-fisica (sia per la sua composizione, sia per gli stress tettonici subiti) e tendente a creare, nelle porzioni più esterne, una fascia marcatamente disarticolata a spessore variabile (“cappellaccio d’alterazione“) facile allo stacco di porzioni lapidee e, di norma, anche semipermeabile per fratturazione alle circolazioni ipogee che ne accelerano così i processi di degrado.
Proprio a causa dell’alterazione spinta che riguarda tale formazione, essa è di norma interessata (in particolare lungo i pendii posti a franappoggio) da manti di copertura, talora di spessore rilevante, che spesso sfumano nei livelli più esterni e disarticolati senza apprezzabili soluzioni di continuità, costituiti essenzialmente dal disfacimento delle masse scistose con produzione di abbondanti clasti centimetrici e, soprattutto, miche e minerali argillosi.
Tali coperture mostrano una marcata tendenza, proprio in virtù della loro composizione, alla ritenzione idrica a cui di norma corrisponde un progressivo scadimento delle proprietà fisico meccaniche. Trattasi in generale di rocce con caratteristiche fisico-meccaniche intermedie che possono rapidamente scadere in funzione della disposizione strutturale dei principali piani di discontinuità (scistosità) nonché delle citate possibili infiltrazioni ipogee che ne peggiorano i parametri di resistenza dell’ammasso generando, sia a livello locale, sia su scala più ampia, fenomenologie gravitative a carico di porzioni rocciose e delle masse sciolte ad esse soprastanti.
Porfiroidi Del Melogno – Rappresentano la fase più rilevante, specie in relazione alla volumetria dei materiali emessi, e più recente dell’attività vulcanica attribuita al permiano inferiore; tale attività, associata alla tettonica fragile tardiva della fase asturiana, ha dato luogo all’emissione di enormi masse ignimbritiche (prevalentemente riolitiche) cui si sono associate subordinate emissioni laviche e piroclastiche, da riodacitiche a dacitiche. I porfiroidi da essi derivati mostrano pertanto una notevole variabilità composizionale dovuta anche agli effetti della mobilizzazione chimica operata dai fluidi nelle fasi tardo-postmagmatiche cui sono imputabili perdite in Ca e Na e corrispondente arricchimento di K, con quest’ultimo che costituisce in alcune delle litozone una caratteristica peculiare della formazione.
Recenti studi hanno infatti distinto al loro interno numerosi membri e litozone il cui riconoscimento, problematico a livello macroscopico, richiede di norma il ricorso a specifiche analisi in sezione sottile. Nel territorio comunale la formazione affiora dall’estrema propaggine orientale (loc. Cassigliano e Croce di Spotorno) sino a loc. Rocche Bianche (a nord), raggiungendo l’interno sviluppo di rio Barelli che costituisce un lungo tratto del confine occidentale, interessando oltre il 50% del territorio comunale. In genere è anch’essa, come la formazione precedentemente descritta, definibile come un ammasso il cui aspetto risulta fortemente condizionato sia dalla originaria composizione, sia dall’intensità delle deformazioni subite; per essa inoltre valgono anche le considerazioni relative alle intercalazioni, non cartografabili separatamente, delle altre litologie coeve costituenti il tegumento permo-carbonifero.
Tra le facies più frequenti si riconosce (in particolare nei settori più settentrionali del territorio) quella finemente scistosa con tessitura a bande millimetriche, colorazione alternata (biancastra e verdastra) e locali relitti di fenocristalli, per lo più stirati, di K-feldspato, plagioclasio e quarzo. La litologia in generale risulta caratterizzata da una maggiore rigidità e compattezza rispetto agli scisti. Localmente invece, ove prevale la facies a matrice micacea, ad aspetto lamellare e lucente sulle superfici esposte, si può registrare una maggiore scistosità e plasticità. In particolare ove prevale quest’ultima litofacies si possono registrare analoghe fenomenologie di degrado e di instabilità, nonché analogie composizionali con gli Scisti di Gorra, distinguibili solo grazie ad attente considerazioni petrografiche da operare in laboratorio.
Va citata una caratteristica peculiare dei porfiroidi, quando caratterizzati dalla facies finemente scistosa con tessitura a bande millimetriche, ove è spesso possibile osservare la coesistenza di diversi sistemi di discontinuità, ciascuno riferibile ad una diversa fase tettonica. In generale il sistema più evidente è quello legato ai piegamenti nord-vergenti e corrisponde ad un clivaggio di crenulazione a spaziatura centimetrica; successive deformazioni sono quelle sud-vergenti e quelle a direzione NNO che hanno conferito agli ammassi rocciosi una tipica pieghettatura molto ravvicinata.
L’assetto strutturale dei porfiroidi mostra una tendenza alla giacitura della scistosità verso i quadranti meridionali, con inclinazioni molto variabili localmente, talora prossime alla verticalità. In generale i porfiroidi possono essere considerati come rocce a comportamento massivo caratterizzate però localmente da spinta scistosità e da una certa degradabilità, peraltro meno marcata degli scisti. I piani di scistosità, laddove fitti, e la caolinizzazione del feldspato favoriscono anche in questo caso l’alterazione fisico-chimica delle porzioni più esterne, che pare comunque più limitata sia in estensione superficiale, sia in spessore delle litologie coeve.
Nel complesso è peraltro possibile affermare che trattasi di ammassi più tenaci e resistenti caratterizzati, specie in condizioni di franappoggio, dalla tendenza alla dislocazione di blocchi (talora anche di grosse dimensioni) in conseguenza dell’andamento dei diversi piani di discontinuità presenti. Di norma tale maggiore consistenza lapidea si manifesta con una più elevata acclività dei versanti impostati su affioramenti porfiroidici e da una più elevata densità di drenaggio.Le aree di affioramento di questa formazione sono in genere caratterizzate da manti di copertura a spessori di norma contenuti, specie laddove più massiva; in genere trattasi di terreni a composizione per lo più granulare ed arida essendo molto più limitate le fenomenologie alterative che danno luogo alla formazione di minerali argillosi.
Per quanto attiene al comportamento fisico-meccanico, le considerazioni sono strettamente legate alle facies affioranti, come ad esempio in corrispondenza degli ammassi più micacei ove si ha un comportamento più plastico e degradabile, specie in condizioni di franappoggio, prossimo a quello degli scisti sopra descritti. Proprio in considerazione della variabilità del comportamento geotecnico in funzione delle litofacies presenti, si rendono necessarie considerazioni in ambito locale piuttosto che schematismi a carattere generale.
Formazione Di Eze – Il vulcanismo permo-carbonifero si manifesta attraverso fasi diverse, una delle quali, denominata “episodio intermedio“, è costituita da prodotti lavici e piroclastici a chimismo andesitico. Da tali prodotti a chimismo basico sono derivati, per debole metamorfismo alpino, le prasiniti e gli scisti prasinitici che rappresentano la formazione; essi sono caratterizzati nel territorio comunale prevalentemente da una tessitura scistosa, pur non mancando talora locali emergenze più massicce.
Laddove la scistosità risulta particolarmente marcata ed in associazione ad una spinta alterazione superficiale, i termini della formazione sfumano nelle facies delle formazioni precedenti senza apprezzabili discontinuità; tale problematica è particolarmente marcata quando la formazione si presenta a “filoni“, come è possibile riscontrare con una certa frequenza nella porzione centrale del territorio ove non sempre è agevole riconoscere il passaggio alle facies più sericitiche degli Scisti di Gorra.
La presenza, sotto forma di filoni, della formazione è peraltro riscontrabile un po’ ovunque nel territorio in associazione con le due formazioni coeve del tegumento permocarbonifero. In particolare è stato possibile individuare la sua prevalenza rispetto alle altre solo in un vasto affioramento a sud-ovest del territorio, a partire dall’alveo torrente Sciusa sino alle località Rocca, Meirone, Bassi Inferiore e Bassi Superiore sino quasi a località Portio.
Soprattutto alle quote più elevate, la sua presenza è stata estrapolata da locali scavi per inserimento di fabbricati residenziali in quanto risulta sovrastata da una abbondante coltre di natura essenzialmente detritica derivante dalla detrizione dei rilievi soprastanti.
Complessivamente i termini della Formazione di Eze possono essere considerati dotati di tenacità e consistenza medio-elevata; comportamento peraltro strettamente legato alle condizioni di integrità degli ammassi affioranti; in presenza di marcate alterazioni e piani di scistosità, i parametri di resistenza della roccia scadono piuttosto sensibilmente ed i fronti esposti in tali condizioni evidenziano una modesta resistenza all’azione degli atmosferili mostrando una spiccata tendenza a disarticolarsi in piccole scaglie con matrice argillosa dando luogo a coperture, a spessore limitato, a prevalente frazione coesiva.
Quarziti di Ponte Di Nava – Con tale termine iniziano le formazioni appartenenti alla copertura meso-cenozoica del Dominio Brianzonese Ligure. Nel Trias inferiore infatti, cessata quasi totalmente l’attività vulcanica, ha luogo una ingressione marina che inizia con la deposizione, in ambiente di spiaggia, delle quarziti scitiche costituenti la litofacies più tipica di questa formazione. Tali termini derivano pertanto da originarie sabbie a granuli quarzosi, sottoposte a metamorfismo debole; essi presentano grana fine e colorazione di norma molto chiara (da biancastra a leggermente verdolina), spesso risultano fratturati e, verso l’alto, tendono a termini più scistosi e pelitici. Ciò si manifesta in particolare al contatto con le soprastanti dolomie triassiche, di cui si tratterrà al punto seguente, cui la formazione, nei suoi affioramenti rilevati nel territorio comunale, è sempre associata.
Di queste ultime ne costituiscono infatti la base stratigrafica; il passaggio tra le due formazioni è essenzialmente di natura tettonica, con superfici nette ed assenza di superfici erosionali. Questa litologia è presente soprattutto nella parte meridionale del territorio (versanti settentrionali di Bric Carè) alla base degli affioramenti calcareo-dolomitici situati alla sommità di entrambe le sponde orografiche di rio Ponci; un secondo apprezzabile affioramento è anche presente nella porzione nord del territorio comunale, in località Rocche Bianche, sempre in associazione con litologie calcareo-dolomitiche.
In generale, tralasciando la fascia di immediato contatto tettonico con le formazioni adiacenti (sempre calcari-dolomitici e scisti) ove si trasforma in un deposito granulare fine, la formazione è caratterizzata da termini molto tenaci di elevata durezza; pur riconoscendo talora alcuni sistemi di discontinuità al suo interno (piani di fratturazione variamente orientati) è comunque possibile attribuire alla formazione una marcata compattezza ed ottimo comportamento geotecnico.
In località Magnone questa litologia è stata oggetto di una intensa attività estrattiva.Di norma la formazione nel territorio comunale risulta quasi sempre affiorante o immediatamente subaffiorante, sovrastata in quest’ultimo caso, da deboli coperture a composizione arida, derivanti direttamente dalla detrizione dell’ammasso quarzoso.
Dolomie di San Pietro Dei Monti – Nel trias medio si manifesta un lento ma progressivo sprofondamento dei fondali sviluppando un ambiente di piattaforma carbonatica in cui si depositano calcari e dolomie.In questo periodo, precisamente nel ladinico, si depositano i termini calcareodolomitici costituenti le Dolomie di San Pietro dei Monti rappresentate da sedimenti carbonatici depositati in ambiente tidale (zona di influenza delle maree) sottoposti successivamente ad una profonda dolomitizzazione ed a processi di ricristallizzazione metamorfica che hanno spesso cancellato le originarie strutture sedimentarie. Come le quarziti, anche le dolomie affiorano in un vasto areale a sud del territorio comunale coronando sulla sommità la vallata di rio Ponci e, per una minore estensione, a nord in località Rocche Bianche, ove in antichità era stata realizzata una attività di estrazione.
Valle Fossile Sospesa – La val Ponci è interessante dal punto di vista geomorfologico poiché presenta diverse caratteristiche tipiche dei paesaggi carsici, costituiti da rocce solubili di tipo calcareo. Si tratta di una valle fossile, dato che il rio che scorreva e che ne ha inciso l’alveo è stato ad un certo momento “catturato” dal sistema carsico profondo (ipogeo) e l’acqua deviata verso il Torrente Sciusa.
All’altezza del ponte romano delle Voze (terzo ponte), sul versante destro della valle si apre infatti la grotta della Mala, un inghiottitoio che raccoglie le acque correnti e le convoglia fino alla sorgente dell’Acquaviva, con un percorso che taglia in modo trasversale la dorsale di Rocca di Corno. Poco lontano la grotta del Cane, nota anche come grotta Quattrocento, inghiotte le acque del rio Landrassa per congiungerle a quelle del rio Ponci presso il punto assorbente della Mala. La Val Ponci è quindi una valle secca, in cui le acque scorrono solamente durante eventi metereologici di gran de intensità. Essa è anche una valle sospesa e già osservandola da lontano è possibile notare il grande gradino morfologico che la contraddistingue; questa morfologia è la conseguenza delle oscillazioni del livello marino del Quaternario, causate dalle variazioni climatiche che hanno portato all’alternarsi di periodi glaciali ed interglaciali.
Nel periodo glaciale la linea di riva si spostava in avanti, la foce dei torrenti si allontanava e le valli tendevano ad approfondirsi per erosione. Ciò però non è potuto accadere in Val Ponci, perché nel frattempo la valle si era prosciugata ed il fenomeno erosivo si è interrotto, lasciando un brusco salto di pendenza.
Il carsismo prende il nome dal termine slavo “Kras” che significa pietra e indica un territorio molto particolare in cui la roccia è la protagonista principale delle forme del paesaggio. Se la roccia calcarea è la materia prima, l’acqua piovana è il fattore fondamentale, senza il quale il fenomeno non si sviluppa. L’acqua, nella sua discesa verso terra, si arricchisce di anidride carbonica (CO2) e, a contatto con la materia organica del suolo, diviene ancor più acida, acquistando il potere di sciogliere le rocce che contengono carbonato di calcio (CaCO3). CO2 + H2O + CaCO3 Ca(HCO3)2 anidride acqua carbonato bicarbonato carbonica di calcio di calcio.
L’acqua, scorrendo sulla roccia, che presenta sempre fratture, fessure o buchi, va ad incanalarsi in queste vie preferenziali operando col tempo lo scioglimento del materiale lapideo, che viene trasportato via dall’acqua stessa. È così che si formano le cavità sotterranee, con l’aiuto anche di altri fattori come crollo di blocchi o di pareti, unione di condotte molto vicine, fino a generare un ambiente sotterraneo molto complesso, fatto di gallerie, pozzi, saloni, cunicoli, vuoti o pieni di acqua a seconda della loro posizione ed età.
Ma il carsismo non è solo di tipo distruttivo ed in certi casi, quando l’acqua che scorre in sotterraneo è è satura, cioè ha il massimo contenuto di carbonato di calcio a quella temperatura e pressione, comincia a depositare il minerale sotto forma di concrezioni, formando stalattiti, stalagmiti, vaschette, drappi, cristalli ed altre forme che stimolano la fantasia di chi le osserva. Le forme del paesaggio carsico sono numerose, non solo sotterranee, ma anche superficiali come i canyons, le doline (depressioni a forma di ciotola create da crolli o dal flusso erosivo dell’acqua che scorre verso un punto di assorbimento), le valli fossili in cui non scorre più l’acqua in superficie perché catturata da cavità sotterranee, o le for me di modellamento della roccia come le docce di erosione, le vaschette, i campi carreggiati, le città di pietra ed altre ancora.
Se il sottosuolo costituisce un meraviglioso mondo ricco di forme che da sempre stimola la curiosità umana, è anche vero che l’ambiente carsico, in generale, è un sistema molto delicato che è stato generato dai fenomeni naturali in migliaia di anni ma che l’uomo può distruggere in breve tempo se non ha la dovuta sensibilità di preservarlo dagli inquinanti e dall’azione di asporto di minerali, concrezioni, reperti fossili, che sono patrimonio di tutti.
Sono rappresentate da alternanze più o meno regolari di dolomie e calcari dolomitici, di colore grigio scuro, caratterizzate peraltro da un elevato grado di tettonizzazione che ha dato luogo ad un fitto sistema di discontinuità (fratturazioni) che talora rendono problematico il riconoscimento della giacitura degli originali piani di stratificazione. Nei pressi delle zone di contatto, in genere con i termini quarzosi sopra descritti, mostrano marcate fasce milonitiche ad elevata frantumazione, talora riempite da materiali terrosi, per lo più di colore rossastro. Non sono rari gli affioramenti di vere e proprie brecce ricementate da calcite, spesso frammiste a materiali argillosi di alterazione.
L’aspetto peculiare della formazione, in funzione della elevata fratturazione, è il marcato sviluppo di fenomeni carsici, in corrispondenza sia dei grandi sistemi di frattura, sia dei giunti di stratificazione. La stratificazione, ove evidente, immerge di preferenza nei quadranti occidentali con prevalenza verso SE ed inclinazione in genere non superiore a 45°. Nel corso del lavoro sono state peraltro rilevate anche orientazioni molto disperse che hanno interessato l’ammasso dolomitico scompaginandone l’assetto. Come anche descritto per la formazione quarzitica, anche le dolomie risultano essere quasi sempre affioranti o immediatamente subaffioranti, interessate localmente da coperture dallo spessore di norma molto modesto e derivanti direttamente dalla detrizione dell’ammasso roccioso.
Calcari di Finale Ligure – Trattasi delle coperture sedimentarie post brianzonesi, presenti nella estrema propaggine meridionale del territorio comunale, in corrispondenza della Rocca degli Uccelli, ad est di località Rocca e nella testa di valle di rio Penso.
A tale gruppo appartengono unicamente due litotipi di età inserita nel periodo olocenico-miocenico: il Complesso di Base ed il Calcare di Finale Ligure vero e proprio. Nel primo caso l’affioramento è talmente modesto e limitato ad una ristretta fascia al piede dei calcari che nella resa cartografica non è stato differenziato. Il Complesso di Base, inserito tra l’olocene inferiore ed il miocene pre-langhiano, costituisce il letto del soprastante Calcare Ligure, dal quale si trova separato da una superficie di erosione.
Nel finalese in generale viene riconosciuto in una lente di sabbie quarzose grossolane di colore grigio e in una successione di argille e marne, da siltose a sabbiose, di colore grigio-giallastro, con alla base una stretta striscia con alternanze di conglomerati e sabbie in strati e banchi. Il Calcare di Finale Ligure o “Pietra del Finale” è di età certamente miocenica, e di tale formazione si distinguono nel finalese diverse litofacies, precisamente cinque litotipi diversi.
In senso più strettamente attinente all’indagine in oggetto, nel territorio comunale viene riconosciuta la facies definita come “Membro di Monte Cucco“, ovvero come un calcare bioclastico a cemento calcitico fanerocristallino, con frazione inorganica di norma trascurabile, di colore per lo più bianco, talora rosato, a stratificazione di solito non ben evidente.
Dato il suo pregio sia peleontologico che ornamentale, il Calcare di Finale Ligure, è stato oggetto nel finalese di una intensa attività estrattiva con cave a cielo aperto ubicate lungo i versanti dei torrenti Aquila e Sciusa, tutte ormai dismesse.
Terreni Quaternari – Con questa accezione vengono inseriti tutti i terreni che interessano per lo più le aree di fondovalle e le frange pedemontane presenti nella porzione mediana della pendice ad esposizione ovest su cui si articolano i nuclei di Portio, Bassi Inferiore e Bassi Superiore.
In tale gruppo si distinguono:
- Fluviale recente ligure di età pleistocenica e rappresentato da alluvioni ghiaiososabbiose, poco alterate in superficie, riguardanti in particolare i terrazzi inferiori riconoscibili soprattutto lungo la sponda sinistra del torrente Sciusa, in località Cà de Bò.
- Alluvioni attuali del fondovalle del torrente Sciusa, e rappresentate da alluvioni ghiaiososabbiose e limose, non alterate in superficie.
- Manti detritici, fortemente differenziati in funzione della natura del substrato e del suo grado di alterazione chimico-fisica.
Tale voce è stata inserita in cartografia (cfr. Carta Geomorfologica) in quanto i manti detritici nel territorio in esame assumono grande importanza sia per potenza, sia per estensione areale, in particolare nella porzione occidentale del territorio nella fascia compresa tra le località Berea, Cà di Bassi Inferiore, Cà di Bassi Superiore e Portio.
Prof. Ettore Alesben Arch. Bianchi
[1] Il concetto è stato introdotto dal geologo svizzero Amanz Gressly nel 1838 ed è parte del suo importante apporto alla
moderna stratigrafia.