Nel 1998, Armando Dolla (‘Armandin’) se ne è andato nei pascoli più alti, Viozene perdeva anche il suo ultimo pastore. La storia vera raccontata nel libro ‘Viozene, cento di questi anni’ scritto da Sandro Montevecchi e stampato nel 2001. Oggi Bonino Bruno, dalla sua pagina Facebook , scrive: “Concludo, per adesso, una serie di leggende sulle nostre amate montagne che mi hanno appassionato e riprenderò più avanti perché c’è ne sono tantissime”. Non è leggenda, invece, quando a Viozene operava un tribunale molto particolare, composto solo da pastori, con una vasta giurisdizione ed ampi poteri.
Le notizie, diciamo molto curiose, non sono finite perche nel 1924, grazie all’iniziativa del veterinario di Ormea, dottor Barli, al Consorzio Agrario di Mondovì, all’Istituto Zoottecnico del Piemonte, si diede vita al “Sindacato tra gli allevatori dei bovini di razza Valdostana” che nel 1928 arrivò a contare nel circondario comunale 85 soci.
IL BUCO DEL MANCO A VIOZENE VICINO AL RIFUGIO MONGIOIE
ll “buco”, il “foro”, si staglia, tenebroso e incombente, al centro di una vertiginosa parete di roccia. Lungo quarantacinque metri, ha un diametro di sei metri e si apre proprio là dove la roccia è più unita e liscia. Il che lo rende praticamente inaccessibile, se non a mezzo di funi, dall’alto. “Garb dër Manc”. La leggenda dice che il “buco” era un tempo abitato da un frate, il quale filava di continuo e tesseva la tela della vita perenne e felice: ne bastava un solo pezzetto per sfuggire alla morte ed alla miseria. Chiaramente ispirato all’antico mito pagano delle Parche, il racconto ci tramanda che il frate, avendo un giorno steso la tela al sole, non si era accorto che questa si era svolta giù per il pendio, fino a raggiungere Pian Rosso, dove una donna l’aveva notata e aveva cominciato a ripiegarla per portarsela via. Poiché, peraltro, la tela era praticamente senza fine, la donna aveva deciso di tagliarne un pezzo e, occorrendole le forbici, era andata a casa a prenderle. Il che la fece rimanere a mani vuote, perché il frate, nel frattempo accortosi della sua sbadataggine, aveva provveduto a ritirare la tela nel suo “garbo”, cioè nel suo buco: il “buco del monaco”.
DAL LIBRO ‘VIOZENE cento di questi anni, cartoline, storia e memorie’ scritto da SANDRO MONTEVECCHI, finito di stampare nella tipolitografia Martini di Borgo San Dalmazzo nel 2001.
Dal capitolo: L’ultimo pastore- ….Oggi a Viozene dell’attività agro pastorale non rimane praticamente più nulla: da quando, nel 1998, Armando Dolla ‘Armandin’ se ne è andato nei pascoli più alti, Viozene ha perduto anche il suo ultimo pastore. C’è stato un periodo in cui Viozene fu considerata la ‘capitale del mondo dei pastori’. Successe a cavallo tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo, all’orchè, di dirimere le dispute tra Pievesi ed Ormeesi,Viozene fu sede di un tribunale piuttosto singolare, composto esclusivamente da pastori. nel tentativo, con una giurisdizione molto vasta e ampi poteri.
Tullio paglia nel suo studio riporta che nel 1921Viozene aveva un patrimonio zootecnico di 776 animali, così suddiviso: 103 bovini, 652 tra ovini e caprini e 21 tra muli e asini. All’epoca la popolazione si aggirava tra le 800 unità. Oggi i residenti ufficiali risultano 44: 27 maschi e 17 femmine, 18 i nuclei famigliari. All’epoca vie era praticamente un rapporto di abitanti/bestiame di quasi 1:1. Ma già nel 1939 il patrimonio zootecnico era ridotto a 199 animali, di cui 101 bovini, 78 ovini e caprini 20 tra asini e muli. Tra i pastori di ovini e caprini e gli allevatori di bovini c’era sempre qualche problema di convivenza e rapporti litigiosi. I pastori accusavano gli allevatori di voler riservare per i propri animali i terreni migliori e , viceversa, gli allevatori accusavano i pastori di condurre le greggi a loro piacimento, diffondendo malattie ed impedendo la crescita della piante arboree.
Sta di fatto che, come documenta sempre Pagliana, ad inizio ‘900 gli abitanti di Pornassino, Pian del Fò e Cella avanzarono formale richiesta al sindaco di Ormea per vedere riconosciuta la possibilità ad ogni famiglia di tenersi una o due capre per ‘proprio bene e liberarsi della miseria. E ciò in considerazione del fatto che non tutte le famiglie possono tenersi due vacche ma bensì sarà più facile tenersi una vacca con una o due capre e pascolarle insieme’. L’istanza fu respinta in quanto le capre avrebbero potuto arrecare danno mangiando i rami degli alberi. Del resto le esigenze dei pastori erano da tempo venute a scontrarsi anche con gli interessi degli agricoltori e più in generale dei fautori del rimboschimento, tantè che nel giugno 1888 fu presentato un esposto alla Giunta Municipale di Ormea perchè fosse impedito il pascolo di pecore e capre nei terreni rimboscati. Così nel 1947 le mucche erano ridotte a 60 unità e continuarono a scendere di pari passo con lo spopolamento del paese e la migrazione di molti giovani verso la Riviera Ligure di ponente (in particolare l’albenganese) e verso la Francia.
A partire dal 1922 era tuttavia stata avviata a Viozene un’opera di rinnovamento e ricostituzione del patrimonio bovino con la la vacca di razza Valdostana (pezzata nera o rossa) in sostituzione della vecchia razza nera tipica delle montagne liguri, meno produttiva e dunque meno redditizia e di cui pare si sia perso completamente traccia.
L’iniziativa della nuova razza fu promossa dal dottor Barli veterinario di Ormea della Sezione provinciale di Cuneoi dell’Istituto Zoiotecnico e Ceseario per il Piemonte. Con diversi contributi pubblici. Al punto che era stato costituito nel 1924 il “Sindacato allevatori di bovini di razza Valdostana’ e che nel 1928 contava 85 soci. E nel 1929 l’abbondanza del patrimonio zootecnico aveva indotto i Viozenesi a dar vita ad una piccola industria casearia, ma l’iniziativa fallì nel giro di un anno in qaunto durante l’inverno venne a mancare proprio il latte.
Gli animali erano ricoverati soprattutto nella regione Piumini dove ora sorgono ville, ma vi erano stalle anche a Toria, alla talea, al Giugato, al Baraccone ed Ernesto Dolla aveva persino la stalla attigua alla propria abitazione e confinante con la canonica.
Il toponimo ‘sella’ si riscontra frequentemente ion Alta Val Tanaro (Selle di Carnino, Colle delle Selle Secche, Sella Revelli ecc) non indicano quindi un passo o un valico, ma deriva dal latino ‘cella’ e significa edificio rustico. Tra le selle di particolare importanza quelle di Carnino, un’ampia e fiorente conca, che al principio dell’estate diventava punto di ritrovo dei pastori di Carnino, Upega, Piaggia, Morignolo, Realdo e Briga che qui sostavano in attesa che la comunità procedesse all’assegnazione dei pascoli nel rispetto degli usi e delle consuetutini allora vigenti. Pare che verso la fine dell’800 convenissero nella zona almeno 50 mila capi ovini suddivi tra 150 famiglie.
Nella zona i resti di una chiesetta alpina (oggi ristrutturata a dovere) intitolata a Sant’Elmo ( in brigasco Sant’Eremin) da sem,pre molto cara al popolo dei pastori e dove era antica consuetudine venisse celebrata una funzione il giorno dell’entrata dei pastori e dei loro sulle Alpi e alpeggi.
Il libro cita Piero Seno, viozenese trapiantato ad Albenga, “che tutti gli anni torna a pascolare la mandria sulle pendici del Mongioie, e anche oggi l’alpeggio è praticato anche da pastori proveniente prevalentemente dalla pianura cuneese. Fino agli anni ’60 il vasto Pianoro di Pian Rosso era sfruttato per produrre fieno, portato in paese a dorso di mulo. Oppure sulle spalle con l’aiuto del’ciumas’. Solo negli ultimi tempi si faceva uso di una rudimentale teleferica, con una fune d’acciaio.