Il 12 novembre dovrebbe essere ricordato come il giorno della peggior violenza sui minori. Il 12 novembre 1881 nella miniera di zolfo a Gessolungo, nei pressi di Caltanissetta, muoiono 65 persone, tra cui 19 bambini, per l’esplosione di una lampada; alcuni di essi non sono nemmeno riconoscibili e vengono seppelliti tutti insieme nel cimitero dei “carusi”.
Erano ragazzi tra i 6 e 12 anni, piegati dai sacchi di zolfo sulle spalle, fino a 16 ore al giorno, crescevano rachitici, malati dentro e fuori, respiravano anidride solforosa, accecati dallo zolfo e bruciati dal bisogno, lavoravano nudi per il caldo, non di rado abusati sessualmente, con punizioni corporali per lo scarso rendimento. I carusi erano ceduti dai genitori con un sistema detto “a soccorso morto”, consistente nell’anticipare una somma esigua alla famiglia in cambio dell’uso del bambino. I carusi pagavano così un debito ricevendo spesso solo farina, olio, un pezzo di pane.
La Sicilia aveva circa 300 miniere di zolfo, esportato in Francia, Inghilterra, Stati Uniti per fare polvere da sparo e altro, con oltre 10.000 operai, di cui 3.500 di età inferiore ai 12 anni. Così dal 1700 fino alla metà del ‘900. Dai Borboni alla Regione siciliana, che diventa la proprietaria delle miniere, chiuse negli anni 70.
Oggi nel mondo sono almeno 168 milioni i bambini vittime di lavoro forzato; dalle miniere di cobalto, alle piantagioni di caffè e the, fino ai laboratori in cui si producono abiti di marca, scarpe sportive, orologi, insomma dove ci vogliono mani piccole per arricchire le multinazionali.
I 19 carusi di Gessolungo non sono morti, purtroppo sono diventati milioni e vivono da un’altra parte del mondo, ancora oggi per un pezzo di pane. (Bruno Giordano)