Prima puntata: 1966. La forma dell’acqua. Era come se qualcuno, nel cuore della notte, bussasse violentemente contro i vetri, in cerca disperata di aiuto. Mi ricordo che erano le 3 del mattino del 4 novembre 1966 quando mia zia Elsa di Firenze svegliò i miei per dire che stava accadendo qualcosa di grosso, che le strade erano tutte allagate e che la luce elettrica era andata via.
di Guglielmo (Willy) Olivero
Avevo capito, per quanto può capire un bambino di 5 anni, che quei colpi alla finestra non erano di una persona che cercasse conforto, ma dell’acqua che cadeva in modo violentissimo. Dalla porta della mia camera, osservavo i miei camminare in modo agitato e mio padre dire che “domani si sarebbe partiti lo stesso, che la vacanza a Firenze era finita e che si doveva tornare ad Alassio“.
Nonostante le insistenze di mia zia e del padre di lei, Ferruccio Romani, l’inventore della prima locomotiva moderna, mio padre decise di partire, convinto che la 600, con il suo motore, non l’avrebbe tradito. Salimmo in macchina alle 8,30 con la speranza di raggiungere il casello autostradale. Le immagini che vidi in quei minuti mi sono rimaste impresse nella mia vita e tornano, fortunatamente sempre più di rado, a tormentare le mie notti. Ma forse, nonostante avessi solo cinque anni che in quei minuti nacque in me la passione del cronista. Osservavo ogni cosa e mi ricordo che accanto a noi passò una canoa con due persone a remare. Ma era la paura sentendo anche mia madre piangere, che saliva come il livello dell’acqua.
Il motore della 600 tenne e a poche centinaia di metri dal casello mio padre si arrese, tentando faticosamente di tornare nella casa di mia zia. L’impresa riuscì e per due giorni e due notti restammo in casa, senza alcuna possibilità di comunicare. Era saltato l’acquedotto e ci si arrangiava con le bottiglie d’acqua per lavarsi in maniera decente.
Il 7 novembre, con un sole che splendeva, riuscimmo ad andare in centro. E fu qui il mio primo grande pianto nel vedere tanta devastazione, rivedere sommersi dal fango posti che erano stati meta, soltanto qualche giorno prima, delle mie spensierate mattinate. Tornai a Firenze nel febbraio del 67 e mio padre mi portò allo stadio per vedere la Fiorentina. Un colpo di fulmine ed un amore per questa squadra che mi porto dietro ancora adesso, staccando il telefono e isolandomi dal mondo ogni volta che scende in campo.
Già, il calcio che parabola della vita sarà presente spesso in questa nostalgica cavalcata negli anni, con la speranza di riaccendere ricordi in tanti lettori. Negli anni, già dalle medie, ho tenuto appunti sulle piccole e grandi vicende che mi hanno, ci hanno accompagnato. Ho deciso, con la speranza faccia piacere ai lettori, di riscriverlo per voi convinto che soltanto ricordando il passato, tenendo accesa la memoria, possiamo, in questi tempi difficili, a costruire un futuro.
Guglielmo (Willy) Olivero