Il piano di lavoro è, a dir poco, entusiasmante. Riaprire l’impianto termale creando uno stretto legame con il paese e tutto il territorio. Detta così, sembra uscita da un libro dei sogni che nemmeno il romanziere più fantasioso sarebbe riuscito lontanamente a scrivere. Ma il gruppo di imprenditori esteri che ha rilevato il mega resort di Pigna, nell’Alta Val Nervia, sembra proprio fare sul serio.
di Angelo Verrando
Il progetto iniziale per far riattivare il prestigioso impianto di Lago Pigo, oltre al riavvio dei reparti di cura e degli altri servizi legati alle acque, prevede anche l’attività di valorizzazione dei prodotti tipici locali, tra i quali i famosi fagioli del Consorzio Pigna-Badalucco-Conio, l’olio extravergine da olive taggiasche, ma anche il vino Rossese, i formaggi di capra e la carne caprina, e pure le produzioni orticole. Ossia: creare all’interno delle terme una sorta di market territoriale, una esposizione permanente sicuramente di grande richiamo eno-gastronomico di qualità, decisamente interessante per tutto il territorio agricolo.
Ma non basta. Nelle intenzioni degli imprenditori c’è pure la realizzazione di una sorta di “albergo diffuso” che dovrà interessare le abitazioni del paese, molte delle quali negli ultimi anni sono state ristrutturate. Con diverse seconde case che rimangono vuote per buona parte dell’anno e, quindi, potenzialmente disponibili. Prodotti locali ed economia legata alle locazioni. Questo perché nell’impianto, almeno nella prima fase, non riaprirà l’albergo. Saprà cogliere l’occasione il piccolo paese da sempre segnato da pendolarismo, lavoro frontaliero, emigrazione, disoccupazione e sotto-occupazione?
La trattativa per la ripresa delle terme è assolutamente riservata. La concessione mineraria per lo sfruttamento delle acque termali, l’acquisto dell’impianto, il progetto di ristrutturazione dopo anni di inattività, sono i punti cruciali, complicati dalla burocrazia e delicati, che caratterizzano questi mesi. Ma chi si nasconde dietro questa operazione milionaria? Difficile sapere qualcosa di preciso. L’unica conferma è arrivata dal fatto che si tratterebbe di imprenditori del settore che hanno a disposizione ingenti capitali esteri, già protagonisti di alcune operazioni di salvataggio, altrettanto milionarie, effettuate in altri impianti simili in Italia. Ora pronti a rilanciare anche l’immagine di Pigna-Terme e, naturalmente a produrre reddito d’impresa.
In Comune le bocche sono cucite. Solo una voce autorevole che vuole restare nell’ombra si limita a dire: “Prudenza e grande attenzione. Se son rose, fioriranno”. Giusto. Se ne sono viste anche troppe attorno all’antico lacus putidus di antica memoria, al punto da indurre a scetticismo. Ma almeno un segnale concreto sembra indicare come la strada della riapertura sia già stata imboccata.
Il vecchio impianto di captazione delle acque cloro-solforose di origine vulcanica che “pesca” a 800 metri di profondità, è stato già ripristinato. Un’impresa specializzata, su incarico dei nuovi gestori, ha trivellato oltre 50 metri di profondità sotto l’albergo per riuscire a intercettare nuovamente la vena sorgiva che alimentava l’intero sistema dell’impianto. Questo dopo che la sorgente originaria, con la chiusura della struttura, era praticamente sparita, come inghiottita dalle profondità della terra. Tra lo sconcerto generale dei pignaschi. Un segno positivo della ripresa? Un primo, tangibile passo per dimostrare un serio impegno di investimento e di lavoro? Una speranza per molti, anche se da alimentare con la dovute cautele?
Secondo quanto ricostruito, la cordata di investitori, atteso il momento giusto, ha rilevato l’attività a prezzo stracciato (con un’asta andata più volte deserta partendo da una quotazione di venti milioni di euro, e successivamente scesa fino a cinque milioni) ora è impegnata a mettere in pratica quanto fino a ora solo ipotizzato.
E per il villaggio arrampicato sulle Alpi Liguri, ormai impensabile, insperato. Parlare di tempi di realizzazione anche della prima parte del progetto, al momento sembra prematuro. Burocrazia ed esecuzione di tante opere, costringono a profonde riflessioni. Ma ora un po’ di ottimismo appare d’obbligo. Sono mesi di intenso lavoro sotto traccia, ma anche di grande attenzione da parte di un’intera comunità rurale che attende con speranza il terzo rilancio delle antiche terme per un definitivo decollo economico e sociale.
Angelo Verrando
UN PO’ DI STORIA DELLE TERME DI PIGNA
Un complesso alberghiero di cento stanze, quattro piscine tra coperte e all’aperto, gabinetti per le terapie inalatorie, sauna, fanghi, ampie sale massaggi e riabilitazione. L’immagine del Grand Hotel Antiche Terme di Pigna prima della chiusura, è di grande accoglienza per tutte le esigenze di relax. Nel nord Italia è paragonabile soltanto alle strutture più prestigiose di Abano nel Veneto. Poi la crisi improvvisa, ma solo in apparenza. L’albergo ha sempre più stanze vuote, fatto che condiziona negativamente i bilanci di tutta la struttura. Anche la ristorazione d’élite offerta all’interno dell’impianto non sembra essere mai decollata. Tutti i servizi ai piani inferiori (piscine, sale inalazioni, sauna, fanghi, massaggi) sono invece tutti sempre affollati da clienti giornalieri in arrivo dalla costa e dalle vallate circostanti. Ma non ce la fanno, da soli a reggere al peso dei costi fissi di un quattro stelle lusso. Così l’imprenditore decide di lasciare, di chiudere.
Succede tutto all’improvviso: una quarantina di dipendenti viene lasciata a casa da un giorno all’altro. Così repentinamente che lo stesso sito internet dell’albergo rimane aperto e, paradossalmente, le prenotazioni online rimangono disponibili ancora a lungo. E’ il 2016. Un brutto colpo per un territorio dove i posti di lavoro sono ridotti al lumicino. E una botta alla speranza di uno sbandierato rilancio complessivo dell’interna Val Nervia, sempre più caratterizzata solo dall’assalto dei centri commerciali e da un turismo mordi-e-fuggi.
In realtà le prime apprensioni arrivano dopo la disastrosa alluvione del 2014 che provoca seri danni all’intera struttura, particolarmente ai piani inferiori. La gestione appare in ginocchio, con ingenti danni da affrontare su strutture e apparecchiature. Tuttavia si riprende, tenacemente, puntigliosamente. Ma sembra il canto del cigno. La crisi persiste, i servizi termali sono sempre affollati, tuttavia l’albergo con stanze e suite prestigiose, non attira i clienti attesi. Insomma: i vip tanto agognati non vengono a Pigna per una vacanza, ma neppure per un week end. La pubblicità non riesce a penetrare il difficile mercato dei resort, e il gran hotel del paese non intercetta la clientela che spende in benessere. Le terme di Pigna appaiono sempre più un corpo separato del villaggio. Distante molto più delle poche decine di metri che le separano dal centro abitato. Riusciranno gli attuali investitori ad invertire la tendenza? Quali strategie di marketing dovranno essere sviluppate per inserire le Antiche Terme di Pigna in un circuito virtuoso ed economicamente sostenibile? E dopo una prima fase di rodaggio, si potrà pensare di riaprire anche l’albergo? Domande alle quali non è ancora possibile dare risposte.
C’è da ricordare che la struttura per il benessere era da tempo convenzionata con le Asl regionali e fuori Liguria, e che quindi praticava i trattamenti – alcuni di alta gamma – versando soltanto il ticket previsto. La preziosa acqua cloro-solforosa che sgorga copiosa in regione Lago Pigo di Pigna fin dall’anno 1000 (l’antico lacus putidus già di epoca romanica) dalla profondità di 800 metri, da un giorno all’altro ha quindi preso a finire direttamente nel torrente Nervia che scorre nelle vicinanze dell’impianto termale. E il grosso albergo, che conta un centinaio tra stanze e suite, piscine all’aperto e interne, appare ormai lo spettro di se stesso. Se una simile situazione si fosse verificata, ad esempio, nelle vicine Bordighera o Sanremo, i mezzi di comunicazione si sarebbero stracciate le vesti per stigmatizzare lo spreco di risorse per l’abbandono di una struttura del genere, tra l’altro realizzata a suo tempo con il congruo contributo dell’Unione Europea. Invece tutto sembra finito rapidamente nell’oblio più assordante.
Con qualche sporadica notizia sulla base d’asta stabilita per la vendita in blocco di albergo e concessione mineraria, e di amministratori locali e residenti che, quando parlano delle terme di Pigna, non fanno altro che allargare desolatamente le braccia. Desolatamente chiuse le terme di Pigna, a chi ha bisogno di trattamenti del genere, in Liguria non rimane che trasferirsi all’Acquasanta di Mele, nell’immediato entroterra di Genova-Voltri. Per le peculiarità dell’acqua – anche questa sulfurea ma meno concentrata – è simile a quella di Pigna ed altrettanto efficace nelle cure. Il prezioso liquido sgorga alla base di uno scoglio sul quale, secondo la tradizione popolare, fu trovata una statua della Madonna. Di qui l’appellativo di “Santa” data all’acqua. Qui ora sorge una Cappelletta mentre, poco distante, c’è l’imponente Santuario di Nostra Signora dell’Acquasanta, la cui realizzazione iniziò nel 1710. Un duplice percorso, quindi: uno del benessere, in un impianto termale moderno ed efficiente, l’altro devozionale nel culto della Madonna.
E, sulla facciata della chiesa due lapidi ricordano lo storico matrimonio di re Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, con la principessa Maria Cristina di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Austria-Este. Cerimonia svoltasi il 21 novembre 1832, voluta per sancire l’unione politica tra i casati dei Borboni e dei Savoia. Ma le lapidi ricordano pure la visita di Papa Benedetto XV, di origini genovesi, quando era ancora Vescovo di Bologna. Più di altri illustri visitatori, è ricordato, per la sua devozione alla Vergine dell’Acquasanta, un umile laico cappuccino, il Padre Santo, San Francesco Maria da Camporosso, il quale fu visto più volte in pellegrinaggio di preghiera e silenzio, recarsi al Santuario. Quasi un segno di unione tra l’entroterra intemelio e il voltrese, nello spirito della salute fisica e di quella dell’anima.
Angelo Verrando