Sono a conoscenza di fatti ed eventi che riguardano Bose e la sua incresciosa vicenda. Inutile dire che anche sotto tortura non rivelerò le fonti che garantisco certe. Di altri fatti e circostanze non posso parlare senza svelarne l’origine. Chi mi conosce sa che può fidarsi perché ne va della mia credibilità e onestà: amo sempre la verità e la trasparenza e proprio perché parlo apertamente, molto spesso pago prezzi esorbitanti, ma questo è un problema mio.
di Paolo Farinella prete
Ho visto e letto in questi giorni molti commenti su Bose e il Vaticano, basati sul nulla o, peggio, tirando illazioni e supposizioni campate in aria. Qualcuno azzecca un aspetto, un altro mette in rilievo particolari e infine vi è chi fa un unico mazzo. Chi ha avuto contatti con Bose, legge attraverso la propria esperienza e proietta sulla vicenda sentimenti ed emozioni che hanno lasciato traccia nella loro vita, ma che non sono di aiuto a capire il «qui e ora» di Bose, che non è un fiore improvviso, ma il frutto di una lunga peregrinazione nel deserto, almeno decennale.
Bose è un «patrimonio della Chiesa» che rischia di perdersi nel marasma del clericalismo, pure monastico. Papa Francesco è intervenuto consapevolmente e, ne sono convinto, soffrendo. Molti si sono scandalizzati del suo intervento, ma sono certo che il Papa ha elementi che noi ignoriamo. È intervenuta anche la Segreteria di Stato che ha incaricato uno psicologo psicoterapeuta analitico, uomo sapiente e conoscitore dello spirito umano, mons. Amedeo Cencini. Mi risulta che a rivolgersi al Papa e alla Segreteria di Stato, siano stati rispettivamente Enzo Bianchi e, in maniera autonoma, la Comunità monastica, tutta compatta, tranne tre che coabitano con Enzo Bianchi.
È possibile che dentro la curia, non certamente specchio di limpidezza e trasparenza evangelica, qualcuno abbia o stia tentando di approfittarne per mettere in difficoltà il Papa, facendo risaltare che «l’Argentino» crea solo problemi che per altro non sa risolvere, ma produce scandali. Alla luce di quanto emerso in questi sette anni di governo di Francesco, nulla è impossibile, perché «portae ìnferi» sono dentro il Vaticano e spesso pare che «praevàlent».
Dopo averne previsto l’avvento con 13 anni di anticipo nel mio romanzo «Habemus Papam. Il Papa che abolì il Vaticano», prendendo il nome di Francesco, qualche mese dopo la sua elezione, pubblicai un saggio «Cristo non abita più qui», dove il «qui» era ed è il Vaticano. Ogni giorno che passa ne ho conferma. Il Papa è avversato, boicottato, combattuto con ogni arma possibile, anche con delazioni e menzogne. Lo stesso Papa ha elencato i 15 vizi capitali del clericalismo curiale in due discorsi, in occasione del Natale di alcuni anni fa.
Ebbene, con questa Newsletter rispondo alle decine di e-mail che chiedono interventi e raccolte di firme per dire due cose semplici: noi sosteniamo il Papa e gli siamo accanto e con don Primo Mazzolari ribadiamo che «Anche noi vogliamo bene al Papa» e in secondo luogo amiamo Bose che riteniamo frutto compiuto del Vaticano II e vogliamo che resti come segno di contraddizione e virgulto di speranza. Infine aggiungiamo che come Popolo di Dio abbiamo diritto di conoscere la verità su Bose. Tutta la verità perché solo nella verità possiamo essere figli e figlie di Dio. Solo nella verità il mondo laico e non credente, di casa a Bose, può decidere di non buttare all’aria il bambino e l’acqua sporca. Non si tratta di un «affaire» curiale e clericale, si tratta di una ferita sanguinante sul corpo della Chiesa che merita cura nell’ospedale da campo di bergogliana memoria.
Amiche e Amici, accogliete questa descrizione di fatti come un servizio di verità, quella almeno a me possibile.
Paolo Farinella, prete
«ANCHE NOI VOGLIAMO BENE AL PAPA E A BOSE»
Accanto a Papa Francesco e al Monastero Profetico
di Paolo Farinella, prete
Da quando il Papa, «venuto dalla fine del mondo», iniziò il suo ministero di Vescovo di Roma e della
Chiesa Cattolica, col nome profetico di Francesco senza insegne pontificali, molti nella Chiesa ebbero paura.
Temevano che «questo Papa» avrebbe arrecato danni, superando i pali interpretativi che gli ultimi due Pontefici,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, avevano imposto alla ricezione del concilio Vaticano II, ritenuto ormai ruminato e archiviato.
Papa Francesco non deluse le paure e cominciò il suo servizio papale dal Concilio Vaticano II e da Papa
Giovanni XXIII, cui in parte somiglia. La presenza poi del Papa emerito, non sempre rispettosa del silenzio
obbediente promesso con le sue dimissioni, certamente non facilitano il governo e la libertà del nuovo Papa.
Le parole e i gesti di Francesco, uniti alla scelta di non vivere nel sacro palazzo, ma nella casa albergo
«Santa Marta» in Vaticano, convinsero tutti che il nome «Francesco» non sarebbe stato un pleonasmo romantico,
ma un criterio di vita consapevole e dirompente. Gran parte della Curia romana cadde nello sconcerto e temette per i
suoi equilibri interni, fatti di interessi, intrecci di potere, malversazioni economiche, morali e sessuali.
La stagione delle riforme di Papa Francesco furono osteggiate da subito con il collaudato sistema curiale dell’ossequio formale, senza adesione interiore, contrastando, ritardando, deviando o insinuando a seconda delle circostanze.
Anche il mondo laico-laido cominciò a temere che potesse mettere le mani sul «sistema Ior», fino ad allora
garanzia di riciclaggio e copertura di illeciti finanziari per malfattori, delinquenti e anche mafiosi (vedi Banco
Ambrosiano, Marcincus, Sindona, ecc.).
Più il Papa metteva mano alla scure, più aumentava la resistenza e l’opposizione che ben presto divennero sfacciate e determinate. Nacquero gruppi coordinati tra di loro, con ingenti disponibilità economiche provenienti dal mondo tradizionalista populista e fascista. L’alfiere ne è, senza dubbio, il movimento lefevbriano, forte e potente, anche per responsabilità di Benedetto XVI che cedette loro il «diritto» di celebrare secondo il rito «antecedente al 1962», di fatto il rito Tridentino, senza chiedere la previa adesione dottrinale al magistero del concilio Vaticano II. A esso si unirono altri, compresi monasteri ammutinati (es. Francescani dell’Immacolata, commissariato) e l’Istituto Legionari di Cristo (commissariato anch’esso perché ignobilmente famoso per la tragedia del fondatore immorale, vizioso e dedito alla droga: Maciel Delgollado).
L’opposizione di gran parte del mondo economico e politico, legato al mercato neocapitalistico non si fece
attendere, alleandosi con gruppi religiosi, anche curiali, che acquisivano mezzi economici per imporre una società in
regime di «cristianità», senza Cristo e senza Dio.
Negli Stati Uniti, i Cavalieri di Colombo (4 milioni d’iscritti) che ogni anno sostenevano «l’obolo di San Pietro» dei Papi con ingenti somme in dollari, minacciarono di chiudere i rubinetti «se il Papa continua nel suo anticapitalismo». Anche cardinali si coalizzarono tra di loro con scritti anonimi, libelli anonimi e distribuendo false notizie sulla salute del Papa per farlo apparire «malato» e quindi irresponsabile. Sempre con metodo curiale, cinque cardinali accusarono Francesco di eresia, pubblicando un testo dal titolo «Dubia» col quale chiedevano spiegazioni sui contenuti dell’enciclica «Amoris Letitia».
Ogni occasione per i nemici del Papa è buona per fare scoppiare scandali e mettere in difficoltà Francesco per screditarlo, con l’evidente scopo di fare fuori lui e di archiviare definitivamente il concilio Vaticano II, vera «bestia nera» che deve essere rinnegato perché da tutti costoro ritenuto eretico, non dogmatico e non vincolante.
L’ultimo caso di cronaca che tanto stupore ha suscitato nei credenti e non credenti è stato l’ordine da parte
del Vaticano a Enzo Bianchi, fondatore del Monastero di Bose, e ad altri due monaci e una monaca, di lasciare il
monastero al fine di ristabilire la legittima autorità del priore in carica, Luciano Manicardi.
Noi non sappiamo cosa sia successo, ma la notizia è stata un fulmine inatteso e sconvolgente, una vera «bomba» (Alberto Melloni su un pubblico giornale) perché lascia intravedere «fatti gravi», che si protraevano da anni, incancrenendosi. Da fonti certe e inoppugnabili sappiamo che Enzo Bianchi ha governato via via con sempre maggiore accentuazione della sua autorità, cadendo in una forma di solipsismo autoritario, dapprima tollerato dalla comunità in ossequio al carisma del fondatore.
Da circa 10 anni, anche la presenza delle donne dentro il monastero, non era più quella delle origini, ma
tollerata e usata più come forza lavoro, riducendo la loro dignità di «persone» con gli stessi diritti e dovere dei
monaci. Questa convivenza maschile/femminile, vera «profezia di Bose», non è mai stata sopportata dagli ambienti
clericali, ostili a qualsiasi riforma, in attesa di eliminarla definitivamente.
Nel 2014, ben prima delle dimissioni di Enzo Bianchi, questi, forse confidando nella sua amicizia personale
con il Papa, chiese l’intervento del Vaticano, credendo così di sottomettere «ex authoritate» al comunità, ormai tesa
come un violino sul punto di spezzarsi. Si parla di 6 anni or sono, un tempo interminabile per sanare situazioni e
riallacciare rapporti. Nell’intervista, rilasciata il 17 gennaio 2017, al momento delle dimissioni, tutto era velato e chi
conosceva da tempo le cose, anche dall’esterno, aveva capito che si era arrivato al punto di non ritorno, cercando di
celarlo in quell’ignobile coacervo di motivazioni spiritualoidi e di bassa lega, che offendono la dignità e la media
intelligenza delle persone semplici.
Enzo Bianchi ha dichiarato: “L’ho meditata [la dimissione; tutte le sottolineature seguenti sono mie, n.d.R.] da sempre perché avevo conosciuto dei fondatori che non avevano voluto dare le dimissioni ed erano rimasti priori fino alla morte creando… dei problemi alla comunità che avevano fondato… mi ero detto che non sarei stato uno che sarebbe arrivato fino alla morte con questo servizio del priorato. Nel 2014, quando ho compiuto 70 anni, ho cominciato a pensarci: mi sono consultato con le persone più amiche, con la comunità e ho dato l’annuncio molto chiaro che avrei terminato il mio mandato. Prima ho voluto, tuttavia, che ci fosse una visita canonica di due abati per un parere esterno sulla condizione spirituale, umana, materiale della comunità. Alla fine di questa visita mi è stato chiesto di restare ancora perché c’era da finire lo statuto: l’ho portato a termine, è stato approvato dall’autorità ecclesiastica lo scorso dicembre dopodiché ho dato le dimissioni e ho indetto le elezioni del successore nel capitolo che facciamo sempre a gennaio. Giovedì mattina, al primo incontro, è stato nominato priore Luciano Manicardi con una maggioranza dei due terzi mostrando un’unità nel corpo della comunità, un’unanimità e il segno di continuità visto che da dieci anni era il mio vice. Il tutto è avvenuto in un clima di grande pace».
Enzo Bianchi parla «visita canonica», ma non dice le modalità, perché pare che sia stata decisa dal Papa in
persona, lasciando a Enzo la scelta dei visitatori. Nei tre anni trascorsi dalla visita degli Abati e del Vaticano e fino
alle dimissioni del 2017, le condizioni della comunità peggiorano la tensione interna. La presenza del fondatore è
ingombrate, interferendo nell’autorità del nuovo priore, che probabilmente [su questo non ho informazioni e quindi è
una mia illazione] non poteva disporre della gestione della comunità e, suppongo, anche di quella economica, rimasta nelle mani di Enzo Bianchi, con una ipoteca forse inaccettabile.
Il priore Manicardi e la Comunità fanno appello alla Segreteria di Stato; il card. Pietro Parolin – si presume informandone il Papa – incarica mons. Amedeo Cencini psicologo e psicoterapeuta analitico, lo stesso
che sarà scelto per la consegna della decisione drastica a Enzo Bianchi e ai suoi tre sostenitori. La drammaticità della
situazione si coglie dai particolari: mons. Cencini è nominato, per questo atto, «delegato pontificio ad nutum
Sanctae Sedis, con pieni poteri», cioè egli rappresenta direttamente e personalmente il Papa. È «accompagnato
da s.e. mons. José Rodriguez Carballo ofm, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le
società di vita apostolica, e da s.e. mons. Marco Arnolfo, arcivescovo metropolita di Vercelli» (Comunicato ufficiale
di Bose, 27-05-2020).
Costoro, come autorità supreme che da adesso hanno competenza diretta e immediata su Bose, portano il decreto sanzionatorio a «fr. Enzo Bianchi, fr. Goffredo Boselli, fr. Lino Breda e sr. Antonella Casiraghi, i
quali dovranno separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti».
Chi conosce i meccanismi curiali, sa che la procedura e le formule sono di una gravità
straordinaria, non riconducibile a una mera diatriba tra monaci. Bianchi e la Comunità, chiedendo l’intervento, per
altro separato, a due Uffici pontifici, di fatto hanno messo, come mi pare di capire, la loro libertà di «monaci-laici» e
il loro futuro nelle mani della Curia, dove una parte non aspettava altro, ma si è vista graziosamente consegnare «la
testa di Giovanni Battista su un vassoio d’argento» per porre mano alla scure della normalizzazione.
La sovraesposizione di Enzo Bianchi, oracolo del cattolicesimo liberale per la stampa, contraddice le sue
stesse dichiarazioni al momento delle dimissioni. L’ingenuità della Comunità che ricorre alla Segreteria di Stato,
sperando in un «Ciro il liberatore» senza condizioni e, forse, anche la gestione del troppo denaro circolante per
l’acquisto di nuovi monasteri (dopo Ostuni anche Assisi, Cellole di San Gimignano, Civitella), hanno fatto il resto.
Ritengo che la inevitabile chiusura dei protagonisti, ripiegati nella sofferenza che facilita l’autoreferenzialità
inconscia, abbia contribuito a fare di una vicenda interna, un «kairòs ecclesiale» al massimo livello, risolto a forza di
diritto canonico (chi ha più autorità vince), vanificando il metodo di Mt 18 e il senso stesso dell’ecclesialità.
Nulla sarà più come prima. Per Enzo Bianchi al quale consigliamo di ritirarsi a Gerusalemme e meditare,
pregando tutti i giorni, ai bordi del sepolcro vuoto; per la Comunità monastica, che ha perso la propria purezza di
segno dei tempi conciliare, virgulto di speranza; per i credenti che in Bose dissetavano la loro solitudine ecclesiale
nel deserto clericale di oggi; per i non credenti che a Bose trovavano un luogo amico, rispettoso e non invasivo (per
questo evangelizzante nel segno dello Spirito che non ha patria e confini). Ora Bose rischia di trasformarsi in una
struttura religiosa come le altre, lasciata al proprio destino ma non sarà più Bose, il Monastero da tanti sognato e
vissuto. Parole come vangelo, fraternità, amicizia, comunità, condivisione, preghiera rischiano di diventare formule
stereotipe che esigono di lavarsi l’animo nel silenzio per lungo tempo.
È possibile che anche questa vicenda, possa essere strumentalizzata dai nemici di Papa Francesco contro di
lui e il monastero «simbolo» del rinnovamento conciliare. Alcuni di noi anticiparono in anni non sospetti che alla
morte o alle dimissioni di Enzo Bianchi, sarebbero scoppiati i veri nodi:
1) la declericalizzazione della Comunità (i monaci sono laici, non preti, secondo lo spirito di Benedetto da Norcia);
2) l’ecumenismo effettivo (la comunità ospita monaci e monache cristiani, indipendentemente dall’appartenenza confessionale);
3) la Comunità senza genere (formata da monaci e monache, dimoranti sotto lo stesso tetto di un solo monastero). Il Vaticano ha tollerato tutto questo e ora con l’intervento drastico, autorizzato dal Papa, metterà Bose in riga? La prima riga riguarderà la separazione tra uomini e donne; a seguire gli altri due. Poiché Bose non è affare privato, nemmeno di Bose stesso, ma «patrimonium Ecclesiae», è diritto di credenti e non credenti conoscere la verità. Tutta.
Siamo impressionati per la decisione del Papa che sembra contraddire la sua linea pastorale pubblica che
predilige misericordia e tenerezza e speriamo che si abbia rispetto del Popolo di Dio che tanto bene ha avuto dalla
frequentazione di Bose, mentre preghiamo che non si usino metodi inaccettabili contro i diritti della persona in una
Chiesa che vuole essere specchio di trasparenza.
Siamo accanto a Papa Francesco al quale dichiariamo con don Primo Mazzolari: «ANCHE NOI VOGLIAMO BENE AL PAPA», dicendogli insieme a lui siamo con il concilio Vaticano II e con la «profezia di Bose» che vorremmo continuasse come frutto visibile del magistero conciliare. Ci opponiamo a ogni manovra contro Papa Francesco al quale dichiariamo il nostro affetto e la nostra preghiera.
PUR SOLLECITATI DA TANTI, NON RACCOGLIAMO FIRME PERCHÉ IL PAPA DISDICE QUESTO METODO.
Da figli e non servi, attendiamo la verità, perché solo «la verità vi farà liberi».
Paolo Farinella, prete