“Vorrai mica pubblicare la foto ! L’hanno postata le mie figlie, Marina e Marta. Una sorpresa nella sorpresa. Non è un fotomontaggio da fakenews. Mi è capitato per davvero…” Un’immagine da prima pagina nei giorni del coronavirus. Ai bei tempi del turismo nordico in Riviera sarebbe finita alle agenzie di stampa. Come accadeva per le prime mimose in fiore o la neve in riva al mare.
E’ giorno di compleanno, da terza età, per il comandante Carlo Gambetta, memoria storica, vita da marinaio nei quattro continenti, tre volte primo cittadino della sua amata Noli (tra gioie e dolori). Chi si ritrova in casa ? Manco a dirlo, un ospite inatteso. Un pettirosso che si lascia coccolare. Papà e nonno Carlo che ama e conosce gli uccellini, incredulo, lo prende in mano per soccorrerlo e suscita la docile gelosia della ‘gelosissima’ compagna Gea (una golden retriever) prossima a compiere due anni. Un tesoro a quattrozampe che non lascia, si fa per dire, avvicinare nessuno al suo Carlo. Sempre attenta.
Cosa è accaduto di tanto strano e sicuramente episodio rarissimo nelle sue sequenze. L’uccellino, in volo dal giardino attiguo a casa Gambetta, finisce contro la parete e sviene, intontito. “L’ho preso in mano convinto fosse morto, ma ho iniziato a scaldarlo con il mio alito. Un vecchio rimedio. E’ rimasto così per qualche minuto, poi i segni di ripresa. In piedi sulla mie dita. Ho continuato a scaldarlo. Immobile, non prendeva il volo. Si è avvicinata la mia Gea, annusava. U ‘piccettu’, quasi a suo agio, neppure intimorito…” La sceneggiatura da film vero è durata alcuni minuti, il tempo per un nipotino di scattare alcune foto; meritano l’album dei ricordi. La testimonianza di cui sono capaci i piccoli volatili.
Secondo una leggenda cristiana, i pettirossi erano in origine tutti grigi, dal capo alla coda. Un pettirosso si trovava sul Golgota e, vedendo un uomo crocifisso, cercò di liberarlo dalla corona di spine che portava in testa e, nel farlo, si macchiò il petto con il suo sangue. Piccolo, grazioso e colorato, in grado di intonare canti melodiosi, il pettirosso annuncia l’arrivo dell’inverno ed è il simbolo di speranza, ottimismo e della vita che resiste alle difficoltà. In primavera lo ritroviamo ancora nei giardini di casa, negli orti.
Chi ha vissuto gli anni del dopoguerra, quando la cacciagione non aveva limiti e il bottino dei cacciatori non mancava mai, in certi paesi della Liguria (non a Noli ricorda Carlo Gambetta) il pettirosso finiva in gabbia, faceva da richiamo. Gabbie fatte appositamente per cacciare con l’arma del vischio. Gabbie lunghe e strette (si trovano qualche volta nei mercati dell’usato e antichità), due bacchette rialzate (cosparse di vischio) formavano la trappola. Gli uccellini uccisi, portati a casa, spennati ed utilizzati soprattutto per i piatti (pastasciutta) con il sugo. Non c’era la carne macinata, in pentola i poveri pettirossi.
Fortunatamente la civiltà ha fatto progressi, almeno con madre natura, i suoi piccoli volatili, peraltro sempre più rari. Decine di specie un tempo (fino agli anni ’70-’80) abituali frequentatori delle nostra Liguria, di fatto ‘scomparse’. Si pensi ai bellissimi cardellini, ai verdoni, allodole, fringuelli (qualcuno si vede ancora), il cuculo, l’allocco uccellino notturno come la civetta.
Non ci resta che leggere sulla pagina Facebook del comandante: “Grazie a tutti degli auguri!! Siete stati tantissimi. Anche restando a casa…puoi trovare un amico in più!”