Esce giovedì, 19 dicembre, “Le bombe di Savona ’74 – ’75: i protagonisti, le immagini, la verità”. Venerdì alla Feltrinelli e alla UBIK di Savona, a 13 Euro (è già in vendita su Amazon allo stesso prezzo). Il libro costituisce l’ideale complemento di “Una storia di paese”, il volume (pubblicato a luglio 2019) che ripercorre, con nomi e cognomi dei protagonisti, la tragica epopea delle bombe di Savona e ne propone una spiegazione – basata su documenti in gran parte inediti e su nuove testimonianze – decisamente difforme da quella ufficialmente tramandata da buona parte dell’establishment savonese e ligure.
A distanza di sei mesi, il nuovo libro presenta innanzitutto una serie di interviste, in gran parte inedite, ad alcuni tra i maggiori protagonisti della vicenda che, tra il 30 aprile ’74 e il 26 maggio ’75, vide Savona oggetto di una serie di attentati unica nel suo genere: dodici bombe scoppiate nei portoni delle case, davanti alle scuole, lungo i viadotti ferroviari e autostradali e così via, con il tragico epilogo di una vittima e decine di feriti. Tra i tanti, segnaliamo le voci di Giovanni Russo (l’avvocato savonese allora esponente della Democrazia Cristiana locale e che fu in seguito deputato per la stessa DC) e di don Giampiero Bof, il teologo che nel periodo delle bombe svolse anche il ruolo di insegnante al Liceo classico “Gabriello Chiabrera”, la storica “scuola-bene” della borghesia savonese.
E, ancora, l’intervista a Lelio Speranza presidente del Comitato Provinciale Antifascista e organizzatore (sulla base dell’esperienza maturata nei partigiani, di cui Speranza fu uno dei responsabili locali) di quella vigilanza organizzata nei quartieri e nelle fabbriche che vide la gente di Savona protagonista di una reazione popolare “dal basso” che ha pochi eguali nella storia del dopoguerra europeo.
Attraverso le parole di questi e degli altri protagonisti delle interviste i lettori potranno ripercorrere “in presa diretta” i momenti fondamentali ma anche gli umori e le sensazioni dei giorni delle bombe: le esplosioni, la risposta della popolazione, il ruolo dei protagonisti dall’una e dall’altra parte della barricata, la vigilanza popolare, i ritardi nelle indagini, i depistaggi e così via.
Nel Post Scriptum finale ho poi tentato, sempre sulla base della documentazione raccolta (tra cui un lungo scambio epistolare particolarmente significativo con Vincenzo Vinciguerra) e di una testimonianza riservata e a suo modo sconvolgente (quella del senatore a vita Paolo Emilio Taviani) di dare un’interpretazione storica degli attentati savonesi. Un’interpretazione credo sorprendente, che da un lato spazza via le teorie “savonacentriche“, ancora molto in voga nel capoluogo, e dall’altro pone le “bombe di Savona” al centro di un conflitto internazionale probabilmente decisivo per le sorti del nostro paese, in quel particolare momento storico che va sotto il nome di “strategia della tensione”. Fino ad arrivare a un paradosso addirittura “feroce” nei confronti di Fanny Dallari, la vittima degli attentati: quelle di Savona potrebbero essere state “bombe per la pace” o, quantomeno, il mezzo per giungere a una tregua tra due fazioni del “partito americano” l’una contro l’altra armate per decidere l’atteggiamento da assumere nei confronti del PCI.
Una ricca serie di foto e immagini completa il volume.
Massimo Macciò
Alcuni stralci dal “Post Scriptum”:
Una cornice senza quadro. Le bombe di Savona sono questo. Perché le bombe sono scoppiate davvero tra il 30 aprile ’74 e il 26 maggio ’75, e c’è stato il morto e oltre una dozzina di feriti. Ma quando si cerca di capire chi è stato e perché, allora c’è il vuoto. Nessun imputato, nessun processo, nessuna condanna. Mancano anche gli appigli per provare a indovinare per quale motivo Savona si sia trovata come in tempo di guerra. Di certo c’è solo che in un anno a Savona e dintorni sono scoppiati dodici ordigni e che sette di queste esplosioni sono avvenute in quindici giorni, tra il 9 e il 23 novembre ’74. Una media di una bomba ogni due giorni: neanche a Kabul, neanche a Belfast ai tempi dell’I.R.A.
Per il resto, quella degli attentati di Savona è una storia piena di fantasmi. Chi ha rivendicato le bombe quasi sicuramente non le ha messe. Chi ne era l’obiettivo si è guardato bene dal dirlo a chiunque, salvo lasciarsi andare, venti e più anni dopo, ad una confidenza solitaria e passata anch’essa quasi inosservata. Qualcuno ha dei dubbi perfino sulla matrice della bomba: la destra neofascista, la sinistra radicale, qualche figlio di papà annoiato dalla vita di provincia, i servizi segreti civili o militari, Gladio… Allora proviamo a riempire questa cornice (…).
(…) In questo contesto entra in gioco Paolo Emilio Taviani: il potentissimo ex partigiano genovese, il fondatore segreto di Gladio, “l’amico degli americani” nella guerra fredda che si stava svolgendo in quel momento anche in Italia, l’onnipresente ministro prima della Difesa e poi degli Interni e – non va dimenticato – il referente politico e istituzionale dell’Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto d’Amato. È sempre Taviani, del resto, che a fine ’73 dichiara fuorilegge Ordine Nuovo, con una decisione di dubbia legittimità costituzionale e che, nelle parole dello stesso senatore a vita “è stato un atto politico”. Agli occhi del partito del golpe, insomma, un rinnegato in piena regola (…)
Per quanto possa appare paradossale (…) le bombe di Savona potrebbero quindi essere state addirittura “bombe per la pace“, o quantomeno il mezzo per convincere chi rappresentava il principale ostacolo ad un armistizio durevole, nella guerra tra i due schieramenti dello stesso partito, a farsi da parte. Quella delle bombe di novembre appare allora un’operazione organizzata – in fretta ma con estrema professionalità e probabilmente sotto l’ombrello NATO – da un’organizzazione nazionale con sicuri referenti locali. Ecco che allora tutti gli attori trovano parte in commedia: i mandanti, i vettori, i controllori, gli esecutori materiali e pure la sequenza delle operazioni. (…)
Resta il mistero della bomba scagliata contro la centrale Enel di Vado Ligure tra l’otto e il nove agosto 1974. E resta un retrogusto amaro nei tanti savonesi che con la loro reazione “dal basso”, le ronde e le manifestazioni avevano dato una risposta senza precedenti all’aggressione in atto: quello, cioè, di scoprire che gli uomini contro i quali stavano attuando una lotta senza quartiere (o, almeno, i loro mandanti) non erano biechi golpisti neofascisti ma uomini delle istituzioni o che, comunque, appartenevano, in realtà, alla stessa squadra. Quella che di giorno si riempiva la bocca con parole quali “libertà” e “democrazia” e che di notte giocava a fare la guerra sulla pelle dei cittadini. È un punto su cui vale la pena riflettere.
Massimo Macciò