Un edificio che non è più utilizzato quale fabbrica, solo assemblaggio, esposizione e negozio. Le moderne industrie hanno bisogno di un unico livello, non a piani come l’immobile costruito da Gepin coi soldi delle sue prime vittorie. Lo storico cellasco Gianluigi Bruzzone è autore della monografia su Gepin nel volume: “Personaggi di Celle”. Dove si narra, tra l’altro, che “quando finiva quel fantastico giro d’Italia tutto il paese era in festa e alla sera con la banda musicale si andava alla stazione ferroviaria ad aspettare l’arrivo del nostro campione; Gepin arriva alle due di notte e, dato che era piuttosto timido e schivo, cerca di sgattaiolare, ma lo acchiappano, se lo mettono sulle spalle e giù per la via principale del paese fino a casa sua, con la banda in testa, proprio come quando a maggio si partiva per il pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Misericordia”. Gepin esempio di famiglia unita e che ai tre fratelli e alla sorella regalò un consistente pacchetto di azioni delle sue aziende sparse nell’Italia del Nord. E ai suoi esordi, nel ciclismo, alla mamma disse: “Lasciatemi andare vi farò tutti ricchi”. Alla moglie affidava la ‘cassa’ della famiglia. Tre figlie: Anna, Marisa e Silvana.
di Gianluigi Bruzzone
I coniugi Luigi[1] e Maria Isabella Olmo[2] conducevano un negozio di merceria all’inizio di via Aicardi e d’estate Luigi conduceva anche uno stabilimento balneare[3]. Ragazzo tredicenne aveva solcato i mari, imbarcato come mozzo ed aveva sposato in età matura una donna molto più giovane. Nel torno di due lustri ebbero sei figli: Caterina[4], Franco[5], Anita[6], Giovanni[7], Giuseppe oggetto del presente profilo, nato il 22 novembre 1911 e Michele[8].
Da ragazzi tutti aiutavano nell’esercizio familiare in proporzione all’età e nei lavori o nei lavoretti dove riuscivano meglio. Famiglia unita, gli Olmo, ed ognuno era lieto di contribuirne al buon andamento. Gepin si rivelò d’ingegno sveglio e di buona volontà e così i genitori gli fecero proseguire le scuole medie a Savona, dopo il corso elementare. E per andarvi gli donarono una bicicletta da corsa, essendo del tutto impraticabile l’uso del treno.
È l’inizio della sua epopea. Il ragazzo infatti, oltre a gustare queste andate mattutine e questi ritorni dopo le ore scolastiche, mutevoli a seconda dell’avvicendarsi delle stagioni, notava i frequenti passaggi di ciclisti. La nostra riviera era da loro scelta per familiarizzarsi e per allenarsi sul tragitto della “Milano – San Remo“[9], cui avrebbero partecipato. Non solo, nel giro di pochi anni la vicina Varazze era divenuta riferimento per parecchi professionisti del velocipede: grazie al Girardengo[10], ospite a Varazze, squadre (l’Olimpia, la Wolsit, la Maino) e singoli apprezzarono “i vantaggi di poter usufruire di un clima ideale, di un’Aurelia quasi completamente sgombra di automobili”[11], soggiornando di solito nella “Villa Elena“, noto anche come “Hotel Genovese”. Si aggiunga la presenza di Giuseppe Oliveri[12] e del massaggiatore Giovanni Craviotto detto Carbunin.
Fu appunto Alfredo Oliveri, nipote di Giuseppe, a presentare au barba Gepin, ragazzo che non di rado si accodava sulla strada ai ciclisti – magari marinando la scuola – attirato dal fascino delle due ruote, dai campioni, dal gusto della velocità, dal sottinteso desiderio di una competizione con loro. Un giorno invernale del 1924 del resto, con i libri fissati alla bicicletta, tornato da scuola, Gepin aveva seguito e raggiunto il campione novese. Questi inoltre era amico di Franchin Olmo, il fratello maggiore. E così “alla fine degli anni Venti la storia di Oliveri si intreccia con quella del cellasco“[13]: l’Oliveri in procinto di ritirarsi dalle competizioni, convinse i coniugi Olmo a lasciar seguire a Gepin la passione ciclistica, perché in lui colse una genuina volontà di imparare, una non comune ammirazione. Da allora lo seguì, lo allenò, lo introdusse nell’ambiente sportivo, svolse il ruolo di agente. La stima per il ragazzo divenne affetto paterno, anche per avere ‘soltanto’ due figlie, ma nessun figlio. Naturalmente Gepin era supportato anche dalla famiglia materna, quanto meno dalla nonna Anna Piccardo nata Gambetta conduttrice dell’”Albergo Ligure” la quale preparava al nipote il bagno ristoratore dopo gli allenamenti, nonché dallo zio Bernardo Piccardo[14] che lo assisteva nelle prove, lo incoraggiava e gli donava l’abbigliamento sportivo. Estimatori ed orgogliosi di lui erano poi un po’ tutti i compaesani, fra cui Lorenzo Badino detto Caracco[15]: sovente lo assistiva durante agli allenamenti e durante le gare lo seguiva sulla moto Guzzi.
LO SPORTIVO – La prima vittoria fu conquistata nel marzo 1927, nella corsa intitolata “Medaglione Oliveri”[16], seguita la settimana presso dalla Sestri Ponente – Cogoleto e ritorno e poi dal giro della Madonna del Salto (sulla via per Stella), vittoria ripetuta di lì a poco. Insomma, nel 1927 partecipò a sei corse, vincendone cinque: fu secondo nella Varazze – Savona e ritorno per essersi forata la gomma della bicicletta. L’anno 1928 fu altrettanto generoso di successi e così fu promosso nella categoria di dilettanti iuniores. Sei le vittorie ancora nell’anno 1929, dodici nel 1930, fra cui quella del campionato ligure su strada. Da subito Gepin si segnalò per lo stile nell’andatura e per la simbiosi con la bicicletta. Ricordò a questo proposito un anonimo ciclista all’altezza di questa data: “In Liguria rivedo Olmo. Che bel corridorino è diventato! Stampato sulla macchina, efficace nello sforzo, elegante come pochi. Lo seguo nel giro del Salto, un percorso classico del ciclismo savonese. Sono in moto con Oliveri quando comincia la salita, Olmo saluta tutti i suoi compagni di avventura e se ne va leggero come raramente ho visto fare”[17].
Le corse oggi sono conosciute appena dai cultori appassionati della storia ciclistica, ma allora erano combattute e seguite. Come tutti sappiamo, il ciclismo suscitava allora entusiasmi oggi riscossi dal giuoco del pallone e – se ci è consentito esprimere un’opinione personale – ci sembrano più condivisibili gli entusiasmi per quello sport che per questo[18]. Per quanto accennato, i concorrenti erano agguerriti e le gare impegnative. “Nel 1930 Olmo era già qualcosa di più di un buon corridore regionale. Correva allora per la società ciclistica Sampierdarenese, l’associazione più rinomata in Liguria. Fra le tante vittorie la più ambita fu quella riportata nel giro di Acqui nella quale staccò in salita tutti gli avversari, ed il solo Briano, un savonese amico sincero, riuscì a rimanere sulla sua ruota. Tra i battuti in quella corsa vi fu anche Pierino Bertolazzi, il torinese che l’anno prima aveva vinto a Zurigo il campionato del mondo dei dilettanti, che arrivò infatti terzo, ma a ventisei minuti da Olmo”[19].
Delle undici vittorie meritate l’anno 1931 segnalo la finale della Coppa Italia corsa nel circuito di Castel Giubileo presso Roma (14 giugno); il campionato dei dilettanti seniores a Siena (12 luglio). Segnalo altresì il secondo posto nella corsa per il campionato mondiale a Copenaghen (26 agosto). La fama del giovane cellasco era ormai internazionale, tanto su strada quanto su pista.Delle nove vittorie meritate l’anno 1932 segnalo la Milano – Torino (10 aprile), la Coppa Italia a squadre (29 maggio), il giro del Sestrière (12 giugno). Per il valore dimostrato con codesti risultati fu prescelto a rappresentare l’Italia nelle Olimpiadi di Los Angeles insieme con Attilio Pavesi[20] e Guglielmo Segato[21]: la squadra vinse la medaglia d’oro alla gara del cronometro.
Con il 1933 il Nostro passò al rango di professionista e pur subendo vari incidenti, vinse due tappe nel XXI Giro d’Italia (6-28 maggio 1933), vivacizzando la competizione[22] e dimostrando che non esistevano soltanto Alfredo Binda[23] e Learco Guerra[24]. Nella quarta tappa egli impressionò i competenti “due volte sulla salita delle Croci, non lunga ma durissima, e a Borgo San Lorenzo. Al valico di Osteria delle Croci di Barberino, egli è passato per primo, per primo dopo avere costantemente fatto parte dell’esiguo gruppetto dei dominatori e al campione del mondo, fasciato dalla maglia rosa del leader, più per puntiglio che altro, più per una dimostrazione del proprio valore, che per un effettivo vantaggio da conquistare, aveva preso qualche macchina con uno scatto veramente superbo”[25]. Nella dodicesima tappa poi brillò “per la costante freschezza, per il migliorato stile, per la sicura azione offensiva e difensiva. […] Prodigioso fanciullo … capace – senza spavalderie e senza, forse, la coscienza esatta dei propri mezzi di imprese superiori”[26].
Nel XXII Giro d’Italia (19 maggio – 10 giugno 1934) il Nostro meritò la maglia rosa all’ottava tappa da Bari a Campobasso[27], frutto di un attacco a sorpresa e vinse tre tappe. Quanto mai faticoso per i molti chilometri in salita la tredicesima Firenze – Bologna[28], la sedicesima Trieste – Bassano per essere incidentato[29], e la diciasettesima ed ultima. In breve, fu indubbio protagonista: “Da un anno all’altro il ragazzo di Celle Ligure ha realizzato enormi miglioramenti, sì da soddisfare pienamente quel severo maestro che è Olivieri, un compagno dei tempi d’oro di Girardengo. Olmo ha notevolmente acquistato in velocità e in tenuta; in più è un giovane che pedala di stile. È giovane che avrà tempo per farsi le ossa delle gare a tappe. In questo giro ha fatto molto di più di quanto non si pensasse ed ha vinto una bella battaglia, soprattutto se si considera che si trattava di un giro oltre modo severo. La serie dei suoi vivaci duelli con Guerra in tutte le volate, il puntiglio del quale ha dato prova in una gara così lunga, hanno valso ad Olmo un coro di simpatie e può ben dirsi che egli, dopo Martano[30], sia il primo elemento di autentica classe venuto fuori dai giovani”[31].
VITTORIA ALLA MILANO – SANREMO – Nel 1935 vinse una Milano – Sanremo in condizioni climatiche pessime[32] e ben quattro tappe del XXIII Giro d’Italia (18 maggio – 9 giugno 1935), oltre a indossare per sette giornate la maglia rosa. In realtà stava per vincere anche la prima tappa, ma lo precedette di pochi centimetri Leandro Guerra[33] e così i dirigenti della San Pellegrino assegnavano al Nostro un premio speciale consistente in mezzo milione di lire[34]. La vittoria della seconda tappa Cesenatico – Riccione, a cronometro, scatenò “un entusiasmo indescrivibile. Il ragazzo è stato circondato, freneticamente applaudito; Cavedini[35] ha durato fatica a sottrarlo a tanto entusiasmo ed a portarlo a riposare in attesa della seconda fatica…”[36]. Nonostante un doloroso stiramento muscolare al ginocchio sinistro, vinse la tredicesima tappa Firenze – Montecatini dimostrando tenacia, forza, volontà selvaggia[37]. Lo stesso dicasi per la diciasettesima e diciottesima tappa, nelle quali il nostro campione “si è valso dello scatto, dell’elasticità, dell’energia, della classe che lo distinguono per farsi ammirare tra i migliori in campo”[38], mantenendo “mirabili condizioni di freschezza ha saettato negli ultimi metri”[39]. Dopo tanti sforzi e tanto consumo di energia non meraviglia se al termine del giro Olmo svenisse per un’infezione al piede[40].
CAMPIONE MONDIALE CON PIù DI 45 KM ALL’ORA – In questo medesimo anno 1935, il 31 ottobre, si colloca la vittoria per la quale Gepin è ancor oggi ricordato: il massimo mondiale dell’ora senza allenatore conquistato al velodromo Vigorelli in Milano[41]. Tale primato per aver superato i 45 km orari gli diede una fama oggi appena immaginabile. “Gli sportivi di tutti paesi sanno che il giovanotto dal volto fine, dai lineamenti espressivi di una volontà meravigliosa, dalla costituzione armonica e dalle linee atletiche che distinguono il puro sangue, il giovanotto che corre su strada ed in pista chiuso in un’aderente maglia dai colori bianco-celesti, insomma, il corridore che le cronache e il popolino chiamano sovente il campione di Celle, l’aquilotto, oppure Gepin è il nuovo detentore del massimo mondiale dell’ora in pista senza allenatori”[42].
RECORD DI VITTORIE AL GIRO D’ITALIA – Nel XXIV Giro d’Italia (16 maggio – 7 giugno 1936) certo impegnativo visto che metà corridori si ritirarono, Olmo vinse ben dieci tappe. Alcune difficilissime come la Rieti – Terminillo, monte a 1700 metri sul livello del mare. Il nostro trionfò: “nell’immensità affascinante di un panorama suggestivo, nel silenzio divino della strada di montagna, dove l’unico segno di vita terrena era costituito dal ritmo dei motori delle vetture e delle motociclette al seguito di ogni atleta, lungo un percorso totalmente sbarrato, gli attrezzi del xxiv giro d’Italia si sono contesi il terreno palmo a palmo, impegnandosi in uno sforzo terribile e avvincente. Il detentore del massimo mondiale ha trionfato“[43]. Il giornalista sportivo Emilio Colombo commentava: “Credo che si possa affermare che la vittoria dell’atleta italiano, che la F.C.I. ha recentemente premiato per la conquista del più importante massimo ciclistico mondiale, è dovuta alla classe di un campione completo. Olmo è stato, da Rieti al Terminillo, non soltanto leggerissimamente più rapido, nel complesso, di tutti i suoi avversari, ma anche lo stilista, il pedalatore, il concorrente migliore. Dico il concorrente migliore, perché egli non cadde nell’errore di partire come una furia nell’intento di avvantaggiarsi lungo il primo tratto meno rapido, ma distribuì le proprie energie con rara saggezza tanto da guadagnare negli ultimi e più impervi cinque chilometri della salita“[44].
Stupefacente la vittoria altresì della tappa successiva, Rieti – Firenze, di quasi trecento chilomteri, caratterizzata da colpi di scena sensazionali[45]. E che dire della diciottesima tappa Legnago – Riva del Garda?[46] Alla fine “Bartali[47], atleta attrezzato per gli sforzi e le fatiche continuative, veniva a trovare alleati preziosi per il suo duello con Olmo negli stessi avversari scalatori. Bartali superato di pochi secondi da Canavesi[48] e Molinar[49] al traguardo del Pian delle Fugazze, non ha mancato di giocare la propria carta, cioè di mettersi al sicuro dai pericoli di una foratura, impegnando ogni energia nella difficile, lunga, tormentata e ondulata discesa di Rovereto. Ma Olmo non ha mollato. Campione completo, dopo essersi battuto con lenta, regolare, progressiva e cronometrica graduazione delle forze e delle energie in salita, si è battuto allo sbaraglio dal termine dell’ascesa; ha annullato prima il tentativo di Bartali e Molinar; poi, a quindici chilometri dal traguardo, ha mandato a vuoto il colpo gobbo del balilla della squadra di Ganna“[50].
Al XXV Giro d’Italia (8 – 30 maggio 1937) Olmo vinse una tappa, mentre nel 1938 gli arrise la più splendida vittoria della carriera: la Milano – San Remo. Le prove degli anni precedenti lo avevano un poco prostrato, ma nella più classica delle gare sembrò “quasi scoccato dall’arco della contesa, freccia bianco-celeste fulmineamente avventata contro il bersaglio“[51] e seguito da Pierino Favalli[52] e da Alfredo Bovet[53]. Non vanno dimenticati i caratteri della corsa in Riviera: “strade belle, ma serpeggianti tutte gobbe e altalene e una marea di vetture, e siepi di folla e passaggi a livello, e dappertutto l’inquietudine matta che è il presagio del traguardo imminente. Per questa seconda San Remo la forza atletica è un coefficiente pari per importanza alla fulmineità dei riflessi. Chi tergiversa è battuto. Chi non vive all’avanguardia è battuto”[54]. Gepin percorse i 281 chilometri del tragitto[55] in sette ore, diciotto minuti e trenta secondi, con una media oraria di 38.51 chilometri, per molti anni rimasta insuperata.
Olmo corse ancora fino alla Milano – San Remo del 1941, passando in tale anno alla società DEI, dopo essere stato con la Bianchi dal 1933 e in precedenza con la Frejus. Questa in sintesi la carriera sportiva del Nostro[56]: forse deluderà un poco gli specialisti mancando i particolari della cronaca e forse annoierà altri, ma era necessario proporre codesti cenni perché il discorso non apparisse vago e senza precisi parametri per eventuali raffronti e per la comprensione stessa del fenomeno. Una biografia infatti non può collezionare astrazioni, bensì collocare il biografato in un ambiente preciso, fra avvenimenti precisi, configurantisi nella realtà di uno spazio e di un tempo. Osserviamo che le vittorie avvennero quasi sempre in Italia, sebbene il campione fosse invitato da parecchi sodalizi europei, in particolare dai velodromi, per gli appassionati che richiamava la sua presenza: così … monetizzava la gloria. Andrà manifestato altresì il convincimento che Olmo si sarebbe meglio affermato, se avesse avuto squadre più valide ed organizzate con più acconci criterii. *
I cellaschi erano orgogliosi del loro campione e del resto molti erano appassionati del ciclismo. Al “Margherita”, al “Nazionale” e negli altri caffè del paese si accendeva la radio per apprendere in tempo reale le gesta del compaesano. Un giorno fu donato al campione un enorme panettone ed esso fu offerto a tutti i presenti del “Caffè Margherita”. In occasione delle gare la vendita della stampa sportiva conosceva un’impennata. L’entusiasmo si manifestava con striscioni, bandiere, drappi etc. e non soltanto in Celle.
LA PRIMA MAGLIA ROSA – La prima maglia rosa vinta da Olmo nel XXII Giro d’Italia (maggio-giugno 1934) “scatenò a Celle l’euforia di tutti gli amici e tifosi, striscioni ineggianti e scritte erano dappertutto”[57]. Erano anni nei quali furoreggiavano sui muri le frasi del Duce, ma gli spazi liberi erano raggiunti dagli entusiasti del ciclismo per dipingervi “Viva Binda”, “Viva Guerra”, “ma il nome più rappresentato era Olmo, perché …era dei nostri”[58]. Riferendosi appunto a questo giro d’Italia un bimbo d’allora ricordava: “In quel periodo avevamo tutti la febbre dell’esaltazione ciclistica per via di Gepin, cioè di Giuseppe Olmo, cellese e gran campione dei pedali: la scuola elementare finiva alle quattro e mezza del pomeriggio, ma alle quattro e un quarto la radio dava l’ordine d’arrivo del giro d’Italia; nel bar di fronte davan piena voce alla radio e noi da scuola si sentiva e in quell’anno (credo fosse il ’34 perché facevo la quinta) Gepin era sempre fra i primi. Come la radio diceva Primo Olmo, oppure secondo Olmo, oppure terzo Olmo, in scuola erano grida frenetiche e un gettare all’aria (e anche gli uni contro gli altri) le sacchette dei libri; il maestro – ch’era un gran brav’uomo – ci dava via libera. E quando finisce quel fantastico giro d’Italia tutto il paese è in festa e alla sera con la banda musicale si va alla stazione ferroviaria ad aspettare l’arrivo del nostro campione; Gepin arriva alle due di notte e, dato che era piuttosto timido e schivo, cerca di sgattaiolare, ma lo acchiappano, se lo mettono sulle spalle e giù per la via principale del paese fino a casa sua con la banda in testa, proprio come quando a maggio si partiva per il pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Misericordia”[59]. Questo scolaro diverrà parroco a Savona, amico di Gepin[60] e corridore dilettante per l’intera esistenza[61].
Anche a livello ufficiale Gepin riscuoteva un legittimo orgoglio, per le ovvie ricadute positive sul paese: il 5 maggio 1935, mentre era podestà l’avv. Bruno Aurelj (1933-39), il Comune deliberò per lui una medaglia d’oro in occasione della vittoria alla XXVIII Milano-San Remo.
L’IMPRENDITORE – Nel frattempo la vita di Gepin girava una boa importante: il 7 gennaio 1940 sposava nella parrocchia di S. Michele in Celle[62] la genovese Dina Dapelo[63], dalla quale avrà tre figlie: Anna[64], Marisa[65] e Silvana[66]. Valoroso e determinato coltivava un evidente progetto nel pensiero associato ad una volontà tenace e costante. Adolescente, aveva potuto seguire la passione ciclistica coronandola con un meritato successo: ragazzo entusiasta aveva considerato la propria vita come un progetto da realizzare, col proprio attivo contributo, giorno dopo giorno. La sua fresca energia aveva concretizzato il sogno, la sua mente ed il suo cuore non si erano lasciati vincere dalle inevitabili delusioni, aveva cicatrizzato le ineludibili ferite dell’esistenza. Per l’innato ottimismo era convinto di poter intervenire sulla scena del mondo, di potervi lasciare un’impronta originale. Del resto ognuno di noi è irripetibile ed ha riserbato un ruolo tutto ed esclusivamente suo nel mistero della Provvidenza. Gepin tendeva non tanto al possesso di una gloria o di beni materiali (per sé e per gli altri), quanto all’intima soddisfazione di dare tutto sé stesso ad un sogno più grande di lui.
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale il trentenne cellasco considerò di avere ormai precise responsabilità con la nuova famiglia, né aveva dimenticato la ‘promessa’ ai genitori per convincerli a lasciarlo seguire la via del ciclismo: “Papà, lasciami fare. Diventerò un buon corridore. Ne sono sicuro. Lo sento. E farò diventare ricca tutta la famiglia”[67].
COMPRA IL TERRENO PER LA SUA FABBRICA DI BICICLETTE – Che si trattasse di un disegno consapevole lo dimostrano alcune date. Almeno dal 1936 Gepin decideva di aprire una fabbrica di biciclette. Non era un colpo di testa: aveva a lungo ponderato i pro e i contro, si era consigliato con competenti, aveva osservato l’ambiente ciclistico cui faceva parte, ne aveva discusso coi fratelli, con amici ed estimatori. L’anno 1937 acquistava in Celle il terreno su cui costruirlo, in comoda positura, prospiciente il nuovo tracciato della Via Aurelia (approntato negli anni 1930-33). Nel 1938 si costruiva: è un immobile piuttosto vasto, a tre livelli oltre il seminterrato, con quindici luci per ogni piano, dallo stile razionale, come del resto postula la destinazione.
Con il 1939 s’incomicia a costruire le biciclette. Il piano rialzato accoglieva l’officina, il secondo il montaggio e l’amministrazione, al terzo – non ancora del tutto terminato – si confezionavano polverine per l’acqua di Vichy (idea del fratello Giovanni)!
L’edificio a più livelli non è l’ideale per una produzione industriale – quanto meno per i criteri odierni – e del resto molte erano le idee di Olmo. Di fatto mentre l’Italia entrava nella tragica guerra, egli acquistava nel 1943 uno stabilimento in Via Monte Nevoso e nel dopo guerra un opificio a Robbio Lomellina. La struttura di Via Monte Nevoso fu sollecitata da motivi contingenti: le sanzioni contro l’Italia e l’autarchia impedivano l’importazione del caucciù, indispensabile per i copertoni. Ecco allora la raccolta di vecchi copertoni con cui produrne di nuovi. I vecchi operai, ormai defunti, ricordavano il vecchio autocarro 18/BL a carbonella che faceva “la spola fra Celle e Milano alla caccia del materiale di recupero, vecchi copertoni e tutto quanto potesse contenere, in qualche misura o percentuale una materia preziosissima per quei tempi: il caucciù”[68]. E ricordavano altresì la Balilla furgonata, primo mezzo acquistato dall’azienda[69]. La struttura di Robbio Lomellina produrrà sempre gomma e poliuretano, come preciseremo fra poco.
Attento al presente storico e all’andamento dei mercati Gepin aveva compreso che la produzione delle biciclette non bastava. Essa procedeva bene, con richieste anche dall’estero, fra cui dall’Argentina[70]. Ma chi era avvezzo alle corse era sovente insoddisfatto di sé: per questo aveva vinto molte volte sulla strada e sulle piste, per questo migliorava la sua strategia industriale e diversificava il prodotto.”Ha sempre saputo anticipare i tempi”, soleva dire il fratello Michele, fra i suoi più stretti collaboratori. La ‘fabbrica’ cellasca era condotta dal fratello Michele, coadiuvato da altri parenti.
Con gli anni dell’incipiente boom economico – insulsa espressione, quasi che il progresso economico provenisse dal caso e non invece dal sudore, dalla fatica, dalla capacità imprenditoriale degli italiani dalla buona volontà dei lavoratori – Olmo pensò di motorizzare la bicicletta, producendo il bici–motore: “è un piccolo motore a miscela che si applica sulla parte bassa del telaio e che, attraverso un rullo a pressione, trasmette il movimento alla ruota posteriore”[71]. L’idea fu suggerita dall’ingegnere Castellini della ditta Olivetti che propose un motore a scoppio a rullo alimentato nafta, mentre l’ingegnere Calderini della ditta Garelli proponeva un motore a rullo alimentato a miscela.
Seguirono accessori per veicoli, suole per calzature da montagna (Ariston da montagna), cinghie trapezoidali, pneumatici per automobili, camere d’aria, ebanite microcellulare, materiale isolante e via enumerando. Prodotti rilevanti, benché di modesta visibilità nell’immaginario collettivo. Per qualche anno la fabbrica Olmo entrò nel settore degli elettrodomestici producendo lavatrici per biancheria, congelatori per confezionare il gelato domestico (minigel), frigoriferi e simili manufatti, piazzati anche sul mercato estero.
Anche il settore ciclistico si evolveva coi tempi. Le biciclette, confezionate e montate sempre a Celle, con maestranze per lo più cellasche[72], conoscono una varietà ed una qualità per l’innanzi sconosciuta, sia per i corridori professionisti, sia per i semplici amatori o fruitori del mezzo a due ruote: lo richiedono la clientela sempre più esigente ed il mercato stesso. L’eccellente livello qualitativo rappresenta una carta vincente della produzione ciclistica della Olmo. Non senza novità: rammento le biciclette pieghevoli diffuse soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, bruttine d’aspetto, quanto pratiche perché contenute nel bagagliaio d’una automobile utilitaria o sul portapacchi di una modesta 500. Un poco successive le prestigiose mountain bike nei variegati modelli Explorer, Pioneer, Tuareg (il non plus ultra per i professionisti più esigenti) che frenarono l’importazione americana e nipponica, e perfino le bici da camera, adoperate come allenamento domestico.
Torniamo alle gomme, la produzione più cospicua dell’azienda. Con gli anni Sessanta e Settanta veniva progressivamente superata la gomma spugna (prodotta dalla Pirelli ad esempio, e da molti altre ditte) e sostituita dal poliuretano[73]. A tale scopo si ristrutturano gli stabilimenti di Robbio Lomellina che diventa sede della “Toscana Gomma spa” e quello, amplissimo, costruito per ultimo a Comun Nuovo, nel bergamasco, destinandoli all’esclusiva produzione del poliuretano espanso. “Nella produzione dei poliuretani, plasmati secondo le più disparate fogge e resistenze in dipendenza delle applicazioni richieste, c’è ancora il fascino della materia che si confà alle volontà dell’uomo“[74]. Grazie agli studi e all’esperienza oggi il poliuretano risulta di uso quanto mai polivalente, adattandosi alle più diverse esigenze e mantenendo nel contempo l’elasticità, l’indeformabilità ed altre caratteristiche essenziali[75].
GEPIN INTIMO – Campione del ciclismo ed industriale affermato Gepin. Ma gioverà accennarne qualche tratto intimo. Anzitutto l’incrollabile amore per la famiglia: “Lasciami andare, mamma, vi farò tutti ricchi!“, aveva esclamato per convincerla a lasciarlo seguire la passione ciclistica. E mantenne la parola. Chiamò tutti i fratelli nell’industria da lui fondata, affidando a ciascuno uno specifico settore, a seconda dell’indole e delle capacità lavorative. Franco e Michele restarono a Celle, Giovanni con la moglie Luisa raggiunsero Gepin a Milano. I fratelli per tanto lasciarono le precedenti attività, accennate in esordio di questo studio. Di più, li volle soci giacchè d’accordo con la consorte Dina decise di regalare ai tre fratelli ed alla sorella un gruppo consistente di azioni.
Se poi constatava intraprendenza nei famigliari, lungi dall’essere infastidito, favoriva codesto spirito di iniziativa, così che ciascuno potesse aprire una nuova strada. Per questo concesse alla cognata Luisa, moglie del fratello Giovanni abitante con lui nella palazzina padronale a tre piani di via Monte Nevoso, 13, una parte dello stabilimento per approntare una manifattura di bambole[76]. Dopo la morte di Franco Olmo, il figlio di lui Luigi si trasferì nella metropoli ambrosiana ed insieme con Sergio Ostermann (marito di Marisa Olmo) fu a fianco di Gepin, imparando a dirigere le aziende del Gruppo Olmo.
La figlia primogenita Anna ed il (secondo) marito Giorgio Segantini fissarono la loro residenza in Toscana, nella favolosa tenuta agricolo-turistica di Artimino, così da seguire dappresso un’importante società della famiglia. Rammento altresì l’appoggio fornito al giovane cognato Aldo Dapelo[77] nel fondare la fabbrica di cavi elettrici. Alla fine della secondo conflitto l’ufficiale Aldo, esacerbato da armi, dai morti e dalle tragiche vicende di quegli anni, si rifugiava in casa Olmo. La manifattura sorse in località Lorio e divenne in breve una società rilevante, per numero di addetti e per fatturato, con stabilimenti in Italia ed in Grecia, al Pireo. Essa conobbe amplissimo successo fino agli anni ‘80, quando fu chiusa per i mutamenti del mercato mondiale. Per decenni la “Fulgor” procedette alla grande, tanto che Gepin non di rado si presentava come socio della Fulgor, spa più che come fondatore della Olmo, spa!
Gepin aveva le sue idee e non era rinunciatario, ma possedeva la rara dote di superare le diversità dei caratteri. Sul lavoro non mancavano certo discussioni anche vivaci, ma esse non dovevano influire sulla vita familiare. Si è accennato quanto gli Olmo si volessero bene, quanto fossero uniti. Fu bravo, oltre che fortunato, a circondarsi di collaboratori fidati, se non perfino amici che operavano come se fosse per sé: s’intende che le iniziative condotte in tali condizioni risultano serene per l’animo, proficue nei risultati, redditizie sul mercato.
Come marito lasciava l’andamento della casa e perfino delle finanze alla consorte, dandole carta libera: egli non disprezzava, né idolatrava il denaro, lo adoperava come strumento. Se da fantin consegnava quanto guadagnato alla madre, perché lo distribuisse alla famiglia, da sposato lo affidava alla consorte. Aveva trovato l’anima gemella per un colpo di fulmine in un dorato pomeriggio settembrino e a suo tempo celebrò le nozze d’oro sempre nella chiesa di San Michele. L’incontro dei futuri sposi ha del fiabesco. Il ventitreenne Gepin vide una diciassettenne Dina in un ballo a Castelletto d’Orba, località frequentata dalla borghesia genovese fino agli anni Sessanta del Novecento, anche per la presenza delle terme[78]. Ne rimase folgorato ed espresse il rammarico di non poter ballare con lei a causa di un braccio fasciato a seguito di un incidente di corsa. Esattamente un anno dopo, ventiquattrenne era l’uno diciottenne era l’altra, si recarono ambedue nella stessa località con la segreta speranza di rivedersi. E così fu. Anzi, minacciando il cielo plumbeo un acquazzone, Gepin si offrì ad accompagnare a casa con l’automobile Dina, il fratellino Aldo ed un’amica dei Dapelo. Appena fu visto in paese Gepin fu circondato da ammiratori, con stupore di Dina che ignorava – così si racconta in famiglia – essere il proprio ammiratore campione del ciclismo.
La guerra con la Francia infranse il progetto di Gepin di abitare in Parigi, dove aveva firmato lucrosi contratti di genere sportivo. La guerra rendeva anche difficoltosi i collegamenti e però i coniugi Olmo, già con la primogenita Anna, non volendo rimanere Dina separata dal marito, lasciarono Celle per risiedere in Milano dall’autunno del 1943. Quando chi poteva scappava dalla metropoli, essi fecero il contrario! La città era infatti martoriata dai bombardamenti anglo-americani ed accanto alla fabbrica di Via Monte Nevoso transitava la strada sferrata. Si aggiunga che l’appartamento preso a pigione era stato semidistrutto dalle bombe e privo di qualsivoglia arredo, non ostante il contratto. I coniugi dovettero usufruire di un albergo. Trascorsi alcuni mesi di silenzio, non essendo possibile comunicare, raggiunse Milano la coraggiosa mamma Maria Isabella e rimase esterrefatta della penosa condizione in cui vivevano. In seguito Gepin costruì una palazzina presso lo stabilimento di Via Monte Nevoso, ospitandovi anche il fratello Giovanni.
Al 1955 risale la costruzione della villa “La Lampara” in località Crovara, altura alle spalle del convento cellasco, divenuto amato luogo di riposo circondato dalla famiglia. Come padre poteva sembrare un poco severo, secondo i parametri dell’educazione (o diseducazione?) odierna. In realtà volle un’accurata formazione per le figlie, che conquistassero una competenza professionale, che conoscessero altri ambienti oltre ai propri. Com’è solito accadere, se con le prime due figlie Anna e Marisa mostrò qualche rigore, con la terzogenita Silvana si rivelò più morbido. Ci ha confidato l’interessata che non di rado per convincere il padre gli scriveva una lettera, dopo la cui lettura le consuete richieste di un’adolescente che si affaccia alla vita si dipanavano in modo sereno e senza nervosismo[79].
Il Nostro fu membro del Comitato d’amministrazione dell’Ospedale di Celle almeno negli anni 1952-59[80] e ricevette svariati riconoscimenti, accolti con un pizzico di ritrosia per la modestia dell’interessato. Il 10 febbraio 1989 il Panatlon club allestiva al “Motel Agip” in Savona un incontro con Olmo, con Roberto Fortunato (campione del mondo a squadre nel 1987) e con Mino De Rossi (campione del mondo inseguimento dilettanti nel 1951)[81].
Ottantenne Gepin Olmo morì in Milano il 5 marzo 1992 (dopo due anni di malattia) attorniato dai propri cari, ma le esequie si celebrarono a Celle nell’amata chiesa parrocchiale di S. Michele arcangelo dov’era stato battezzato, il pomeriggio del 7, partecipate con commozione da compaesani, da estimatori e dagli elogi della stampa[82]. Sebbene grande essa apparve piccola per accogliere gli intervenuti.
A breve distanza dalla sua morte il municipio di Celle ha fregiato lo stadio sportivo comunale in località Natta del nome di lui: l’inaugurazione avvenne il 24 giugno 1994.
Gianluigi Bruzzone
[1] Luigi Olmo, Celle, 1859 – 1949. Recita il suo epitaffio nella cappella di famiglia al camposanto cellasco: Scrisse egli stesso il suo epitaffio con la modestia della sua vita operosa onesta nutrita di fede in Dio, di ogni virtù ricolma, che fecero di lui il padre modello ai suoi figli.
[2] Isabella Maria Piccardo, Celle, 1874 – 1955. Recita il suo epitaffio nella cappella di famiglia al camposanto cellasco: Madre incomparabile il ricordo delle tue virtù religiose e familiari rimane perenne e vivida luce al nostro faticoso andare per le oscure vie della vita. Vivas in pace dilectissima. I figli.
[3] Potrà incuriosire conoscere i nomi dei nove titolari di stabilimenti balneari nella Celle primo-novecentesca: Cap. Francesco Arecco fu Giuseppe, Angelo Beiso di Francesco, dr Carlo Biestri fu Ireneo, Giuseppina Guagnino fu Gregorio, Luigi Guagnino di Daniele Napoleone, cap. Giacomo Mezzano fu G.B., Domenico Mordeglia fu Nicolò, Luigi Olmo, Benedetto Pescetto di Leonardo.
[4] Caterina Olmo sposava Leonardo Mordeglia il 13 ottobre 1929 e morì assai giovane, senza figli.
[5] Francesco Olmo, detto Franchin, Celle 7 febbraio 1905 – Genova, 11 ottobre 1966, sposava Giuseppina detta Muccin, dalla quale avrà due figli: Luigi ed Anna. Franco aveva una rappresentanza di bottoni in Genova e commerciava.
[6] Anna Olmo, detta Anita, Celle, 30 settembre 1906 – 11 gennaio 2009; sposò Leonardo Mordeglia vedovo della sorella Caterina, dalla quale avrà tre figli: Gerolamo detto Gigi, Gino e Rosa. Anita conduceva il negozio di tessuti e di merceria in Via Aicardi.
[7] Giovanni Olmo, Celle, 21 febbraio 1910 – 10 novembre 1970. La sposa Luisa, dalla quale non ebbe figli, aveva allestito una fabbrica di bambole a Milano e morì nell’incendio della stessa per salvare le lavoranti. Giovanni possedeva in società con Bernardo Piccardo il “Caffè Margherita”.
[8] Michele Olmo, detto Michelin, Celle, 29 novembre 1914 – Albisola, 2006; sposò Maria Paola Briano dalla quale ebbe il figlio Paolo.
[9] La “Classicissima” fu ideata da Eugenio Camillo Costamagna (Torino, 1864 – 1918), come del pari il Giro d’Italia e la fondazione della “Gazzetta dello sport”. È opportuno rammentarlo, se non altro per le frequenti imprecisioni in proposito negli scarsi cenni esistenti sul Costamagna. Rimando alla monografia: G. L. BRUZZONE, Eugenio Camillo Costamagna in “Studi monregalesi”, 2006, pp 75-86.
[10] Costante Girardengo (Novi Ligure, 1893 – Alessandria, 1978) detto il Campionissimo, attivo sopra tutto negli anni 1912-28, collezionò oltre cento successi, vinse due giri d’Italia, trenta vittorie di tappa etc.
[11] Carlo DELFINO, Giuseppe Oliveri, sprinter Italien. Le imprese, i racconti e gli avversari del ‘maestro’ di Olmo, Celle, Olmo, 2000, p 58.
[12] Giuseppe Oliveri (Campo Ligure, 1889 – Varazze, 1973) attivo dal 1907, subì una lesione al tendine della gamba destra nel giro d’Italia del 1920. Si ritirò dalla competizione nel 1928, dopo aver partecipato alla Sei giorni di Milano, per dedicarsi all’assistenza ed alla formazione dei campioni.
[13] C. DELFINO, Giuseppe Oliveri, cit., p 59.
[14] Bernardo Piccardo (1897 – 1976), figlio di Giovanni e di Anna Gambetta, ultimo di nove fratelli. La famiglia possedeva il servizio di pubblico trasporto con carrozza a cavalli nella tratta Varazze-Savona. In seguito coltivò una cava di pietre dove poi sorse l’Albergo Ligure, di loro proprietà e da loro gestito.
[15] Lorenzo Badino detto Caracco (1892-1965) tornato dalla grande guerra conseguì il diploma di parucchiere per signora ed aprì un negozio in Via Aicardi, oltre ad esercitare il mestiere di tappezziere in stoffa. Nel tempo libero suonava la chitarra ed il clarinetto nella banda musicale. È menzionato nella Commedia çellasca di Silvio Volta (IV, 4).
[16] A rigore, il ragazzo aveva già effettuato una gara ‘privata’. Eccone il racconto raccolto da Ruggero Radice: Viveva a Varazze “un appassionato che pedalava quotidianamente e con aria di sfida garantiva di essere imbattibile. Si chiamava Soldi, un bravo artigiano. Oliveri lo stuzzicò: ‘Sarà come dici, però a Celle c’è un ragazzino che può batterti’. Provoca oggi, provoca domani, andò a finire che l’artigiano azzardò una scommessa: una sfida a due, cinquanta lire da pagarsi dal perdente. Percorso Varazze-Voltri. Spettatori Girardengo e Oliveri. Corsa breve senza storia: Gepin staccò il bollente artigiano il quale, battuto, transitando sul traguardo dove Olivero se la godeva un mondo, continuò a pedalare e sparì. Le cinquanta lire le sborsò Girardengo”. RARO, La saggezza vien dall’amicizia in Olmo, Milano, tip. Ferrari, 1989, p 9 (Trattasi di volume illustrato celebrativo, di grande formato (cm 28×28) per il cinquantenario della Ditta Olmo).
[17] C. DELFINO, Diario di un Suiveur. Il ciclismo tra le due guerre nei ricordi di un appassionato, Varazze, DGS, 2003, pp 37-38.
[18] “L’immensa popolarità del ciclismo, non inferiore e in certe occasioni superiore a quella del calcio, nasceva dall’uso del mezzo comune a tutte le classi, veniva alimentata dai campioni emersi dal basso e stimolava” l’imitazione da parte dei giovani: Gian Franco VENE’, Mille lire al mese. Vita quotidiana della famiglia nell’Italia fascista, Milano, Mondadori, 1990, p 194.
[19] Michelino OLMO, Mio fratello Gepin. L’avventura sportiva di Giuseppe Olmo nei ricordi del fratello Michele. A cura di C. Delfino, Genova, NEG, 2004; III ediz. (la I ediz. uscì nel 1997), p 98.
[20] Attilio Pavesi (Caorso, 1910 – Buenos Aires, 2011) ciclista su strada e su pista, campione olimpionico nel 1932.
[21] Guglielo Segato (Padova, 1906 – Motta di Livenza, 1979) ciclista su strada, professionista nel biennio 1932-33, campione olimpionico nel 1932.
[22] Olmo si laurea tra i campioni vincendo in volata superbamente la Pisa-Firenze dopo aver brillato in salita in “La Gazzetta dello sport”. 11 maggio 1933 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 108-109.
[23] Alfredo Binda (Cittiglio, 1902 – 86) ciclista su strada e su pista, professionista negli anni 1922-36, vinse cinque giri d’Italia, due Milano-Sanremo, quattro campionati nazionali su strada etc. Nel 1930 fu pagato dagli organizzatori perché non partecipasse al giro d’Italia, essendo troppo bravo!
[24] Learco Guerra (S. Nicolò Po, 1902 – Milano, 1963) ciclista su strada e su pista, dirigente sportivo, professionista negli anni 1928-44, campione mondiale nel 1933, vincitore di decine e decine di gare.
[25] La prima prodezza di un giovane atleta ligure. Giuseppe Olmo vince la quarta tappa del giro d’Italia battendo in un’emozionante volata il campione del mondo Alfredo Binda in “Il Secolo XIX”, 11 maggio 1933 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 110-113.
[26] Giuseppe Olmo, il cadetto, vince brillantemente la velocissima Riccione-Bologna in “La Gazzetta dello sport”, 22 maggio 1933 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 112-113.
[27] Giuseppe AMBROSINI, Verwaecke vince la tappa e la maglia rosa passa ad Olmo in “La Stampa”, 30 maggio 1934 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 116-119.
[28] Felice SCANDONE, Olmo vince la tappa Firenze-Bologna in “Gazzetta del popolo”, 5 giugno 1934 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 119-123.
[29] Emilio COLOMBO, Olmo, una freccia, vince irresistibilmente a Bassano in “La Gazzetta dello sport”, 9-10 giugno 1934 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 123-127.
[30] Giuseppe Martano (Savona, 1910 – Torino, 1994) ciclista su strada, professionista negli anni 1930-48, due volte vincitore del mondo da dilettante.
[31] F. SCANDONE, Learco Guerra acclamato triondatore a Milano. Camusso secondo in classifica e Olmo primo nell’ultima tappa in “Gazzetta del popolo”, 11 giugno 1934 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., p 127.
[32] Raro [= Ruggero Radice], Olmo ha vinto la più bella corsa di Guerra in “Guerin sportivo”, 20 marzo 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 128-130.
[33] Vittorio VARALE, Discussa vittoria di Guerra su Olmo al traguardo di Rovigo, 21 maggio 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 131-132.
[34] Il premio speciale al merito assegnato a Giuseppe Olmo dai dirigenti della S.A, San Pellegrino in “La Gazzetta dello sport”, 23 maggio 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., p 136.
[35] Il Direttore sportivo e portavoce della Società Bianchi cui apparteneva Olmo.
[36] Giuseppe Olmo percorre la tappa a cronometro Cesenatico-Riccione alla spettacolare media di km 43.047 conquistando la vittoria di tappa e la maglia rosa in “La Gazzetta dello sport”, 23 maggio 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 134-136.
[37] E. COLOMBO, Giuseppe Olmo coraggioso, energico e tenace, ritorna alla vittoria sul traguardo di Montecatini in “La Gazzetta dello sport”, 3 giugno 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 137-138.
[38] E. COLOMBO, Giuseppe Olmo ancora brillante vincitore nella Genova-Cuneo in “La Gazzetta dello sport”, 7 giugno 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 138-141.
[39] E. COLOMBO, Giuseppe Olmo prevale nuovamente in volata al traguardo di Asti sugli avversari più agguerriti in “La Gazzetta dello sport”, 8-9 giugno 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 141-144.
[40] Il Routier, Il campione di Celle è giunto a Milano per un prodigio di coraggio e volontà in “Il Lavoro”, 11 giugno 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 144-148.
[41] Poiché il primato era detenuto da Maurice Richard, conquistato il 29 agosto 1933, la stampa sportiva francese parlò a più riprese di Olmo. A titolo d’esempio cito: “Le miroir des sports”, 6 novembre 1935.
[42] E. COLOMBO, Giuseppe Olmo demolisce con km 45.090 il massimo mondiale dell’ora senza allenatori in “La Gazzetta dello sport”, 1 novembre 1935 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 150-153.
[43] E. COLOMBO, Olmo purosangue dei ciclismo nazionale trionfa clamorosamente nella tappa in salita del Terminillo in “La Gazzetta dello sport”, 30-31 maggio 1936 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 161-165.
[44] Ibidem.
[45] Cfr. E. COLOMBO, In condizioni scintillanti Giuseppe Olmo vince a Firenze la più lunga tappa del giro in “La Gazzetta della domenica”, 31 maggio 1936 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 169- 172.
[46] Scrisse enfaticamente il solito giornalista: “Questa mattina ho assistito ad una delle più interessanti e significative gare che la memoria ricordi. La sveglia era suonata su un’alba luminosa e tutta ricca di promesse pittoresche. Abbiamo invece valicato il Pian delle Fugazze in uno scenario tutt’affatto invernale”: La classe di Olmo e il valore atletico di Bartali trionfano al traguardo di Riva del Garda e del Vittoriale in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 172-176.
[47] Gino Bartali (Ponte a Ema, 1914 – Firenze, 2000) fra i più celebri campioni del ciclismo.
[48] Severino Canavesi (Gorla Maggiore, 1911 – 90) ciclista su strada e cross, professionista negli anni 1931-48, vincitore di varie gare.
[49] Edoardo Molinar (Rocca Canavese, 1907 – 94) ciclista su strada, professionista negli anni 1931-39.
[50] Ibidem.
[51] Giuseppe Olmo conquista la più bella vittoria della sua carriera in una dannata Milano-Sanremo combattuta al ritmo indiavolato dei trentanove all’ora in “Gazzetta della domenica”, 20 marzo 1938 = in M. OLMO, Mio fratello, cit., pp 189-184.
[52] Pierino Favalli (Zanengo, 1914 – Cremona, 1986) ciclista su strada, professinoista negli anni 1936-46, vinse la Milano-Sanremo del 1941.
[53] Alfredo Bovet (Cully, 1909 – Renens, 1993) ciclista su strada e su pista, professionista negli anni 1930-46, vinse la Milano-Sanremo del 1932 ed altre gare.
[54] Giuseppe Olmo conquista, ibidem.
[55] Gioverà rammentare che il tracciato della così detta Via Aurelia – meglio sarebbe chiamarla la Cornice o Via Nazionale – se corrisponde per lo più a quello odierno, non era di sicuro confortevole come oggi. Con gli anni Trenta peraltro si erano effettuati molteplici interventi e rettifiche, interessanti anche Celle e Savona.
[56] Qualche notizia su di essa in: D. MARCHESINI, L’Italia del Giro d’Italia, Bologna, 1966.
[57] M. OLMO, Mio fratello, cit., p 48.
[58] Gino GUASTAVINO, Dieci portacenere a forma di gatto. Appunti di una vita, Saluzzo,Gazzetta di Saluzzo, 2009, p 50.
[59] Silvio RAVERA, Che hobby ragazzi!, Caneva (Pordedone), E.S.C. Pedale tricolore, 1966, pp 10-11.
[60] Ibidem, pp 59-60.
[61] G.L. BRUZZONE, Personaggi di Celle, Genova, Brigati, 2013, III, pp 253-274.
[62] L’evento dimostra l’attaccamento a Celle dello sposo, giacché di solito il rito nuziale si celebra nella parrocchia della sposa.
[63] Dina Maria Dapelo (Genova, 1917 – Milano, 2015) figlia di Amerigo ed Amelia.
[64] Anna Olmo nel 1960 ha sposato Gian Domenico Spotorno (1934-2005), col quale ha avuto i figli Francesco (questi al proprio cognome ha aggiunto il cognome Olmo) ed Isabella; in seguito ha sposato Giorgio Segantini.
[65] Marisa Olmo nel 1969 ha sposato Sergio Ostermann, col quale ha avuto i figli Davide (questi al proprio cognome ha aggiunto il cognome Olmo) ed Alessia.
[66] Silvana Olmo nel 1971 ha sposato Sergio Floridi e nel 1980 Walter Pascale, col quale ha avuto le figlie Annabella e Francesca.
[67] Le parole, ricordate con commozione dal fratello Michelino, sono riportate da R. RADICE, La saggezza, cit., p 9.
[68] Olmo, cit., p 36.
[69] Gepin acquistava anche una Bianchi S/9 per sé e per la famiglia. Potrà incuriosire, se non interessare, l’elenco delle altre sette automobili possedute a Celle verso il 1945: Balilla di Eugenio Spotorno detto Americano; Balilla di Lorenzo Testa detto Americano; Lancia Augusta dell’impresario Piazza; la Ceirano di Gaetano Del Ghiare; Bianchi S/4 dei fratelli Rebagliati detti Breuxi; la Lancia Artena di Bartolomeo Grasso detto Talandier; la topolina della Dott. Bruna Vandelli.
[70] Le biciclette Olmo comparvero, fra l’altro, insieme con uno stuolo di bionde, nella pellicola “Accidenti alla guerra”, diretta da G.C. Simonelli e prodotta da Alberto Attili.
[71] Ivo PASTORINO, Geppin Olmo, mito sportivo e realtà industriale. Dal record dell’ora alla mountain bike in “Risorse”, V, 3-4, dicembre 1991, p 6.
[72] La ditta Olmo contribuì a diminuire l’emigrazione cellasca e tenne aperta la ‘fabbrica’ per non licenziare gli operai.
[73] Polimeri costituiti da unità monomeriche contenenti uretano, onde il termine adoperato. Scoperti nel 1937, entrarono in commercio negli anni dopo la seconda guerra, in Germania prodotti dalla Bayer. Ne esistono almeno quattro tipi, qui ci si riferisce al poliuretano espanso, ottenuto per reazione tra fosgene e ammine.
[74] Olmo, cit., p 64.
[75] Il processo lavorativo suggestiona un profano: le componenti miscelate allo stato liquido in enormi serbatoi, sono immesse all’aria tramite un ugello ed il liquido in pochi minuti si espande e si solidifica assumendo la forma richiesta, principalmente a parallelepipedi e a fogli.
[76] Le figlie ricordano ancora le visite quotidiane in questi laboratorii – così fascinosi per bambine o fanciulle – per vedere la coloritura delle bambole, le minuscole parrucche, le lavoranti intente a confezionare i vestitini nei più diversi abbigliamenti.
[77] Aldo Dapelo (Genova, 1921 – vivente nel 2015) figlio di Amerigo ed Amalia, unico fratello di Dina. Sposò Maria Luisa (+ 2015) dalla quale ha avuto tre figli: Aldo, Mauro, Vittorio. Fino a novant’anni ha lavorato in Grecia, oggi risede in una tenuta presso Perugia.
[78] Cfr. G. L. BRUZZONE, Un bozzetto su Castelletto d’Orba nel 1934 in “Urbs”, XXVII, 1, marzo 2014, pp 78-79.
[79] Testimonianza di Silvana Olmo. Essa fu per due anni segretaria del padre, poi anche del cugino Luigi, figlio di Franchin, scelto presidente dell’intero gruppo industriale Olmo. La Dott. Silvana oggi esercita la professione di psicologa in Milano. Le sono grato per le chiacchierate concessemi, come rammento con piacere le chiacchierate fruite con le sorelle Anna e Marisa.
[80] Archivio dell’Hospitale N.S. di Misericordia, Celle.
[81] Trattano di Gepin oltre a quanto citato in precedenza: A. MEZZADRI, Il fascino delle Olimpiadi, Forte ed., 1974, p 47; S. BATTENTE, Bicicletta e impresa economica in Il Giro d’Italia e la società italiana a cura di G. Silei, Manduria-Bari-Roma, 2010, pp 101-124; Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani, 2013, LXXIX, pp 284-286 (‘voce’ di Stefano Pivato).
[82] Menziono soltanto: E’ morto Gepin Olmo, asso del pedale anni ’30 in “Avvenire”, 7 marzo 1992; I. PASTORINO, Se n’è andato un mito del ciclismo in “La Stampa”, 7 marzo 1992; Gian Paolo ORMEZZANO, Eroe zenza fronzoli ibidem; G.P.O, E’ morto Gepin Olmo, bestia nera di Bartali ibidem.