Prendo lo spunto da uno dei tanti articoli sulla droga che appaiono sulla stampa. In questo caso un’equilibratissima cronaca di un tentativo, puntualmente contestato da genitori e “autorità”, di fronteggiare la droga mediante “istruzioni per la riduzione del danno”. Passi per i genitori, molti dei quali sono disperati e possono trovarsi in situazioni di scarsa obiettività, ma le nostre “autorità” quando trattano questo importante argomento non riesco a capire perché non distinguono (come invece fanno personaggi del calibro dell’ex ministro prof. Veronesi) fra droghe pesanti e leggere.
A me –per venire al dunque- è successo che nei primi anni ’70 mi ero accorto che fra i coetanei frequentati dalle mie due figlie, di 14 e 15 anni, si “fumava”.
Prima di allarmarmi e intervenire volli documentarmi.
Fu facile perché mi trovai per le mani “la Domenica del Corriere” (allora c’era ancora) che, nel paginone centrale, trattava proprio l’argomento droga e ne esponeva la classifica, più o meno tuttora valida.
-Le droghe leggere: nicotina, alcool, caffeina, cannabis.
-Le droghe medie, come la coca e simili
-Le droghe pesanti come l’oppio, l’eroina e simili.
Fra le caratteristiche negative delle droghe leggere (parlo solo di queste, perché le altre non le conosco e non mi sono mai interessate) c’erano: il pericolo di cancro ai polmoni per la nicotina, di danni al fegato e al cervello per l’alcool, di qualche problema al fegato per la caffeina, la possibile “dipendenza” per tuttettre.
La cannabis era, al momento, fuori.
Seguiva la descrizione degli effetti psicologici di ciascuna di esse .
Allarme cessato: avevo la documentazione, relativamente rassicurante, della “bibbia” della borghesia, alla quale ritenevo di appartenere, tanto da poter tranquillamente sperimentare e controllare gli effetti psicologici della marijuana (che io conoscevo solo per il suggestivo ricordo di qualche romanzo di Liala, ambientato in Oriente, letto in gioventù sui libri della biblioteca di mia nonna).
Venni facilmente in possesso di quattro semi. Li seminai (ho sempre avuto un orto a disposizione), l'”erba” entrò in casa e qui successe l’imprevisto: a me, fumata con moderazione, dava gradevoli e stimolanti sensazioni intellettuali e soprattutto mi risolveva l’annoso problema dell’insonnia. Le mie figlie, invece, smisero di fumare: se un borghese a tutto tondo come papà fumava tranquillamente spariva il gusto (eravamo in pieno clima sessantottino) della trasgressione. Forse per loro rimaneva l’effetto, più o meno sconvolgente, che questa droga può effettivamente avere su personalità immmature. Il problema, non c’è dubbio, esiste. Per ragioni ben note agli esperti, questa droga fa star meglio chi sta bene, fa star peggio chi sta male, tende a esaltare gli istinti e le caratteristiche personali, mette in angosciosa evidenza le insicurezze.
Proprio a questo proposito, sempre sul “Corriere della Sera“,dopo qualche tempo, comparve uno scritto di Alberoni, nella sua longeva rubrica sulla prima pagina del Corriere, dove affermava che sarebbe stato necessario, semmai, “insegnare”, più che proibire, ai giovani l’uso di questa droga. Sulle cronache mondane del tempo, poi, si leggeva che intellettuali e manager partivano per l’India (era di moda e sapevano già dove andare) stressati e frustrati e ne tornavano trasformati, leggeri, sicuri di se.
Per farla breve: io ho continuato a fumare fino a età avanzata, smettendo ogni tanto (perché dopo una quindicina di giorni gli effetti mi diventavano fastidiosi) e in situazioni di “prudenza sociale”, senza mai comprarne un grammo e senza mai sentire il bisogno di passare ad altre droghe.
Ormai, da tempo, non mi serve più.
Senza dover andare in India, l'”erba” (mai l’hascisc e da solo, prima di dormire) mi aveva aiutato (dico solo aiutato, perché la droga, in se, non insegna niente) a iniziare un lento processo per arrivare alla “conoscenza di me stesso” che è una condizione necessaria a raggiungere una tranquillizzante capacità di formarsi le opinioni tenendo chiaramente distinto ciò che dipende dall’intimo della propria natura da quello che attiene al “sociale”, (nei limiti più generali del termine). Per esempio, le ragioni dell’origine e dell’evoluzione dei tabù (che era stato il primo argomento messo a punto); nonché su politica, fede, religione, illuminismo, clericalismo (filosofia della)scienza, anima, rapporti sociali e via dicendo, compresa la morte, che ormai è vicina. Mi ha anche aiutato a ridurre al minimo due insopprimibili caratteristiche umane: la faziosità e l’aggressività ( che la casta della politica sfacciatamente usa – in tutte le loro derivazioni – per poter manovrare voti e consensi tralasciando argomenti concreti).
Ho poi fatto una scoperta che mi ha messo in pace con il bisogno di sentirmi in regola con la società cui appartengo: relegato in fondo al Catechismo della Chiesa Cattolica c’è l’articolo 1800: “L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza”.
Ovviamente me ne guardo bene di trarne conclusioni di carattere generale e tanto meno legislativo. E’ solo, per quello che può valere, una testimonianza personale
valfrido.g@libero.it