Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Il magistrato: “Amnistia per gravi reati. Praticata ma non dichiarata. Così è (se vi pare)”. Un silenzio generalizzato. Il furto aggravato (e non solo) punibile solo a querela di parte. Beffa per le vittime


Una storia ignota ai più, avvolta dal silenzio dei politici che contano, sfuggita o volutamente ignorata dai mezzi d’informazione che fanno opinione, mai raccontata nei talk show che vanno per la maggiore.

di Filippo Maffeo

Una piccola premessa.

Nel Codice Penale, in linea di massima, quanto alla procedibilità, i delitti sono divisi in due grandi categorie (è vero, ci sono anche i reati procedibili su istanza o richiesta, ma non è la sede per approfondire): la prima comprende quelli procedibili d’ufficio e la seconda quelli a querela di parte. Nella prima, si dice, rientrano i reati di maggiore gravità ed allarme sociale. Nella seconda quelli di minor rilievo, escluse poche eccezioni, per i quali la punibilità viene dallo Stato rimessa all’iniziativa del privato, o, più esattamente, della persona offesa.

Per chiarezza e completezza espositiva sembra opportuna una precisazione: la punibilità d’ufficio non richiede, necessariamente, la denuncia della parte offesa e neppure di terzi; per procedere è sufficiente che un agente o ufficiale di P.G. abbia avuto, comunque, notizia del fatto-reato, a prescindere da qualsiasi iniziativa del privato, parte offesa o terzo che sia. Quando lo Stato viene a conoscenza del reato, procede comunque, anche senza la denuncia della parte offesa o di un terzo (anche se, poi, di fatto, la denuncia è lo strumento principale d’ informazione delle forze dell’ordine). In relazione a reati di minor valenza penale o che attengono eminentemente alla sfera privata, individuale, della parte offesa, (si pensi, ad es. alla violenza sessuale) lo Stato rimane fermo, in attesa, entro un termine perentorio, dell’input punitivo proveniente dalla vittima, vale a dire la querela della persona offesa.   Solo il titolare dell’interesse tutelato dalla norma penale può richiedere il processo penale contro l’autore del crimine. In altri termini, lo Stato non può fare nulla, a livello penale, se la persona offesa (o il legale rappresentante) non sporge querela.

Nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi decenni, l’area dei reati procedibili a querela è stata dal legislatore progressivamente ampliata, nell’ambito di iniziative legislative con finalità deflattive; la più ampia procedibilità a querela, unita alla depenalizzazione, avrebbe dovuto, nelle intenzioni del legislatore, ridurre il carico di lavoro dei Tribunali, per garantire un miglior e più rapido servizio.

Fatta, per chiarezza espositiva, questa premessa, osserviamo che oggi, tra le preoccupazioni principale dei cittadini e secondo statistiche consolidate, compare ai primi posti quella per la cosiddetta “piccola criminalità”.

L’opinione pubblica è inquieta, raccontano le statistiche, per la microcriminalità legata ai reati cd. predatori. Reati che, quotidianamente, incidono sulla vita di ciascuno di noi, sulla nostra tranquillità e sui nostri comportamenti; quei reati li abbiamo subiti o visti da vicino  e quotidianamente cerchiamo di prevenirli ed evitarli, come possiamo (cautele di vario genere, apposizione di serrature di sicurezza, sofisticati impianti antifurto, telecamere di sorveglianza etc.; i cani di piccola taglia, da animali di compagnia che erano, sono diventati anche e soprattutto, strumenti viventi di vigilanza, perché abbaiano quando qualcuno si avvicina all’uscio di casa; gli zaini solitamente, portati sulle spalle, ora, specie negli aeroporti e nelle stazioni,  vengono tenuti sull’addome, davanti, ben a vista.). L’opinione pubblica invoca, una maggior tutela ed una più attiva presenza delle forze dell’ordine e si diffondono qui e là, anche iniziative estemporanee, fai da te, di vario genere contro, ad esempio, il borseggio, che la tv ed i giornali hanno abbondantemente pubblicizzato.

Tra i delitti più temuti spiccano il furto in abitazione, lo “scippo”, il borseggio, il furto di o su cose esposte per consuetudine o necessità alla pubblica fede (la macchina parcheggiata in una strada pubblica), il furto di bagagli di viaggiatori, il furto con destrezza. Vale a dire I furti più gravi (ed anche più diffusi), che, per le circostanze e le modalità dell’azione, considerate aggravanti ad effetto speciale, sono  puniti con un aumento considerevole della pena (da tre a dieci anni), rispetto al furto semplice punito con pena ben più lieve (da sei mesi a tre anni). Il massimo del furto semplice coincide col minimo del furto aggravato.

L’ inquietudine è evidente. Il negoziante ed il barista temono ogni volta che tirano giù la serranda; ciascuno di noi, quando esce di casa, non è certo di trovare, al rientro, porte o finestre intatte; che dire, poi, dei furti notturni con gli abitanti immersi nel sonno o avvolti dal un sonno artificiale indotto col gas dagli abili ladri?

Ogni anno, puntuali, i telegiornali, nel periodo delle ferie di massa, sono prodighi di servizi e consigli sui sistemi per prevenire i furti.

In questo contesto che cosa il legislatore ha pensato bene di fare? Ha scaricato sul privato la responsabilità dell’iniziativa penale.

Troppi furti, troppe denunce, il carico di lavoro per lo Stato è diventato sempre più pesante. Basta, caro cittadino; d’ora in poi, se vuoi che noi si intervenga, devi farti carico della querela. Questa è la situazione oggettiva.

Ti hanno derubato? Non ti basta entrare in un posto di polizia e denunciare. No, devi fare querela e magari, quando vai in qualche caserma, ti invitano a consultare prima un avvocato e a fartela scrivere da lui. Devi prendere tu l’iniziativa ed avviare l’iter penale con la querela, un po’ come quando fai causa al debitore che non ha pagato alla scadenza e dai inizio alla causa civile.

Hanno derubato il tuo vicino e tu hai visto e magari anche fotografato il ladro con il sacco della refurtiva sulla schiena?  Non sei il derubato, non puoi far nulla. Puoi solo avvisare quel vicino (direttamente o, magari, per il tramite di un carabiniere o di un poliziotto, sempre che si acconci a farlo) sperando che abbia voglia (e coraggio) di fare querela. Se per paura, ignavia o motivi e-o convenienze di vario genere, anche sopravvenuti, non fa nulla, è tutto finito. Puoi solo sperare che il ladro, che rimane in circolazione e non scompare solo per l’assenza della querela, non scelga te come prossimo bersaglio; se poi, quel ladro venisse a conoscenza del tuo zelo informativo puoi sempre sperare che, per punirti, non decida di farti visita in casa, subito, per rubare o per “ammonirti”, perché non “ti sei fatto i fatti tuoi”. Se vuoi vedere quel ladro punito devi aspettare di essere tu la vittima delle sue azioni. Quel ladro in circolazione, libero di operare impunito, devi accettarlo impotente.

Non solo i furti. L’ambito della punibilità a querela è stato ampliato, con l’inserimento, oltre i furti aggravati,  di fattispecie che mai nessuno, prima, aveva, pubblicamente, proposto di “degradare”, subordinando la punizione all’azione del singolo.

Si va dalle lesioni personali dolose (oltre i venti giorni e sino a quaranta), alle lesioni personali stradali gravi ed anche gravissime, se causate da una violazione generica delle norme di circolazione stradale; dal sequestro di persona (ipotesi base) alla violenza privata (costringere qualcuno a fare, omettere o tollerare qualcosa; dalla minaccia, anche se commessa da un recidivo, alla violazione di domicilio, anche se commessa con violenza sulle cose.

La domanda che ci si deve porre, in generale, è questa: posto che la procedibiltà a querela abbia un effetto deflattivo, riducendo il numero dei processi, davvero il rimedio, il prezzo da pagare,  deve essere quello di porre il normale cittadino, vis a vis, contro il malfattore? Perché costringere il pacifico cittadino a diventare, con la querela, un combattente diretto contro il crimine, anche per reati che non hanno solo una valenza privata? E se il querelato propone un accordo e se, ad esempio il querelato è un noto ladro abituale o di professione, perché devo accettare un risarcimento con denaro che, verosimilmente, proviene dal crimine? E se, peggio, il querelato è un noto violento e mi dice che è in carcere solo perché perché ho fatto querela e che può uscire immediatamente se la tolgo, dipende solo da me, perché io devo fare l’eroe e negargli quanto propone, magari con lauto risarcimento mediante denaro di sospetta provenienza?

Il legislatore, abbiamo detto, si propone un effetto deflattivo; nessuno ha spiegato chiaramente come e perché la  cd “deprocedibiltà”, vale a dire l’ampliamento dei delitti procedibili a querela, debba produrlo. Forse perché la ragione è evidente ed è questa: si ritiene il pacifico cittadino, per non avere “rogne” e pur essendo rimasto vittima dei reati che abbiamo elencato, eviterà di chiedere giustizia se dovrà esporsi in prima persona con la querela.

Questa è la triste verità. Ma è giusto, è davvero necessario che lo Stato si faccia da parte e lasci sul campo di battaglia il singolo cittadino?

C’è di più. In passato, quando è stato allargato il campo dei reati procedibili ed in relazione ai reati in precedenza commessi (quando la querela non era richiesta) il legislatore ha sempre imposto al P.M. o al Giudice, l’obbligo di noticare alla parte offesa l’avviso che poteva sporgere querela entro tre mesi dalla ricezione dell’avviso.

Oggi, a leggere il testo vigente della riforma Cartabia, non è più così.

L’art. 85 della riforma, vigente, si limita a stabilire: Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”.

Manca, come si vede, ogni previsione dell’ obbligo di avvisare la parte offesa in relazione ai reati pregressi, per i quali è pendente un procedimento penale e per i quali, all’epoca del fatto, si doveva procedere d’ufficio.

La riforma è entrata in vigore il 30 dicembre 2022, dopo un breve slittamento della data originariamente prevista. Fatta salva l’ipotesi, più teorica che pratica, della parte offesa che non ha mai avuto notizia del reato commesso in suo danno, oggi, in tutti gli altri i casi (cioè praticamente sempre) la querela va (o, meglio, andava) proposta entro tre mesi dall’ entrata in vigore della riforma, vale a dire il 30 marzo 2023.

Già, ma quanti, in concreto, sapevano che, subito un reato procedibile d’ufficio prima del 30 novembre 2023 avevano tre mesi di tempo da questa data per fare querela e che, se non lo facevano tutto sarebbe finito a “tarallucci e vino” con la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di querela? Erano andati in caserma a denunciare il reato, erano stati sentiti dalla Polizia Giudiziaria come sommari informatori, erano stati escussi in dibattimento come testi. Potevano mai pensare che non dovessero fare altro? Ed invece no; dovevano stare attenti alle riforme penali ed ai termini pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Ignorantia legis non exusat, poche storie.

Il risultato pratico di tutto questo? E’, a dir poco, eclatante. Tutti i processi pendenti per i reati divenuti procedibili a querela, quelli dianzi elencati, finiscono in nulla, nel silenzio generale.

Un’amnistia generalizzata, di fatto. Amnistia di fatto ed estesa a tutti, senza esclusioni.

Prima dalle amnistie erano esclusi varie categorie di delinquenti (ad es. i delinquenti abituali, i delinquenti per professione, i delinquenti per tendenza, i recidivi reiterati ) Oggi no. L’amnistia di fatto premia tutti, senza distinzioni. Premia tutti, ma non quelli che hanno visto la conclusione rapida del loro processi. Due reati uguali, commessi lo stesso giorno. Per uno, magari perché l’imputato ha patteggiato, il processo si è concluso rapidamente e la sentenza è passata in giudicato prima della riforma. Per l’altro, alla data del 30 novembre 2022, il processo era ancora pendente, perché magari il difensore era riuscito a dilatare i tempi; per questo processo il premio della conclusione per improcedibilità.

Prima, ad ogni amnistia, si accompagnava un condono, per coinvolgere nel beneficio anche quelli che non potevano beneficiare dell’amnistia solo perché il loro processo era stato più veloce. Per loro la riduzione della pena non ancora scontata o in corso di espiazione. Oggi no, come si è detto.

Amnistia a tutti e, in più, nessun condono.

Ma le sorprese non finiscono qui. Il testo vigente dell’art. 85 è frutto di un intervento legislativo che risale a ottobre- novembre del 2023 (d. l. n. 162 del 31.10.2022 convertito senza modificazioni dalla L. n. 199 del 30-12-2022.

Il testo originario del decreto Cartabia era, testualmente, questo: Art. 85. Disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità

  1. Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
  2. Quando, per i reati di cui al comma 1, alla data di entrata in vigore del presente decreto è stata già esercitata l’azione penale, il giudice informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice effettua ogni utile ricerca anagrafica, ove necessaria. Prima dell’esercizio dell’azione penale, provvede il pubblico ministero.

(ndr: grassetto e sottolineatura sono del redattore).

Come si può agevolmente constatare un testo del tutto in linea con quelli delle precedenti riforme in materia di allargamento dei casi di reati perseguibili a querela. 

Il legislatore di ottobre-novembre 2023 ha depennato, per intero, il secondo comma. Perché mai? Si disse che la previsione dell’onere per gli uffici giudiziari di dare informazione alla persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela aveva creato particolare allarme per “il rilevante aggravio organizzativo”.

In buona sostanza l’amnistia di fatto -generalizzata è senza limiti soggettivifu disposta per alleggerire gli uffici giudiziari. Meglio l’impunità per migliaia di delinquenti, magari neppure meritevoli di un’ordinaria amnistia, che le notifiche alle parti offese. Notifiche che dovevano essere innumerevoli se costituivano un carico di lavoro insostenibile o quasi. Ma alle notifiche corrispondevano altrettanti processi ed imputati in primo, secondo e terzo grado o sottoposti ad indagini preliminari. Un bel falò, pur di non avvisare le parti offese. 

Così è (se vi pare).

Un’ultima notazione: il d. l. n. 162 del 31.10.2022, convertito senza modificazioni dalla L. n. 199 del 30-12- 2022, ha anche introdotto, con l’articolo 5, un nuovo reato; si trascrive il testo, a beneficio di tutti. Dopo l’articolo 633 del codice penale è inserito il seguente: “Art. 633-bis (Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica). – Chiunque organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall’invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l’incolumità pubblica a causa dell’inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto”. 

Vi dice qualcosa? Sì, ne avete avuto notizia, è la norma che punisce (da  tre a dieci anni di reclusione) i “rave party”.

Con una mano si castigano – con gran clamore- i partecipante ai rave e, contemporaneamente, con l’altra, -sotto traccia, in silenzio- si mette fine a decine di migliaia di procedimenti pendenti, anche in Cassazione e con doppia condanna nei primi due gradi, per i reati prima elencati.

Ricordate le roventi polemiche dell’epoca sui rave party? Ebbene, se un centesimo di quello che fu detto e scritto allora, contro o a favore della punizione dei rave party, fosse stato detto o scritto sulla silente amnistia di fatto, forse qualche parte offesa, informata non in via diretta ma a mezzo stampa o talk show, avrebbe alzato le antenne e, chissà, avrebbe anche ottenuto giustizia, presentando per tempo la querela.

Quanti sapevano ed hanno taciuto? Cosi è (se vi pare).

Filippo Maffeo

(magistrato)


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