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Riscoprire una Genova che non esiste più. Un racconto e un libro tra le mani di Bruno Marengo


Riscoprire una Genova che non esiste più, con un racconto e un libro fra le mani. Verso l’acqua profonda di Bruno Marengo.

di Ezio Marinoni

Ex Cantine Squarciafico

Genova è una città chiusa e introversa, che non si apre facilmente all’occhio dei turisti. Bisogna aggirarsi per i vicoli più segreti, per cercare di scoprirne l’anima, e non basta ancora. Genova vuole essere corteggiata e assaporata, goccia a goccia, come un’amante dai mille volti o un vino d’annata che deve scendere in corpo, prima che il suo carattere si liberi appieno, con tutti i sapori e i profumi che cela al primo contatto.

Ad esempio, tra via degli Orefici e vico delle Vigne (che sfioreremo in seguito) si può incontrare un luogo “dell’Amor Perfetto” (o dello Amor Perfetto) che, sul sottile filo tra storia e leggenda, tramanda l’amore proibito tra un Re di Francia e una nobildonna genovese… ma questa è un’altra storia, che non vi racconterò oggi!

Verso l’acqua profonda è una breve raccolta di racconti, scritta da Bruno Marengo e pubblicata dalle Edizioni Delfino Moro di Albenga, nel giugno del lontano anno 2000, con il prezzo ancora espresso in lire. Ricordiamo che il 9 marzo 2023 avevamo augurato buon compleanno a Bruno Marengo, con un resoconto della sua vita impegnata, fra politica e letteratura: https://trucioli.it/2023/03/09/bruno-marengo-i-suoi-80-anni-auguri-ultimo-scrittore-di-spotorno-una-vita-impegnata-raccontata-fra-amici-al-bar/

Nel racconto “Le emozioni del Signor Venanzio”, il protagonista (forse un alter ego dell’Autore…?) passeggia per le strade di Genova: il percorso gli suscita tanti ricordi e i suoi occhi leggono il passato di una città attraverso i sentimenti che rivive dentro di sé… Fino all’incontro con una donna, una compagna di studi, con la quale pranza in un locale costoso e rinomato.

Ripercorriamo, con gli occhi di oggi, quelle strade e la loro storia, con il racconto alla mano. «Giunto quasi al fondo di via Fieschi, gettò lo sguardo sui grandi palazzi grigi che avevano sostituito il quartiere di Via Madre di Dio.»

Genova Via Fieschi

Via Fieschi è costruita nel 1868, su terreni appartenenti alla omonima famiglia, per collegare Carignano a via Giulia, passando per piazza Ponticello. Primo riferimento ai luoghi è la mappa del 1846, che mostra la zona pochi anni prima dell’inizio della costruzione della citata via Fieschi, con il seminario arcivescovile e la chiesa dei Servi, nel “Bogo Lanaiuoli”, fra via dei Servi e via Madre di Dio. La via Fieschi taglierà diritta dalla chiesa di Carignano a piazza Ponticello lasciandosi a sinistra la chiesa dei Servi ed a destra il seminario. A quell’epoca, la zona verso Carignano non era edificata, per cui quella parte di via Fieschi viene costruita senza particolari interventi o demolizioni.

Al contrario, l’area vicina al seminario (a nord di salita San Leonardo) era edificata. Gli edifici sulla sinistra (Borgo dei Lanaiuoli) rimangono ancora intoccati, mentre quelli a destra (verso il seminario) vengono demoliti e ricostruiti. Nel 1934, negli sventramenti dell’era fascista per dare un volto “imperiale alle città, arriva un’altra demolizione selvaggia, che fa tabula rasa del quartiere di Ponticello, al suo posto sorgeranno i grattacieli. In quell’occasione via Fieschi veniva “prolungata” fino a via XX Settembre, con la coeva costruzione di nuovi palazzi per uffici. Dalle distruzioni si è salvato il Lavatoio del Barabino di via dei Servi, smontato e ricostruito nei Giardini Baltimora (ribattezzati “Giardini di plastica”).

Il signor Venanzio continua ad aggirarsi per le vie della città e pensa al tempo trascorso e alle modificazioni urbane intervenute. «“Hanno demolito anche la casa di Paganini. Al suo posto ora ci sono i giardini di plastica. E non gli hanno neppure concesso una degna sepoltura in Staglieno, tant’è che riposa nel cimitero di Parma. Che barbari!», pensò tra sé Venanzio.»

La casa Paganini nel 1910

La casa di Paganini non esiste più, si trovava in Passo di Gattamora 38, nel quartiere del Colle, vicino a via Madre di Dio. Niccolò Paganini vive in questa casa dalla nascita, il 27 ottobre 1782, fino all’età di 14 anni quando si trasferisce a Parma. Un’impresa edile si occupa, il 3 luglio 1969, della demolizione del fabbricato, lasciando solo la facciata fino al primo piano, con l’edicola seicentesca. Successivamente, la casa è stata demolita. Nel 1981, nella vicina piazza Sarzano, l’US Vecchia Genova farà erigere una targa come “colonna infame”, a ricordo di questa deturpazione storica ed urbana, con una lunga epigrafe, a perenne memoria di questa ingiusta distruzione:

“Male non fare

paura non avere”

1945 1981

«A vergogna dei viventi e a monito

dei venturi come usava ai tempi

della gloriosa Repubblica di Genova

dedichiamo questa

“colonna infame”

all’avidità degli speculatori

e alle colpevoli debolezze

dei reggitori della nostra città.

Con vandaliche distruzioni hanno

cancellato tesori di arte e di storia

eliminato interi gloriosi quartieri

del centro storico, marinaro ed artigiano.

Deturpando per sempre la fisionomia

della città fino all’inaudito gesto

di demolire la casa natale di Nicolò Paganini

essi hanno così disperso la popolazione

di questi quartieri con l’infame

risultato di sradicare le fiere tradizioni

che fecero Genova rispettata e potente”.

I genovesi dei

Quartieri della:

“Marina”

“Via Madre di Dio”

“Via del Colle”

“Portoria”

“Sarzano e Ravecca”

«“Non ci sarà mai più un secondo Paganini” Franz Liszt.»

Nel 1992 la lapide, che si trovava sulla facciata della casa di Paganini (con le parole dettate da A. G. Barrili: “Alta ventura sortita ad umile luogo in questa casa il giorno XXVII di ottobre dell’anno MDCCLXXXII nacque a decoro di Genova e delizia del mondo Nicolò Paganini nella divina arte dei suoni insuperato maestro”), è stata ricollocata in una parete dei “Giardini Baltimora” con accanto un’altra lapide con la seguente scritta: “Nel ricordo della demolizione dell’antico quartiere di Via Madre di Dio e dintorni in cui nacque Nicolò Paganini la cittadinanza qui ricolloca la lapide recuperata dalla demolizione della casa del celebre musicista – 23 Ottobre 1992”.

Il signor Venanzio continua la sua camminata malinconica fra le vie, in una Genova che ormai non c’è più, all’infuori dei suoi ricordi.

«Varcò Porta Soprana e si diresse verso Palazzo Ducale.»

La zona di Porta Soprana

Porta Soprana, venuto meno il suo ruolo difensivo e ampliata la cinta di mura, a partire dal XIV secolo viene letteralmente “inghiottita” dallo sviluppo edilizio, con la costruzione del quartiere di Ponticello. Sull’arco di entrata tra le due torri viene anche costruita una casa ad un piano (aumentata poi di un altro nel corso dell’Ottocento), nelle cui stanze abiterà il figlio di Sanson, il boia che ghigliottina Luigi XVI durante la Rivoluzione francese. Le due torri, sempre nell’Ottocento, sono adibite a carcere, così come avviene per il vicino convento di Sant’Andrea (la prigione “della Torre”), ed in essa trova posto anche l’abitazione dei carcerieri. Il monumento, ridotto a fine secolo ad una serie di edifici, una volta scomparsi i merli dai suoi spalti è restaurato a partire dal 1890 circa, ad opera dell’architetto Alfredo d’Andrade, direttore della Sovrintendenza di Belle Arti. Sempre a cura del laboratorio di d’Andrade, viene ripristinata la torre settentrionale e, con essa, l’arco che sovrasta l’entrata della porta, integrandovi le sculture dei capitelli (le aquile di stile romanico pisano). La torre meridionale rimane, invece, racchiusa nel perimetro di un edificio di civile abitazione sino agli Anni Trenta del Novecento quando, con la demolizione del quartiere di Ponticello, la struttura è restaurata sotto la direzione di Orlando Grosso.

«Dopo una sosta davanti a San Lorenzo, s’infilò in Vico Invrea.»

Piazza Invrea deve il nome alla famiglia di calzolai degli Invrea probabilmente originari di Ivrea. In principio la piazzetta era conosciuta come Squarciafichi dal nome della nobile e poliedrica omonima famiglia. Costoro infatti fornirono alla repubblica pirati, condottieri e dogi ma anche letterati e notabili. Curioso è il toponimo che invece il popolo aveva attribuito al luogo chiamandolo piazza delle “animette” per via di una bottega specializzata nella vendita di bottoni d’osso e di madreperla.

All’angolo con Vico Invrea una trascurata edicola del XVIII sec. che ospitava un tempo una Madonna col Bambino oggi scomparsa.

Voltino chiesa delle Vigne

«Gli cadde l’occhio sull’insegna del ristorante “Le cantine Squarciafico” situato, appunto, nelle cantine di un antico palazzo, con tanto di capitelli romani e soffitti affrescati.» Le Cantine Squarciafico hanno chiuso per sempre. Si trovavano in piazzetta dell’Amico, dove rispondevano al numero di telefono 010 247 0823.

Il sito del Touring Club Italiano segnalava: «In un palazzo del Cinquecento, ristrutturato, un locale che occupa le antiche cisterne a formare due sale con soffitti a volta e pavimenti in ardesia e marmo. Lo chef, all’opera fino alle 23, consiglia il misto di torte di verdura, i mandilli al pesto, la gustosa paella della casa, l’astice caramellato e il finale con la torta al cioccolato».

« (…) . Un gruppo di felini “spigrazzava” (1) sotto un rassicurante cartello con la scritta “cani al guinzaglio” e su un muro sbrecciato una scritta ancora più rassicurante per il vecchio cuore genoano del signor Venanzio: “Vola ancora vecchio Grifo -Genoa Club caruggi”. Si sentì come Robinson Crusoe nella sua isola: ma è questo il paradiso terrestre?”.»

Vico degli Indoratori. L’antico “Carrubeo” (una volta i caruggi a Genova si chiamavano così) fu sede delle attività artigiane degli “indoratori” legati alla corporazione degli “scutai”. Al civico n. 2 nacque santa Caterina da Genova il cui corpo incorrotto riposa dentro una bacheca di cristallo nella chiesa di S.S. Annunziata di Portoria. Vico degli Indoratori é ubicato nel sestiere di Soziglia, zona del centro storico genovese dove le botteghe artigiane esercitavano le loro arti, gli “orefici” nel Campus Fabrorum (oggi Campetto) e anche i “macellai” ed i “pollaioli” avevano qui le loro botteghe.

Piazza dello Amor Perfetto

«Continuando a passeggiare, giunse sino in Vico delle Mele.» Vico delle Mele. La storia di questo affascinante vicolo e della zona intorno a esso è tra le più caratteristiche e meno note di Genova. Un tempo denominato solamente “Mele”; forse per una possibile connessione con il casato del comune sopra Voltri, vico Mele è un vicolo stretto in cui trovano spazio alti palazzi dalla fondazione medievale. A far della zona un “ritrovo” per l’amore a pagamento fu l’aristocratico proprietario di un palazzo nobiliare che, trovandosi in difficoltà economica, aveva deciso di affittare alcuni piani della sua dimora in vico del Pomino dando, di fatto, via libera all’insediamento di una casa di tolleranza. In vico Mele si trovano alcuni dei palazzi più belli e caratteristici del periodo medievale come quello che si trova al civico 6: il palazzo della famiglia Grillo. A far costruire il palazzo fu Brancaleone, ambasciatore del papa e della corona di Spagna. All’interno ancora oggi è visibile una scala poggiata in marmo bianco, esempio magnifico dello stile gotico.

Vico delle Mele e la zona a poca distanza dalle Vigne, rimangono uno dei più affascinanti esempi di Medioevo genovese, troppo poco valutata nei percorsi storici che raccontano la città antica.

Ezio Marinoni

Note

1.”Spigrazzava” è un neologismo poetico marenghiano, che ci rende l’idea di un gatto che si stiracchia al sole, con tutta la sua indolenza, come in un meriggiare “pallido e assorto”.

 

 

 

 

 


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Ezio Marinoni

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