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Liguria e Basso Piemonte

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Solo ‘la misericordia’ può salvare la Sanità ligure. La privatizzazione è un processo antidemocratico


Si punta sul partenariato pubblico – privato anche per la gestione dell’ospedale Santa Maria di Misericordia di Albenga.

di Gianfranco Barcella

Riccardo Tomatis, il sindaco della città del Ponente Ligure, ha espresso le sue perplessità in merito, preso atto che si continua a procedere sulla strada della privatizzazione delle strutture sanitarie. “Fermo restando la contrarietà al privato, vedremo come si evolverà la situazione, tenendo conto che troppe promesse sono state fatte e pochi gli impegni rispettati. In questi anni, il mio impegno su queste tematiche ed in difesa del nostro ospedale è sempre stato molto forte. Insieme ai cittadini ed alle associazioni abbiamo portato avanti una battaglia per la sanità pubblica che continuerò a sostenere sempre. Nel pubblico infatti, ci sono grandi risorse umane che devono essere valorizzate e la sanità e il diritto alla salute, garantito costituzionalmente, deve essere e restare un servizio pubblico”.

Ha sostenuto ancora il sindaco: “Se alcuni risultati sono stati ottenuti, come la riapertura del punto di primo intervento, è stato solo grazie al fatto che con il con il comitato spontaneo <#senzaprontosoccorsosimuore> non abbiamo mai abbassato l’attenzione su queste tematiche>. Di fronte all’annuncio dell’apertura di un Punto di Primo Intervento, aperto in estate H24, il sindaco ha commentato: “Continueremo in questa direzione e pretendiamo che PPI sia aperto 24 al giorno, tutto l’anno. Peraltro si potrebbe rendere più operativo l’ospedale con risorse totalmente pubbliche, attraverso una riorganizzazione delle professionalità presenti in Asl e investendo su quello che di fatto è l’ospedale più nuovo e tecnologicamente avanzato della Liguria”.

Intanto è previsto l’intervento dei privati per migliorare il volto dell’ospedale di Albenga con un investimento  di 55 milioni di euro per i prossimi 18 anni. Decollerà al Santa Maria di Misericordia il progetto di partenariato, iniziato più di un anno fa, quando l’associazione temporanea di impresa, costituita tra Casa di Cura Villa Montallegro Spa di Genova e Casa di Cura Villa Esperia Spa di Godiasco (Pavia), aveva avanzato alla Regione una proposta una proposta che presto vedrà il servizio pubblico convivere con i privati tra le mura del Santa Maria di Misericordia. Per affidare il servizio dovrà essere bandita una gara d’appalto, ma la linea operativa è stata ormai tracciata. “In Giunta abbiamo preso atto del progetto di gestione in convenzione, il che non vuol dire privatizzare– ha precisato il presidente TotiL’ospedale resterà pubblico, a gestione privata, in convenzione con il sistema sanitario regionale, quindi gratuito per gli utenti. Albenga avrà le stesse regole di accesso del San Martino, ma questo piano gestionale consentirà la crescita dell’attività di quell’ospedale che avrà una forte vocazione per l’elezione, per lo smaltimento delle liste d’attesa ed il recupero delle fughe>.

Arriveranno investimenti privati per 48,2 milioni di euro, oltre a 6,7 milioni per apparecchiature di diagnostica per immagini e nuova tecnologia, un Punto di Primo Intervento attivo per 7 giorni, che da giugno a settembre passerà dalle 12 alle 24 ore, per rispondere al flusso turistico. Per le urgenze minori ci sarà un’area medica di accoglienza con percorsi di primo intervento.

Stiamo lavorando per estendere il servizio sulle 24 ore, tutto l’anno, ma dipende dagli organici che sono sempre la spina nel fianco dell’emergenza– ha chiarito l’Assessore alla Sanità Angelo Gratarola-. Certamente l’ospedale di Albenga sarà un ospedale di Comunità con all’interno anche una Casa di Comunità, secondo quanto previsto dal Pnrr. In questo quadro, l’ipotesi di un partenariato pubblico privato è un rafforzamento”.

Nella lista delle specialità in arrivo sono chirurgia generale, ortopedica, vascolare, bariatrica, plastica, oftalmica, urologia e otorino-laringoiatria, medicina riabilitativa, la diagnostica per immagine, dialisi, oltre a vari ambulatori specialistici. I posti letto saranno 108  (112 entro il 2031); 30 per l’ortopedia, 60 per il recupero e rieducazione funzionale,12 in chirurgia generale, 6 di rianimazione. Si prevede un organico di 209 unità di personale, che saranno 228 nel 2034 con una crescita di medici, infermieri e oss. Ma, prima di tutto, dovrà essere bandita una gara d’appalto. Campa cavallo che l’erba cresce! Mi viene da pensare che la politica come la scienza voglia le sue vittime per poter far progredire l’umanità. E ci sono anche preoccupazioni sul piano occupazionale.

I lavoratori della clinica San Michele, circa 80 complessivamente temono per le notizie di stampa apparse il 23 marzo scorso, relative  all’affidamento ai privati dell’ospedale di Albenga. Spiegano: “Abbiamo letto che in questo progetto 60 posti di riabilitazione  funzionale saranno assegnati ai nuovi gestori e temiamo che vengano sottratti  alla nostra Clinica che è presente sul territorio da 60 anni. Ci chiediamo perché nel nuovo ospedale dovrebbero essere creati dei doppioni ed essere forniti dei servizi che già sono garantiti sul territorio, anziché destinare le risorse ad attività quali un pronto soccorso aperto 24h/24h o altri settori totalmente mancanti”. Continua la denuncia del personale sanitario: “Temiamo che il futuro nostro e delle nostre famiglie possa diventare nuovamente incerto, risvegliando in noi spiacevoli ricordi di situazioni già vissute. Tutto questo ci scoraggia ancora di più, considerando il grande impegno e lavoro, che noi e l’Azienda continuiamo a fare, a favore dei cittadini liguri, anche se non ci viene adeguatamente riconosciuto dalle Autorità, né economicamente né moralmente. Ci chiediamo quali siano le logiche che muovono le scelte di avviare duplicati di attività che non potranno che essere concorrenti con la nostra, soprattutto considerando che verranno spesi soldi pubblici che dovrebbero essere prioritariamente destinati a servizi mancanti”. 

Ciò che ha messo a nudo la pandemia è stata l’incapacità della nostra sanità pubblica di reagire con tempi e modi congrui alle esigenze di tutti i pazienti. Sino a pochi mesi fa la nostra sanità era ospedalocentrica. Il COVID-19 ha posto in evidenza la mancanza di un’ assistenza sanitaria sul territorio. E continuiamo a perseverare negli errori con intendimenti diabolici. Questa considerazione era ben nota da tempo ai professionisti della salute. Intanto le famiglie ancora oggi si trovano a gestire  i propri cari affetti da patologie croniche. Stiamo perdendo il diritto costituzionale alla salute. La crisi del Servizio Sanitario Nazionale in atto è un problema molto grave, su cui è importante tenere accesi i riflettori. E la soluzione prospettata con la crescente privatizzazione del servizi è altrettanto preoccupante. Ci sono rischi non solo per la salute ma anche per la democrazia. Una profonda riforma è necessaria che corregga gli errori degli ultimi 40 anni. In un recente articolo pubblicato su Jama, a firma di Donald B. Berwick dal titolo significativo: Salve lucrum”  si rileva che la minaccia esistenziale dell’avidità sta minacciando anche il sistema sanitario. Se da un lato il profitto può svolgere un ruolo nel motivare l’innovazione e migliorare  le qualità delle cure, dall’altro in sanità, in sanità i comportamenti cleptocapitalistici che portano all’aumento dei prezzi, dei salari e del potere del mercato, finiscono poi  per danneggiare i pazienti, le loro famiglie le istituzioni ed i programmi governativi”

Che cosa si può fare per modificare questo processo che sembra inarrestabile e salvare il sistema sanitario pubblico, baluardo di democrazia? Punto di partenza resta l’articolo 32 della Costituzione secondo cui è la Repubblica a dover tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Un diritto fondamentale che tuttavia nello stato attuale delle cose è disatteso, facendo emergere come spiega il prof. Giuseppe Remuzzi, un problema innanzitutto culturale: si avalla  una società che fonda il benessere della popolazione sulla concorrenza e sul libero mercato dando così sempre più credito e più potere ad un sistema orientato alle prestazioni ed al profitto. In questo modo si finisce per rispondere più agli interessi degli azionisti che ai bisogni degli ammalati. “Stiamo  andando rapidamente verso il modello USA   – sostiene il celebre scienziato – e dobbiamo renderci conto  dell’importanza di un sistema di assistenza universale, da non dare per scontato, un sistema che eroghi gratuitamente tutte le prestazioni e non solo  quelle economicamente più remunerative, trascurando le altre. Qual è il problema di un sistema sanitario, basato sul privato? Che risponde alle esigenze degli azionisti più che a quelle dei malati. Un sistema pubblico lavora per ridurre le prestazioni, attraverso la prevenzione. Un sistema privato lavora per aumentarle e aumentare così i fatturati”.

Non per caso– ha ricordato ancora Remuzziormai si moltiplicano gli studi che mostrano come un sistema sanitario basato sugli enti privati, non è più sufficiente, ma al contrario lo è meno: tanto che un recente editoriale sul New England Journal of Medicine sostiene  che dopo l’esistenza del  Covid è ora di creare un servizio sanitario pubblico anche negli Stato Uniti.”

Chiara Cordelli che ha recentemente pubblicato il saggio:<Privatocrazia. Perché  privatizzare è un rischio per lo Stato Moderno> . Nel libro si utilizza il termine privatocrazia per indicare una modalità di gestire la cosa pubblica   con la quale non si riduce necessariamente la spesa  pubblica complessiva ma si ridistribuisce il potere politico all’interno di un sistema amministrativo chiedendo la collaborazione del privato ed i relativi sgravi fiscali a favore di quest’ultimo. Si denuncia ancora però che le promesse legate alle privatizzazioni, in molti casi non sono state mantenute: nonostante i pochi dati si può dire che i benefici di molte forme di esternalizzazione non superano i costi; la concorrenza, specialmente nel campo della sanità, è stata ostacolata dal formarsi di monopoli, necessari alle indispensabili economia di scala; la privatizzazione può inoltre limitare la spinta all’eccellenza, riservandola ai servizi più lucrativi, a scapito di quelli meno lucrativi, in primis la prevenzione.  E la sottovalutazione della prevenzione spinge il sistema  sanitario verso la non sostenibilità, perché le cure ed i costi correlati crescono. Ma c’è una domanda cruciale, forse ancora più fondamentale di quella sull’efficienza. La privatocrazia è compatibile è compatibile con uno stato democratico?

In realtà, è la risposta di Cordelli, privatocrazia e democrazia entrano necessariamente in conflitto. Perché ci possa essere legittimità democratica, infatti, l’efficienza non basta: le decisioni devono rispondere a determinate condizioni. Alla base ci deve essere l’autogoverno democratico, ovvero il controllo direttivo. Il potere di effettuare scelte deve essere autorizzato democraticamente, sulla base di considerazioni che mettono al centro l’interesse  pubblico. Se la privatizzazione è utilizzata come meccanismo sistematicamente principale per la programmazione ed erogazione dei servizi essenziali, sanitari e non solo, il sistema risulta incompatibile con i principi democratici. In primo luogo, si perde la accountability, il dovere di rispondere delle proprie scelte, di chi prende le decisioni. Maggiore  è la privatizzazione, inoltre, minore  è il controllo  delle istituzioni  pubbliche sull’esecuzione delle funzioni, decentralizzate e frammentate fino a sfuggire al controllo anche perché la spinta per tagliare la spesa pubblica ostacola la presenza di personale, addetto  al controllo ed alla supervisione.

Lo Stato  così si depotenzia e perde accesso anche alle informazioni, che sono passate in misura  sempre maggiore in mano ai privati. Inoltre a causa della privatocrazia si indebolisce l’attaccamento affettivo alle istituzioni, necessario alla vigilanza civica. I cittadini vedono con più difficoltà gli abusi; inoltre se sono sempre di più i privati che erogano prestazioni, i cittadini sono disincentivati a occuparsi della cosa pubblica , incluso l’andare a votare.
Intanto ci si affida al genio italico. A Codogno, paese del Lodigiano dove tre anni fa emerse il primo caso di Covid in Italia, un pensionato ha trovato il grimaldello per contestare i tempi delle liste d’attesa e costringere il sistema sanitario a fissare un altro appuntamento nei tempi stabiliti dal medico di base.  Si chiama Andrea Viani, ha 78, un passato da programmatore nell’Italtel e la passione per l’arte. Parla in punta di Diritto: “Con la riforma del titolo V della Costituzione, nel 2001 vennero introdotti i Livelli essenziali di assistenza, i Lea, che attuano proprio l’art32 della Carta Costituzionale”.

La lampadina gli si accende proprio con l’arrivo del Covid ed il peggioramento dei servizi sanitari, a partire dalle liste d’attesa. Così si mette a studiare il problema e scopre che i tempi d’attesa non sono altro che un’articolazione  del livello assistenziale dei Lea la cosiddetta salute del territorio. Il diritto di diagnosi in tempi congrui è decisivo per il malato ed il rispetto dei tempi prescritti dal medico di base è un diritto costituzionale inderogabile. Così sempre  nel 2020, insieme ad altri dà vita al Coordinamento lodigiano per il diritto alla salute che predispone le prime contestazioni individuali. Non si tratta solo di abusare della pazienza dei cittadini: “Ad una signora 80enne-dichiara- dopo essere stata operata al seno, era stata prescritta una mammografia ogni sei mesi,l’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) le ha programmata la prima a oltre un anno, addirittura fissando la visita  di controllo prima dell’esame”.

In altre parole-commenta ancora Viani- significa mettere a rischio la vita delle persone”.  L’intuizione fruttuosa di Viviani di procede con dei ricorsi agi sportelli <Lea -tempo di attesa>, che dal 2022 il Coordinamento lodigiano ha aperto presso la Camera del Lavoro della Cgil, nella sede delle Acli ed in quella della lista civica<Lodi Comune Solidale>. “Lo sportello- spiega Enrico Bosani del Coordinamento- analizza le inadempienze denunciate dal cittadino, predispone la vertenza individuale e invia le richieste alla direzione dell’Asst ed a quella dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Ad oggi ne abbiamo fatti una quarantina, tutti andati a buon fine e ormai si risolvono in tempi brevissimi, anche in giornata”.

Non c’è scampo! La Asst  è obbligata a rispettare i tempi di attesa prescritti, altrimenti viola la legge. La priorità è quella indicata dal medico nella ricetta con un codice, dai tre giorni delle prestazioni urgenti (U), ai 120 di quelle <programmabili> (P). Invece denuncia ancora Viani: “ci sono casi in cui la prescrizione è stata superata <di tre anni> di tempo”.

Ma se è sufficiente ricordare a chi di dovere quello che è un obbligo di legge ma l’opinione  del Coordinamento è il seguente: Il meccanismo è studiato perché la gente si rivolga al privato”. In Lombardia, (ed in Liguria n.d.r.) la riforma della sanità è stata tutta improntata alla <libertà di scelta> del cittadino, affinché possa  decidere se rivolgersi al pubblico o al privato. “Ma se i tempi del pubblico sono incompatibili con le esigenze di salute, andare altrove diventa una scelta obbligata, a tutto beneficio della sanità privata”.

Così racconta Bosani che aggiunge: “A una paziente oncologica allettata che doveva essere visitata a Pavia, quindi fuori dal territorio della Asst di Lodi, era stato detto di arrangiarsi, che avrebbe dovuto recarsi personalmente a Pavia per l’appuntamento. Invece si è messo in mezzo il Coordinamento che in quel caso si è rivolto al difensore civico regionale che ha scritto al direttore generale del Welfare lombardo, Giovanni Pavesi, spiegando che spetta alla Regione, attraverso l’Agenzia di Tutela per la Salute /Ats) e le Asst, fornire alternative qualora non risultino disponibilità. Di  più: se non è in grado di erogare la prestazione nei tempi stabiliti è obbligata a ricorrere ai servizi accreditati, a quelli in libera professione o a quelli dei privati, <al solo costo del ticket, se dovuto”.

Sarebbe bello che anche in Liguria si diffondessero questi comitati di tutela!
Ma c’è di più! Un’amica mi segnala inoltre un sistema sanitario che funziona alla perfezione a Firenze. E’ quello de <La Venerabile Arciconfraternita della Misericordia>. Eroga visite specialistiche a prezzi contenuti, fornite da medici di chiara fama che si sentono onorati di prestare la propria opera per <La Misericordia>. E non si devono patire attese estenuanti! Operare per la Misericordia è considerato prestigioso nel sentire comune dei sanitari che non  risparmiano il loro impegno per alleviare le sofferenze dei pazienti e visitano anche dall’oggi al domani malati  che provengono da fuori Toscana.

La Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze è una confraternita laica fondata a Firenze nel XIII secolo da San Pietro da Verona con lo scopo di operare verso i bisognosi gesti di evangelica misericordia. E’ oggi la più antica Confraternita per l’assistenza ai malati, e in generale la più antica istituzione privata di volontariato, esistente al mondo ancora attiva dalla sua fondazione, datata 1244, secondo i registri conservati nel suo archivio. I suoi membri laici, detti <fratelli> continuano ancora parte anche il servizio di trasporto infermi nella città. Sull’esempio della confraternita  fiorentina sono sorte numerose istituzioni analoghe in tutta Italia e all’estero.

Si può esportare questo modello di <sanità privata misericordiosa>, su larga scala, anche in Liguria, oltre l’ambito del soccorso stradale?

E all’ombra della Lanterna chi risponde della mala gestio dei soldi pubblici? Cito Sergio Rossetti di Azione: “La Regione Liguria spendendo 60 milioni di euro all’anno per la digitalizzazione della sanità, scopre che avrebbe potuto mandare un sms”.

Gianfranco Barcella

NOTA DI TRUCIOLI.IT- Un mare (ligure) di soldi per avere buona stampa: il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, spende ben 20 milioni di euro l’anno per comunicazione e pubblicità istituzionale. Una parte di questi soldi è impegnata per spot, pagine e iniziative che promuovono le bellezze regionali e il turismo. Ma una bella fetta è pericolosamente vicina […]

 


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G.F. Barcella

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