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Anpi di Vado e Savona, Circolo Italia-Cuba. La storia incredibile di Gino Doné. Partigiano in Italia e rivoluzionario cubano. E Fidel Castro lo chiamava ‘El …’


In occasione del 100°Anniversario della nascita di Gino Donè con la collaborazione di Anpi Vado Ligure, Anpi di Savona e Isrec,  il Circolo Italiacuba del Granma e di Savona organizzano l’esposizione-mostra fotografica (aperta fino al 2 febbraio) a lui dedicata. Venerdì 19 gennaio 2024 inaugurazione.

Una storia incredibile, quella di Gino Donè, morto nel 2008, a 84 anni. E poco conosciuta. Eppure, tra le fila della Resistenza contro i nazifascisti in Veneto e lo sbarco in terra cubana insieme agli altri 81 del Granma – la motonave divenuta iconica nella storia della Revolución – c’è tanto da raccontare su quello che Fidel chiamava “El italiano”. Una vita avventurosa, fatta di sacrifici, umiltà, lavoro. Ma anche di lotta e di viaggi, tra l’Europa e l’America Latina in particolare.

Dalla Resistenza alla Revolución- Nato a San Biagio di Callalta (Treviso) il 18 maggio 1924, Gino Donè crebbe in povertà. A tre anni si trasferì con la famiglia di braccianti nel Sandonatese, nord della provincia di Venezia. Dopo le scuole divenne militare. L’8 settembre 1943, data dell’armistizio, era a Pola, in Istria. Da lì tornò via mare a Venezia e si unì alla Resistenza con la Brigata partigiana Piave. Partecipò a diverse battaglie e quando arrivarono gli Alleati si unì alla missione Nelson, aiutando gli angloamericani a combattere e sconfiggere i nazifascisti in Veneto.

Nel 1946, finita la guerra, Donè venne premiato con un encomio solenne da parte del generale in capo britannico Harold Alexander. L’anno dopo fu tra i fondatori della sezione provinciale di Venezia dell’Anpi. Poi, complice la disoccupazione, decise di girare il mondo. Prima in Europa: Francia, Belgio, Germania, dove lavorò come minatore, cameriere, muratore. Poi in America: si imbarcò su una nave mercantile e raggiunse il Canada. Da lì si spostò a Cuba. Nella capitale, L’Avana, dove lavorò come carpentiere, e poi a Santa Clara e a Trinidad, dove sposò Norma Turino Guerra.

Fu lì, grazie alla conoscenza di Aleida March de la Torre – amica di sua moglie e futura seconda moglie di Che Guevara – che Gino Donè entrò in contatto con il movimento clandestino “26 luglio”, guidato da Fidel Castro. A quella data, nel 1953, era infatti legato l’assalto alla caserma Moncada a Santiago, nell’Oriente cubano. Un attacco fallito, ma che segnò l’inizio della rivoluzione dei barbudos. Erano gli anni in cui Fulgencio Batista, con l’appoggio degli Stati Uniti, instaurava una dittatura nell’isola caraibica.
Quando Fidel Castro, dopo l’arresto, l’amnistia e la fuga in Messico, venne a sapere che a Trinidad c’era un italiano che sapeva usare molto bene le armi e aveva combattuto durante la Liberazione in patria, lo fece mandare a chiamare in Messico (“Mandatemi l’italiano”). Donè, “bruciato” dai batistiani e costretto alla clandestinità, raggiunse i guerriglieri che preparavano una spedizione via mare, rendendosi utile nell’addestramento militare. Tra i suoi compagni, oltre a Fidel e Raúl Castro, c’erano Camilo Cienfuegos e l’argentino Ernesto Guevara, che alcuni già chiamavano Che.
Quando si trattò di imbarcarsi sul piccolo Granma, il 25 novembre 1956, Fidel volle che a bordo ci fosse anche Donè: 82 membri, tutti cubani tranne un messicano, un dominicano, un argentino (il Che) e “l’italiano”. Da Tuxpan, in Messico, i ribelli raggiunsero Cuba naufragando a Playa Las Coloradas. Nel caos, Gino Donè aiutò Che Guevara, in preda a un attacco d’asma. Non fu un successo: l’esercito li scoprì e aprì il fuoco tre giorni dopo ad Alegría del Pío, mettendo in fuga i guerriglieri.
Il resto è storia: dalle montagne della Sierra Maestra i ribelli si riorganizzarono, conquistando Cuba e mettendo in fuga Batista col sostegno della popolazione, fino al trionfo della Rivoluzione, il 1° gennaio 1959. Ma Gino Donè non partecipò all’avanzata trionfale: di lui si persero le tracce dalla fuga sulla Sierra Maestra. Si dice sia tornato clandestinamente a Trinidad, senza più combattere ma senza abbandonare il sostegno alla causa rivoluzionaria. Un mistero i decenni successivi, di cui si sa che Donè visse in Florida, risposandosi dopo la morte della prima moglie. Vari i tentativi di tornare a Cuba, ma senza successo per motivi burocratici.
El italiano”: il ricordo e gli onori a Cuba. Quel che è certo è che tra gli anni ’90 e 2000 riuscì finalmente a tornare più volte nella sua amata Cuba, incontrando i vecchi compagni del Granma, da Ramiro Valdés a Fidel Castro. Un incontro, quest’ultimo, particolarmente emozionante per “l’italiano”, che alla vista del “Comandante” disse: “Io sarò con te fino alla mia ultima goccia di sangue”. “Ne è passato di tempo, ma finalmente eccoci qui”, rispose Fidel abbracciando calorosamente Gino Donè, decorato e ricordato anche nel Museo de la Revolución all’Avana, dove compare in un album ingiallito tra gli 82 del Granma, con un ritratto tondo e il suo nome.

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