Molti commenti e un certo dibattito si è creato come conseguenza del pezzo della settimana scorsa “Perché ricorderemo Kissinger: l’euristica e l’ermeneutica politica”.
di Sergio Bevilacqua
La figura di Henry Kissinger è indubbiamente multiforme e sfaccettata, e con tutte queste facce diverse non si deve far tutte le erbe un fascio. Kissinger è stato visto in quel testo sul piano gnoseologico della scienza politica, da una parte come attore e promotore consapevole di una strategia mondiale (il suo principale contributo “euristico”), dall’altra come attore e promotore della revisione razionale delle scelte che hanno continuato a guidare il mondo (il suo principale contributo “ermeneutico”); quanto l’articolo intende sottolineare è che la scienza ha un suo percorso anche nella Politica, e Kissinger è stato un importantissimo esponente di questa Scienza.
Il caso Moro (e Berlinguer), sul piano scientifico, è invece il caso di chi ha sbagliato l’operazione, che non è matematica ma aperta. Sostenuto da localismo storico e istituzionale, questo caso ha insistito su un tema forse giusto, la libertà italiana di condurre una propria politica, ma superato dalla primissima globalizzazione, quella geopolitica dei trattati di pace della Seconda guerra mondiale. Anche Craxi è caduto, per lo stesso motivo, ma per cause contingenti diverse: Moro muore proprio fisicamente sopra un progetto apparentemente ragionevole di sovranità, osteggiato con le armi subdole della contrapposizione politica (l’omicidio a cura delle Brigate Rosse, con molto Paese tacitamente inerte). Craxi cade sulla confusione tra legalità e pragmatismo ed è Mani Pulite, il potere giudiziario che lo affossa, insieme però affossando anche le difese della resistenza locale.
Chi ha taciuto nei ‘90, chi ha passato la buriana, ha mostrato la grande accortezza dei Veri Politici, come quelli delle Democrazie davvero mondiali che non seguono mai posizioni minoritarie ma sempre maggioritarie. Il terzo caso affine di leader politico che non è finito né morto, né esule e malato, è invece quello di Beppe Grillo. La sua strategia si è basata sul contropiede istituzionale. Il M5S, divenuto primo partito italiano è poi probabilmente defunto proprio perché nato per quello, per defungere precocemente, insieme alle ambizioni di maggior ruolo del Popolo Italiano. Allora, mentre il compromesso storico cade per il difetto di intuizione globale, mentre Craxi cade per una contestazione penale, il M5S cade per un chiaro errore di fondo che doveva essere compiuto, sul concetto costituzionale della rappresentanza politica dei partiti: l’assemblearismo giacobino declamato alla prim’ora dal guitto, con il patetico aiuto di forze tecnologiche da Harry Potter (Casaleggio R.I.P.) era chiaramente erroneo (su questo sono stato il Primo Espulso d’Italia) e ha mostrato fin dall’inizio la evidente manovra da pifferaio magico fatta non con i topi ma con il disagio del popolo italiano.
Ciò detto, io sto con Kissinger e non con Moro, Craxi e Grillo. Sto, cioè, dove c’è visibilità reale prima che romantico tentativo, poi anche opportunistico, di mantenere requisiti superati dai fatti.
Ciò detto, allora gli Andreotti, i Draghi e tutti i politici italiani che hanno chinato la testa di fronte al potere mondiale o ne sono stati diretta espressione locale, sono meglio?
Se hanno chinato la testa, come persone, come politici, non sono meglio: hanno semplicemente fatto un altro tipo d’errore ma meno grave (letale fisicamente o moralmente) per loro stessi e forse anche per il Paese. Se invece sono espressione diretta del potere mondiale, le cui istituzioni stanno oggi smettendo di produrre grotteschi e dialettali luogotenenti (Andreotti, Colombo, Cossiga ad esempio) e danno invece ormai vita a seri manager di Istituzioni Organizzate di livello globale (Draghi) allora io sto con questi ultimi e con chi agisce sulla loro onda, pur sapendo non abbastanza di ciò che davvero accade in questo mondo, a differenza di chi questo mondo l’ha conformato, come i Kennedy, i Tony Blair, i Mao Zedong, i Clinton e soprattutto oggi i padroni dell’economia mondiale, fortissime e sanissime corporation, aziende economiche globali, che interpretano con concretezza e qualche eccesso di cinismo i veri destini dell’Umanità.
Cosa devono fare gli Stati? Gli Stati sono anche i tribuni della plebe: i grandi Stati (anche l’Italia, forse…) hanno un ruolo importante nel tavolo globale ma soprattutto sono comunque “tribuni della plebe”, cioè operano bottom-up rispetto alle istituzioni globali (ONU, OCSE, Banca Mondiale, OMS, NATO, ecc.) che devono invece operare top-down. Il coordinamento tra i due movimenti, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso della piramide è essenziale perché non ci scappino carneficine, e proprio per meccanica sociologica. Tutte le guerre in corso sono interpretabili così: poteri locali ed eccentrici che si oppongono a regole di fondo, ove la strategia politica intrinseca non tiene conto di tutti i fattori ormai comuni nel globo terracqueo.
Resta senz’altro comprensibile la difesa a oltranza della varietà locale, ed è anche una bella missione… Ma errata, se fatta in modo frontale. Moro ha fallito e, per gli eredi, quando si fallisce occorre chiedersi perché. L’errore di Moro è stato quello di inventare una formula politica oscena per il mondo di allora in piena guerra fredda, che tradendo Mosca e New York avrebbe donato più autonomia all’Italia.
Oggi lo si chiamerebbe “sovranismo”, parola che appartiene semanticamente ormai ai contenuti del genere “provincialismo”. Sono altre le strade per portare avanti interessi locali: ad esempio, non pretendere l’ascolto del dialetto, ma saperne fare con precisione la traduzione in inglese. Cosa che non fa ad esempio Salvini: ricordiamo la figuraccia dell’abbandono del governo, che lo ascriverebbe alla categoria dei “fatti fuori” in vario modo come Moro o Craxi ma non Grillo (supponendone la limpidezza, tema non ovvio).
Sono comunque questioni di altissimo livello quelle che riguardano un popolo Occidentale, e importante come quello italiano, sia per dimensioni di riferimento demografico totale (100 milioni, fattore importante ma molto decaduto con l’antropocene), sia per peso specifico, economico (il nostro PIL) e culturale (la nostra immagine di Paese e civiltà). Impossibile ormai pensare di trattare il caso Italia solo a partire dal Locale. Ci vuole la consapevolezza del Globale e il suo linguaggio. Quello di Henry Kissinger, emblematicamente.
Sergio Bevilacqua