In molte regioni d’Italia, ma anche all’estero, in fatto di cucina, l’immagine della Liguria è associata al pesto.
di Tiziano Franzi
Pur avendo origini geografiche lontane, come vedremo, è proprio nella nostra regione che il basilico, che è l’ingrediente essenziale di questa salsa a freddo, ha trovato il clima ideale e l’ideale connubio con altri prodotti locali (pinoli e olio extravergine d’oliva) che fanno oggi del pesto alla genovese uno dei sughi più rinomati al mondo.
Un po’ di storia- Il nome di questo condimento innanzitutto deriva dalla sua lavorazione, ovvero il pestare foglie di basilico, pinoli e olio extra vergine d’oliva nel tradizionale mortaio di marmo con il pestello di legno. La ricetta del pesto, così come lo conosciamo noi, non ha origini antichissime, risalendo in effetti alla metà del XIX secolo. Ma questo condimento ha potuto vedere la luce solo se si pensa che la Liguria per tradizione, è la culla delle erbe aromatiche.
L’uso delle erbe aromatiche per i liguri ha origini nel medioevo, con abitudini differenti, in base alle categorie sociali: i ricchi condivano i loro banchetti con spezie ricercate, mentre i poveri le usavano per aromatizzare minestre non troppo saporite. Non è un caso che la città de La Spezia debba il suo nome proprio al commercio antichissimo di erbe e spezie nel medioevo.
I genovesi infatti fin dal Medioevo venivano descritti come dei veri maestri nella coltivazione e nell’uso delle erbe aromatiche e in qualche modo furono condizionati dai gusti orientali speziati, importati dalle loro scorribande per mare.
Questa antica tradizione sembra abbia dato origine al pesto, condimento freddo ottenuto dal basilico, in dialetto Baxaicò e Baxeicò (dal latino basilicum). Questa pianta, di origine araba, vanta un curioso nome botanico: Ocimum basilicum, letteralmente ‘erba regale’.
Ma torniamo al pesto: la ricetta originale risalirebbe alla seconda metà del XIX secolo; il primo a citarla pare sia un noto gastronomo dell’epoca, Giovanni Battista Ratto nella sua opera “La Cuciniera genovese“
Nel corso dell’Ottocento la pasta al pesto non subì variazioni particolari e già a quell’epoca era considerata un cibo popolare. Ma è probabile che il pesto avesse molto più aglio di quello moderno. Questo fondamentalmente per due ragioni: l’influenza arabo-persiana che dominò le salse di Genova dal Medioevo all’Ottocento, ma anche la predilezione e la “necessità” degli uomini di mare liguri per l’aglio, ritenuto quasi una medicina per i lunghi periodi di permanenza a bordo.
Il pesto infatti ha raggiunto una grande popolarità nel mondo anche grazie agli equipaggi delle navi mercantili o passeggeri che dal porto di Genova salpavano per destinazioni lontane: a La Boca, quartiere genovese di Buenos Aires, o nelle città di mare degli USA. Insomma, nonostante il pesto non sia poi così “datato”, vanta una curiosissima storia, che si rifà al mare e alle tradizioni popolari più antiche.
La ricetta del pesto alla genovese di Giovanni Battista Ratto fu successivamente ripresa da Emanuele Rossi ne “La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande”. Nel 1910 Emerico Romano Calvetti riassume le due opere in una sola, dando una sua versione del pesto, chiamandolo “battuta” o “savore d’aglio“. Sembra infatti che il pesto derivi dall'”aggiadda” (agliata), salsa antichissima a base d’aglio pestato con aceto, olio d’oliva e sale. L’agliata a partire dal XIII secolo si diffuse nel settentrione soprattutto per le sue proprietà conservative nei cibi cotti.
Alla storia si affianca anche una leggenda, secondo la quale il pesto è stato creato nel convento di San Basilio, a Prà: si dice che un frate lungimirante raccolse le erbe aromatiche che crescevano su quelle colline, in particolare il “basilium” cosiddetto in onore di san Basilio, e lo pestò come faceva per le erbe mediche ogni giorno al mortaio, ottenendo il primo pesto, che con il tempo venne perfezionato fino a diventare la preziosa salsa che è oggi.
Il basilico- Il basilico, pianta antichissima un tempo ritenuta diabolica, ha la sua genesi orientale e approda dalle nostra parti grazie agli immancabili Arabi che la fanno transitare in Sicilia. Da qui la pianticella verde sale fino in Liguria, dove trova il suo habitat naturale.
Il basilico è un’erba annuale della famiglia delle Labiate. La zona di origine della pianta è quella dell’India e dell’Asia tropicale, dove veniva coltivata come pianta ornamentale e per le sue proprietà curative, spesso associate a virtù “magiche”. Grazie a queste proprietà, distanti dall’impiego alimentare che oggi conosciamo, il basilico è stato introdotto dai Romani nel Mediterraneo. Il suo uso a scopo alimentare risale soltanto al XVIII secolo e in Liguria le sue origini sono strettamente legate alla storia dei suoi agricoltori e delle sue tradizioni culinarie, sulle quali primeggia naturalmente quella del pesto genovese.
Considerata come pianta ornamentale da Greci e Arabi, fino ai Romani, veniva coltivata in vaso e non aveva spazio nei libri di cucina storici, come molte altre piante, considerate spontanee e quindi non presenti nei ricettari. A partire dal XIX secolo la coltivazione si sviluppa nella fervente area agricola di Genova. Qui si coltivano le primizie fresche per approvvigionare il capoluogo, in particolare in Val Bisagno e nella zona di Pra’: quest’ultima località è tuttora famosa per identificare la migliore qualità del prodotto. Grazie al clima ideale e alla competenze di coltivatori piuttosto all’avanguardia, aiutati dall’innovazione introdotta con le prime serre, via via la coltivazione del basilico si espande e si specializza sul territorio.
Le eccellenti caratteristiche del prodotto hanno orientato la coltivazione in maniera specializzata per l’uso culinario e la coltivazione si è presto diffusa in aree con analoghe condizioni climatiche favorevoli e grazie alla trasmissione delle tradizioni agricole: molto spesso si tratta di agricoltori del genovesato trasferitisi per trovare nuovi e più ampi terreni per incrementare le produzioni. Con il tempo la zona di produzione si è espansa a levante e a ponente, in quanto l’intero territorio ligure ha dimostrato un’alta vocazione per l’ottenimento di un prodotto tipico unico in tutto il mondo.
Come detto, particolarmente adatto alla realizzazione del vero pesto alla genovese è il basilico di Prà, con foglioline piccole dal profumo intenso, cui è stata riconosciuta nel 2005 la Dop (denominazione di origine protetta).
Nel corso degli anni, in Liguria, si sono affermate alcune varietà adatte per la produzione del basilico tipico genovese, e caratterizzate dall’assoluta assenza di sentore di menta, da un profumo molto intenso e gradevole, nonché da una colorazione delle foglie particolarmente tenue.
A proposito del “sentore di menta”, è esperienza comune che una pianticella di basilico coltivata in Liguria, se trapiantata fuori regione, a parità di condizioni climatiche e di trattamento, acquista subito, per l’appunto, un forte sapore di menta, che ne rende impossibile l’uso nella preparazione di un classico pesto alla genovese.
La ricetta- Del “pesto alla genovese” esistono molte varianti, alcune delle quali – a dire il vero – piuttosto lontane da quella originale. Peraltro la commercializzazione di questa salsa ovunque nel mondo ha favorito la contaminazione della ricetta con altre locali, anche con l’aggiunta di prodotti non tipicamente liguri e tutto questo ha portato a una sua manipolazione, che può essere definita “contraffazione” soltanto se nell’etichetta del prodotto è scritto “Pesto alla genovese”, il cui disciplinare, come vedremo, è molto preciso e rigoroso.
La ricetta originale di Giovanni Battista Ratto è dunque la seguente: “Prendete uno spicchio d’aglio, basilico (baxaicö) o in mancanza di questo maggiorana e prezzemolo, formaggio olandese e parmigiano grattugiati e mescolati insieme e dei pignoli e pestate il tutto in mortaio con poco burro finchè sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fine in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne e i gnocchi (troffie), unendovi un po’ di acqua calda senza sale per renderlo più liquido”.
Come si vede, la ricetta originale contiene elementi (prezzemolo, formaggio olandese, burro) che oggi farebbero rizzare i capelli in testa a un cultore del vero pesto alla genovese. Ma, come si è detto, queste indicazioni sono state nel tempo modificate e affinate. La presenza del formaggio d’Olanda o Gouda, è giustificabile per la sua diffusione a Genova per via dei commerci marittimi con i paesi del Nord Europa, e l’alternativa concessa a prezzemolo e maggiorana è dovuta alla stretta stagionalità della coltivazione del basilico; a quei tempi non si usavano ancora le serre.
Nel dizionario genovese-italiano di Casaccia del 1876, si trova: “Pesto: voce nostra che non ha precisa corrispondenza italiana ed è un specie di salsa o condimento che si compone di basilico oppure maggiorana e prezzemolo, di aglio e cacio, pestati insieme nel mortaio e sciolti con olio ed acqua usati per cuocere la minestra che si vuol condire”.
Come si può vedere la ricetta è circa la stessa ma scompare la precisazione della tipologia di formaggio.
Un’interessante citazione si può ricavare anche dal volume “I Liguri a Tavola. Itinerario gastronomico da Nizza a Lerici”, scritto da Massimo Alberini ed edito da Longanesi nel 1965. Alberini, a proposito della storia del pesto genovese, fa notare quanto sia importante per la preparazione del pesto l’utilizzo di un buon olio d’oliva (extra vergine) della Liguria “di grande finezza e di aroma squisito – un olio – saporito senza essere greve, di colore giallo oro, con qualche riflesso verde smeraldo, delicatissimo e schietto”.
Resta fondamentale l’uso del mortaio in marmo, che dall’antichità a oggi non è cambiato.
Per creare il pesto secondo le tradizioni classiche liguri bisognerebbe dotarsi di un mortaio di marmo con un pestello in legno duro. Aggiungere le foglie di basilico, aglio q.b., i pinoli e sale grosso in giusta quantità, per poi pestare il tutto attraverso un movimento rotatorio possente. Dopo di che va aggiunto il formaggio e alla fine il miglior olio di oliva extravergine. E’un processo di preparazione lungo e laborioso, che inoltre richiede grande pazienza e dimestichezza col mortaio.
Per comodità oggi è invalso l’uso di preparare il pesto anziché con il mortaio classico, con l’aiuto di un frullatore. Tale pratica sicuramente accorcia i tempi di preparazione, ma incide fortemente sulla qualità finale del prodotto. Il pesto è una salsa a freddo in cui il basilico, il suo componente principe, teme il calore pena l’ossidazione. Comprensibilmente, l’azione vorticosa delle lame del frullino riscalda il composto al contrario del pestello che esercita un’azione a bassissima energia cinetica. Proprio per questo motivo taluni consigliano di tenere la coppa del frullatore e le lame nel freezer prima dell’utilizzo, mentre altri aggiungono cubetti di ghiaccio (orrore per i tradizionalisti!). Un tempo poi, quando non esistevano ancora i frullini, il pesto genovese veniva realizzato con la mezzaluna. Un metodo arcaico ma efficace, che veniva utilizzato perché non tutti si potevano permettere un mortaio di marmo, manufatto artigianale molto costoso. Di quei tempi resta il ricordo visivo di alcuni taglieri in legno scavati in modo molto profondo al centro, segno evidente dell’azione meccanica del tagliente attrezzo. E poi ricordiamo che “nel pesto al mortaio si ‘pesta’ poco e si struscia parecchio.”
Esiste quindi la ricetta ufficiale del pesto? No, o per meglio dire, non esiste una sola ricetta del pesto perché in Liguria ogni famiglia ne ha una particolare. Un concetto un po’ ostico da comprendere per chi ligure non è. Chi mette più pinoli, chi mette due tipi di formaggio invece che uno. Chi mette tanto aglio, chi ne mette un po’ meno. La ricetta senza aglio per un genovese non esiste…ma…….quello con tanto aglio viene definito pesto “maleducato” e ormai è riservato solo a ristrette cerchie di cultori. Si pensi che, fino all’immediato dopoguerra, era abitudine inserire uno spicchio d’aglio a commensale.
Se proprio si vuole fare riferimento ad una ricetta con grammature e molto altro, si può fare ricorso a quella ufficiale presente come disciplinare per il “Campionato del mondo di pesto al mortaio”:
4 mazzi (60-70 g. in foglie) Basilico Genovese D.O.P., garanzia della tipicità di profumo e sapore 30 g. Pinoli 45-60 g. Parmigiano Reggiano Stravecchio grattugiato 20-40 g. Fiore Sardo grattugiato (Pecorino Sardo) 1-2 Spicchi d’Aglio di Vessalico (Imperia) 3 g. Sale Marino Grosso 60-80 cc. Olio Extra Vergine di Oliva “Riviera Ligure” D.O.P., dolce e fruttato, esalta il profumo del basilico e del condimento |
Bisogna lavare in acqua fredda le foglie di basilico e metterle ad asciugare su di un canovaccio senza stropicciarle. Nel mortaio si pesta uno spicchio di aglio insieme ai pinoli. Una volta ridotti in crema, si aggiungono alcuni grani di sale e le foglie di basilico non pressate a riempire la cavità. Si pesta il basilico con un dolce movimento rotatorio del pestello sulle pareti. Ripetere l’operazione. Quando il basilico stilla un liquido verde brillante, aggiungere i formaggi, parmigiano reggiano e fiore sardo. Versare a filo l’olio extra vergine d’oliva riviera ligure D.O.P., ideale per sposare tutti gli ingredienti senza sopraffarli. La lavorazione deve terminare nel minor tempo possibile per evitare problemi di ossidazione.
La ricetta del pesto alla genovese è molto semplice, ma richiede ingredienti freschi e di qualità. Il basilico deve essere fresco e profumato, l’aglio deve essere tenero e non piccante, i pinoli devono essere italiani e l’olio extravergine d’oliva deve essere di buona qualità.
Pesto e pasta
Il pesto alla genovese è un piatto versatile che può essere servito in molti modi diversi. La ricetta classica prevede di condire la pasta con il pesto, ma può essere utilizzato anche per condire gnocchi, bruschette, verdure e pesce. Il pesto alla genovese è anche un ottimo condimento per le insalate e può essere utilizzato per preparare primi piatti freddi, come la pasta fredda con pesto e pomodorini.
Ma il suo connubio ideale è con la pasta e, in particolare con due tipi di pasta tipicamente liguri: le trofie e i mandilli.
Le trofie sono un tipo di pasta tradizionale della Liguria, a forma di rotelle coniche. Sono preparate con farina di grano duro, acqua e sale, e vengono poi lavorate in una trafila a forma di spirale. Le trofie sono un tipo di pasta versatile, che può essere condita con una varietà di condimenti, ma sono particolarmente adatte a essere condite con il pesto alla genovese.
A Genova il termine trofie è usato da tempo, ma si riferiva ad altro. Negli antichi dizionari genovesi di metà Ottocento, infatti, il termine trofie (o troffie) è sempre associato agli gnocchi, classico formato di pasta dalla fisionomia arricciata. Se ne faceva di due tipologie: i più antichi, di sola farina e acqua (al limite, nell’entroterra farina di castagne), e quelli con le patate, più recenti. Le trofie o trofiette come oggi le conosciamo (“quei piccoli girelli di pasta fresca con le due appendici affusolate, dalla forma avvicinabile alla spirale di un cavatappi, della misura ideale di 4 centimetri di lunghezza”) erano preparate soltanto in un piccolo lembo del Levante ligure: il Golfo Paradiso, ossia fra i borghi marinari di Sori, Recco e Camogli. E a Genova giungono molto tardi negli anni ’60; uno dei piatti simbolo nel mondo della ristorazione genovese e ligure quindi, fino alla metà del secolo scorso non era conosciuto nemmeno a Genova.
La forma della pasta è data dal peculiare carattere arricciato a forma di truciolo da falegname, chiamato risso da banchè. La forma e la grandezza, piuttosto ridotta, di una trofia sono fattori importanti per le sue qualità organolettiche. Le trofie hanno una forma inconfondibile, quella che viene chiamata localmente “intursoeia” è il caratteristico attorcigliamento della parte centrale che termina con due appendici affusolate. Il nome potrebbe derivare dal genovese strufuggiâ, ovvero strofinare, dal movimento necessario per arricciarle con la mano che striscia la pasta sul pianale. Secondo una interpretazione dotta “trofia” potrebbe derivare dal greco trophe che significa “nutrimento”. In greco è più verosimile la derivazione da trépho “volgere, torcere”, col significato di “attorcigliare”.
Le trofie vanno condite, quasi esclusivamente nella versione locale, con il pesto alla genovese; una variante (usata anche per altri tipi di pasta conditi col pesto) prevede la bollitura con patate e fagiolini novelli.
Un altro tipo di pasta perfetto per essere servito con il pesto alla genovese sono i “mandilli“, letteralmente “fazzoletti” o, più esattamente i mandilli de sea ( fazzoletti di seta). Si tratta di una tipologia di pasta particolare e molto sottile, risalente ai tempi in cui i liguri commerciavano con gli arabi, (il nome “mandillo” è l’equivalente arabo di “fazzoletto”) e, infatti, questa specie di lasagnette ricorda molto dei sottili fazzoletti di seta.
Per la preparazione dei mandilli al pesto si può separare la lavorazione in due momenti, la preparazione della pasta fresca e la preparazione del pesto. Il pesto potete prepararlo separatamente e poi utilizzarlo in un secondo momento. Per la preparazione della pasta, disponete la farina a fontana su una spianatoia o su un tavolo piano; aggiungete l’uovo e un pizzico di sale. Cominciate ad amalgamare il tutto aggiungendo via via l’acqua finchè non si otterrà un impasto ben amalgamato con cui formare una palla, che si lascerà riposare per circa mezz’ora. Riprendete la pasta e tiratela a sfoglia (si può utilizzare la macchina oppure con un semplice mattarello). Lo spessore dei mandilli deve essere abbastanza sottile, quindi se tirata a mano la sfoglia deve risultare di piccolo spessore. Una volta ottenuta la sfoglia dello spessore desiderato, si taglia in tanti rettangoli della dimensione dai 5 – 10 cm per lato. Riempite una pentola con dell’acqua e portate a ebollizione. Aggiungete del sale e poi, dopo un minuto, aggiungete i mandilli. Il tempo di cottura dovrebbe essere di pochi minuti, a seconda dello spessore dei mandilli. Colate i mandilli insieme ai pezzi di patata e fagiolini lessati a parte. Conditeli con il pesto alla genovese aggiungendo il formaggio grattugiato e un po’ di olio extravergine d’oliva a crudo. Servite i mandilli al pesto possibilmente ben caldi.
E per concludere, una curiosità- Ogni anno si celebra il World Pesto Championship, il campionato del mondo del pesto,che vede tra i concorrenti i migliori cuochi di ogni continente, specializzati nella realizzazione della famosa salsa a freddo ligure. Ebbene, quest’anno, 2023, il vincitore del campionato non è di Prà, ma nemmeno di Sanpierdarena o di Quarto: è una “foresta” d’Oltreoceano, Christelle Minnaar , di Città del Capo, in Sudafrica!
Tiziano Franzi
2/DALLA REGIONE LIGURIA- COMUNICATO STAMPA
14 SETTEMBRE 2023- PESTO, VICE PRESIDENTE PIANA: “INACCETTABILE ACCOSTARLO ALLA CANNABIS”
GENOVA. “Farebbe sorridere confondere la droga, intesa come stupefacente, con i prodotti della drogheria dalle spezie ai generi alimentari, ma se a fare questo scivolone è un politico convinto di quello che dice, con tanto di proclami pubblici, la musica cambia decisamente tono. Mattia Santori, secondo quanto riportato dalla stampa, a Bologna ha portato in Comune un vasetto di pesto alla genovese e uno di infiorescenze di canapa per dimostrare che entrambi presentano potenziali rischi per la salute. Un’ affermazione inaccettabile: il pesto, prodotto simbolo della Liguria, è una vera e propria eccellenza agroalimentare. Pensiamo al suo ingrediente principe secondo la ricetta originale della cucina ligure, il Basilico Genovese DOP, e alla sua lunga tradizione. Per non parlare delle tante aziende che ci lavorano e a quanto impatta su tutta la filiera, sino alle nostre tavole. Svilire le nostre eccellenze per finire sui giornali non fa notizia, ma produce solo un effetto boomerang”. Così il vice presidente della Regione Liguria Alessandro Piana sulle affermazioni ai media del consigliere Mattia Santori.