Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La ‘Capricciosa’ e l’Arcidiocesi di Genova


La newsletter, del 9 maggio 2023, di Paolo Farinella, prete. La «Capricciosa» non è solo una pizza, ma può esserlo anche una Diocesi, anzi Arcidiocesi come Genova che una volta fu «Superba» anche perché vi erano vescovi «grandi» nel senso più pregnante dell’aggettivo: uomini di governo lungimirante.

di Paolo Farinella, prete

Oggi si naviga a vista e per giunta senza bussola, caracollando «extra legem», dando un pessimo esempio a coloro da cui si pretende l’osservanza pedissequa di norme e voleri «episco-vicariali».

Monsignor Marco Tasca

 Finalmente, dopo tre anni dal suo ingresso (luglio 2020), il padovano Marco Tasca convoca i preti per eleggere il Consiglio presbiterale. Era ora! Di solito, poiché il Consiglio presbiterale decade automaticamente in caso di «sede vacante», il nuovo vescovo (v. Canestri e Tettamanzi), si affrettano a indire le elezioni per avere una indicazione dal clero per scegliersi i collaboratori tra i più votati.

Non abituato al governo, avendo svolto per 12 anni solo «funzioni di rappresentanza», senza potere effettivo (Ministro generale), il vescovo Tasca, entrando in Genova ha comprato all’ingrosso, forse con sconto comitiva, quasi tutta la curia precedente, legandosi così mani piedi e cordone, privandosi dell’ebbrezza della scoperta con volti e nomi nuovi. Lo dice la storia: peccato, il vescovo ha i collaboratori che si merita perché se li sceglie.

Premetto subito che lo stesso allegato in pdf (vedi a fondo testo…..) che trovate qui con alcune aggiunte di dettagliato pasticcione di governo episcopale-vicariale, è stato, poco prima di spedire questa Newsletter, da me inviato in Vaticano, dove ormai sono di casa, ai Dicasteri del Clero e dei Vescovi.

La ragione di questa mia comunicazione a voi e al Vaticano è triplice:
a) per ragioni teologiche: la Chiesa locale non è proprietà privata del vescovo e dei vicari e questi non possono fare quello che vogliono, specialmente se fanno i gargarismi con l’acqua della «sinodalità»;
b) per ragioni battesimali / ministeriali: ogni battezzato o prete e corresponsabile e se non vive questa responsabilità ne dovrà rendere conto a Dio: se il vescovo è responsabile di tutti noi sul piano della fede, la nostra responsabilità è maggiore perché noi dobbiamo rispondere del vescovo e dei vicari;
c) come scrivo nel pdf, l’elezione del Consiglio riguarda tutti i preti e ciascuno dovrebbe sentire la gioiosa leggerezza del giogo. Fare gli indifferenti o professare la fede nell’assunto teologico, molto diffuso del «non tocca a me», equivale a essere complici del degrado e delle ingiustizie che si compiono in diocesi senza che nessuno batta ciglio.

C’è tra i preti qualcuno che pensa che io mi diverta a scrivere queste cose? Poveretto, non so che dire! Se io emergo è solo perché attorno c’è il vuoto, non il silenzio, ma il tacere che è la cosa più orribile che possa capitare a chi dovrebbe essere «esperto nella Parola e in umanità».

  Non serve il pettegolezzo che offende il sacramento, ma è necessaria la «parresia», anche se ciò comporta l’emarginazione. Vi invito a leggere l’allegato che è anche minicorso di aggiornamento giuridico in rapporto al Consiglio presbiterale, cose che tutti dobbiamo sapere, se vogliamo avere una coscienza «informata» e votare non per simpatia, ma «per amore di Gerusalemme»; altrimenti siamo anonimi e dannosi. Ubbidire non è essere sottomessi e subire ogni sorta di angheria.

Se siete devoti di Sant’Antonio da Padova, vi invito a leggere i suoi «Sermoni», pubblicati bilingue da Emi di Padova, messi all’indice dalla Chiesa perché staffilava cardinali, vescovi, abati e monsignori: io non sono in grado di ripetere i suoi epiteti che proferiva nelle prediche durante la Messa festiva.

  Molti preti fanno frizzi e lazzi sul fatto che il vescovo e i vicari, due o tre volte a settimana, comunque tutte le volte che si riuniscono, mangiano e bevono insieme e paga la diocesi: è il 2° mistero gaudioso: la visita di Maria a Elisabetta… a spese di Zaccaria. Io non lo so, ma se fosse vero, perché non dirlo e non chiederne conto in uno degli incontri programmati? Personalmente penso che il vescovo e i vicari possano mangiare insieme, magari insieme ad altri preti, quando vogliono; ma penso anche che possano benissimo pagarsi il pranzo di tasca (sic!) propria e non a carico della diocesi. Specialmente in un tempo in cui costoro hanno decurtato i punti a diversi preti, tra cui il sottoscritto, che è già pronto per denunciare vescovo e vicari in tribunale perché l’atto che hanno compiuto, almeno nel mio caso, è illegale, immorale e configura il reato di frode.

Poveretti! Si può sempre fare una colletta «finalizzata» tra il clero per alimentare la «fraternità sacerdotale» (si dice così, no!) e pagare noi il povero desinare di vescovo e vicari sia quando lo consumano nel rinnovato episcopio «stile Ikea», sia quando lo consumano in trasferta (in questo caso dovremmo tassare un supplemento per le spese di albergo, B&B o tenda canadese). Vi terrò informati.

Paolo Farinella, prete

PADRE MARCO TASCA
ARCIVESCOVO DI GENOVA
PIAZZA MATTEOTTI, 4
16123 GENOVA GE
e p.c
 Don Marco Doldi
Vicario Generale
Arcidiocesi Genova
 Don Giovanni F. Calabrese
Vicario per l’annuncio del
Vangelo e per la Missionarietà
Arcidiocesi di Genova
 Don Giovanni Grondona
Vicario per la Comunione
Ecclesiale e la Sinodalità
Arcidiocesi di Genova
 Don Andrea Parodi,
Economo Diocesano
Arcidiocesi di Genova
 Don Pietro Pigollo
Vicario per il Clero
Arcidiocesi di Genova
PIAZZA MATTEOTTI, 4
16123 GENOVA GE
LORO SEDI VIA E-MAIL

Sono Paolo Farinella, prete, amministratore parrocchiale di San Torpete in Genova. «Il Cittadino», settimanale cattolico di Genova del 07-05-2023, Anno 47 N. 17, a p. 3 nel riquadro riservato alle notifiche della Cancelleria della Curia arcivescovile, riporta: «L’Arcivescovo ha stabilito che sia MODIFICATO l’articolo 4 §1 dello “Statuto del Consiglio Presbiterale dell’Arcidiocesi di Genova” come di seguito: Art. 4 §12: “I membri del Consiglio durano in carica tre anni e possono essere confermati per non più di due mandati consecutivi (…)» (Decreto Arcivescovile 23 aprile 2023)». In data 24-04-2023, il Vicario generale, Mons. Marco Doldi, comunicava a tutto il Presbiterio della
Diocesi di Genova le modalità, confermando le norme «modificate» delle elezioni del Consiglio presbiterale e descrivendo le indicazioni tecniche di elezione.
Il primo rilievo che faccio riguarda proprio la modifica dello Statuto, senza alcuna consultazione.
Nota giuridica-canonica.
A Genova siamo abituati al vescovo «sinodale» che opera e decide in maniera splendidamente solitaria, con metodo monarchico. In diritto, specialmente ecclesiastico, è di casa l’antico «brocardo», continuamente studiato da teologi e canonisti per
la sua portata teologica: «Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet» (cf YVES CONGAR, «Quod omnes tangit,
ab omnibus tractari et approbari debet», in Revue historique de droit français et étranger 36 [1958], 210-259). Il primo a
legiferare in materia fu l’imperatore Giustiniano (482-565) nel suo Codex Iustinianus (534, forse anche prima, nel 529),
recepito nella tradizione cristiana e tuttora fonte primaria del Diritto occidentale (cf Codex, V, 59,5,3) e canonico fino al
punto che dal sec. XI in poi, in tutti gli ordini monastici fu introdotto il principio che su argomenti specifici occorresse
l’unanimità di chi aveva «vox in capitulo». Questo criterio «sinodale» è vigente ancora oggi nelle grandi famiglie riformate
benedettine/cistercensi. Nella Chiesa cattolica, i giuristi producono ricerche e studi importanti e abbondanti a riguardo.
1- Il Sinodo è un figlio di questa evoluzione di dottrina ecclesiale. Modificare lo Statuto di rappresentanza è atto di straordinaria
amministrazione che riguarda «un insieme di persone» (qui il clero che elegge il Consiglio Presbiterale). In forza del CJC
can. 94 §2 («Agli statuti di un insieme di persone sono obbligate le sole persone che ne sono legittimamente membri»),
avrebbe dovuto essere obbligante, proprio per il brocardo sopra citato, che il presbiterio fosse consultato sulla proposta, sul
contenuto e sulle ragioni di modificare lo Statuto elettivo del Consiglio. Venendo a mancare la consultazione, pur consultiva,
che ha lo scopo di offrire all’autorità tutti gli elementi possibili per legiferare nel «segno della comunione», la decisione
assunta appare all’esterno per quella che è: una imposizione autoritaria che non rispetta nemmeno «il clima» sinodale in cui
l’intera diocesi è impegnata ormai da quasi due anni. Anche il fine di questa modifica non è chiaro. L’immagine che ne viene
fuori, per chi osserva con attenzione o per interesse giuridico, è devastante per la Chiesa. Il giudizio si aggrava ancora di più,
se si considera che codesto modo di governare, nella diocesi di Genova, è ormai «un sistema ostinato» che fa sorgere il
sospetto di un governo improvvisato, dovuto anche all’incompetenza in materia di Giurisprudenza e Diritto. Papa Francesco
1- cf ORAZIO CONDORELLI, «“Quod omnes tangit, debet ab omnibus approbari”. Note sull’origine e sull’utilizzazione del
principio tra medio evo e prima età moderna», in Ius Canonicum, 53 [2013] 101-127; ANDREA PADOVANI, «I laici nella
canonistica medievale [secoli XII-XV]», in Ius ecclesiae, XXXII, 1[2020], 133-158, specialmente la nota 16 a p. 137 con ampia,
specifica bibliografia sull’argomento; ORIO GIACCHI, a cura di, Jus, Rivista di Scienze giuridiche, n. 4 [1952], Vita e Pensiero,
Milano; ITALO MERELLO ARECCO, «La máxima “Quod omnes tangit”. Una aproximación al estado del tema», in Revista de
Estudios Histórico-Jurídicos, n. XXVII [2005], 163-175, e moltissimi altri ancora.
2- spinge nel senso della «condivisione decisionale» in ambito sinodale.
2 – Nel discorso per il 50° dell’istituzione del Sinodo (v., sotto, nota 2), papa Francesco fa affermazioni teologiche definitive: «in una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali…rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale […]».
3 -C’è di che riflettere e magari cambiare rotta di governo per una Chiesa sempre meno clericale e sempre più «ecclesiale», come,
grida a squarciagola papa Francesco, ma così tanto da essere divenuto afono.
Il secondo rilievo importante riguarda l’elenco degli eleggibili, allegato alla lettera del Vicario. A un attento
esame di questo elenco, salta agli occhi l’assenza di «tre pezzi da novanta», tutti e tre vicari episcopali: don Giovanni
F. Calabrese, don Giovanni Grondona, don Pietro Pigollo. Poiché per Statuto (art. 3 §2, lettera c) i membri di diritto
sono solto tre: «Economo diocesano, Cancelliere e Rettore del Seminario diocesano», i tre vicari restanti sono eleggibili e quindi dovrebbero essere nell’elenco, a meno che il vescovo, avvalendosi in modo non conforme dell’art 3,
§2, lettera d) dello Statuto che gli riserva il diritto di designare N. 7 membri, non abbia deciso preventivamente di
designarli, alterando in codesto modo le modalità delle votazioni e forse anche i risultati. A conclusione delle votazioni, se i tre vicari saranno nominati dal vescovo, come molti sospettiamo, valuterò se ricorrere alla Santa Sede,
chiedendo l’annullamento delle votazioni. Uno di loro, infatti, o tutti e tre potrebbero essere eletti «dalla base» e il
vescovo avrebbe la possibilità di nominare altri, magari non di Curia, oppure gli stessi, facendo così subentrare al
loro posto, i primi dei non eletti. Solo dopo il 2° turno di votazioni, il vescovo può decidere le scelte possibili a norma
di Statuto. Se lo fa «prima» è illegale e nemmeno il vescovo è «legibus solutus».
Lo Statuto, infatti, non prevede né concede alcuna nomina previa «ante previsa merita» (che appartiene di
diritto solo all’Immacolata), ma dice che il Presbiterio elegge N. 30 preti tra gli eleggibili, compresi i tre vicari de
cuius. Averli espunti senza alcun supporto giuridico, ma solo perché «di fatto, essendo vicari, sono di diritto anche
membri del Consiglio presbiterale» è un assunto assurdo e indimostrabile, al di fuori del capriccio.
Viene il sospetto che il vescovo tema che gli attuali vicari possano correre il rischio di non prendere voti o
di prenderne pochi, data la considerazione molto bassa dei vicari tra il clero, e quindi abbia voluto salvare «in corner»,
sempre «per grazia ricevuta», anche quelli che non sono membri di diritto (Statuto, art. 3, §2, lettera c). Se così fosse
sarebbe un dramma, perché dimostrerebbe che il vescovo e i vicari sono consapevoli di avere creato le condizioni
per disgregare il presbiterio, riuscendoci, fino a disamorarlo e a dividerlo, facendo cadere stima e rispetto, fatte salve
sempre le apparenze formali in cui si fa atto di «devozione», ma tutti sanno che è falso.
L’elezione del Consiglio presbiterale è questione delicata perché, pur avendo valore solo consultivo (Statuto,
art. 2 §3), è il luogo privilegiato per avere il «polso e l’umore» del clero per aiutare il vescovo a prendere decisioni
possibilmente condivise, considerato che la Chiesa non è un partito, né una dittatura né una democrazia, ma una realtà
senza interessi di gruppo o personali, che ricerca soltanto, con metodo ecclesiale/sinodale, «salus animarum, che deve
sempre essere nella Chiesa legge suprema» (CJC, can. 1752). L’elezione del Consiglio presbiterale è stata inspiegabilmente rimandata di tre anni, quando di norma, i vescovi, appena insediati, promuovono l’elezione del nuovo Consiglio, proprio per avere le indicazioni della «base» per le nomine della Curia, fidandosi dei preti. Il vescovo Tasca,
invece, non solo ha rimandato le elezioni, ma ha preso in blocco la vecchia guardia curiale con la complicità della
quale, alla prova dei fatti, è stato capace di combinare solo pasticci (l’elenco sarebbe lungo e gli interessati lo sanno,
ma continuano imperterriti navigando in oceani di conflitti d’interesse e decisioni improvvisate. L’unico motivo
plausibile è quello di tutelare gli interessi privati di alcuni della Curia.
Una sola considerazione finale e amara resta da fare. Codesto agire del vescovo, che sicuramente si consulta
con i suoi vicari, in diocesi designati come cerchio magico, è l’ennesima e ultima, in ordine di tempo, dilapidazione
del Diritto e delle leggi. Si ha, infatti, la certezza che l’Arcidiocesi di Genova sia governata a capriccio o come capita
o secondo l’interesse «particulare» del momento […]. Una Chiesa così, che parla e fa manifesti «sinodali» e disquisisce di comunione in un contesto di disunità sistematica, è condannata al fallimento. Ogni prete è «monade a sé»,
salve le esteriori forme che mettono in evidenza ancora di più la mancanza di qualsiasi «fraternità sacerdotale». Un
consiglio: il vescovo si doti di un consulente giuridico «in utroque» che lo assista in ogni atto documentale. Per lo
meno, toglierebbe materia prima a Paolo Farinella prete, che così resterebbe disoccupato con beneficio di tutti.
A tutti un saluto libero, ma sincero, perché solo chi tace non dice nulla, ma chi parla senza interessi è sempre
uno che ama per il «bene comune».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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P. Farinella

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