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L’arte di riciclare: una critica agli pseudo critici d’arte


L’arte di riciclare: una critica agli pseudo critici d’arte.

di Antonio Rossello

Dario Fo

Premessa – Cercare di dare un senso compiuto alla critica d’arte è praticamente un’impresa impossibile. E’ arcinoto quanto sia la fantasia di taluni critici priva di limiti e come gli stessi amino inventare parole nuove. Sebbene, quasi sempre, il significato di esse non sia chiaro od opportuno, credo che questo sia (per loro) un particolare insignificante, trascurabile. Si leggono, pertanto, recensioni, articoli e saggi nebulosi; ancor peggio privi di minima logica. Si ammannisce pertanto un circo dove gli effetti speciali prevalgono sulla comprensione delle opere. Quindi, volutamente, chi scrive o parla d’arte si auto-eleva per stupire. Ne viene un’impressione pressoché farsesca, un po’ come in “Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”, opera teatrale (commedia in due atti) di Dario Fo, che segnò il ritorno del grande interprete e regista sulle scene teatrali, assieme alla moglie, l’attrice Franca Rame, dopo una parentesi quinquennale in Rai con Canzonissima.

Nella trama, ambientata nella Spagna del Cinquecento, la figura di Cristoforo Colombo viene spogliata dei  consueti connotati mitici. L’esploratore, che, mediante furbizie e raggiri, ha ottenuto dal re di Castiglia consenso e aiuto per realizzare la sua missione, al suo ritorno, invece di essere osannato, viene processato. Nella morale dell’autore, ciò accade volendo venire a patti con i potenti. In generale, è anche il peccato di chi eccede in captatio benevolentiae, quel topos retorico utilizzato per stimolare un atteggiamento benevolo e accondiscendente da parte del pubblico. Uno spazio dove può tanto allignare chi architetta elaborate menzogne per rendersi interessante, quanto il fanfarone, il mentitore o il ruffiano.

Dei vizi del mondo dell’arte- Come in ogni buona famiglia, siffatte abitudini si riscontrano non solo nel mondo della grande arte, ma pure nel sottobosco di artistuncoli, di hobbisti di buone speranze che popolano la scena di provincia. La cifra è nel malvezzo imperversante delle recensioni di artisti gravide di termini astrusi.

Attraverso di esse, al pari di un buon buffone di corte, certa critica d’arte intrattiene lo zoccolo duro di galleristi, intellettuali, professori, mercanti ma anche gente comune – e più ce n’è, meglio è… – con la pretesa, o l’illusione, che tutti fingano di capire e approvino incondizionatamente le sue affermazioni. Ma quanto sono bravi questi petulanti? Ebbene sì, assieme ad una buona cultura, per essere campioni in ciò, occorre la parlantina sciolta e una faccia di bronzo, degna di una statua antica, che non arretra di fronte a qualsivoglia insidia. Attenzione, però, parlantina sciolta non deve essere sinonimo di logorrea. Molti giri, molte parole, molto rumore di lingua per nulla e molti, moltissimi, dormienti in sala lo possono dimostrare e non raramente, ve lo posso assicurare.

Una nota personale- Sono talvolta invitato a commentare mostre ed artisti, ma ho sempre dissuaso gli organizzatori dal citarmi come critico d’arte. E, con l’esperienza, ho via via imparato ad evitare situazioni, a mio avviso ridicole, a cui si espongono taluni “fini dicitori”. Ma soprattutto esorto ognuno, quando non si capisce il discorso di un esperto d’arte (bisogna vedere davvero quanto…), a non pensare di essere ignorante, a non cercare di inseguire sensi che presto si smarriscono e quant’altro.

Vedete, la vita spesso porta i nostri sogni lontano da noi. Basta un attimo di distrazione, un alito di vento, per accorgersene: capita all’artista ma anche a noi. Allora, è assai meglio abbandonarsi ai propri sensi d’innanzi all’opera esposta per capire che cosa vuol comunicarci l’artista, piuttosto che ingolfarci della vuota tiritera di cui si sciacquano la bocca parolai di ogni fatta, i quali non sanno nemmeno cosa significhi imbrattare una tela o scolpire un masso. E qui viene il dunque.

Una “allegra brigata” di pseudocritici- Preso atto che nulla si inventa, ma tutto si sogna, e al massimo si condivide, anche soltanto avendo maneggiato pennelli o scalpelli si consegue una possibilità di relazionarsi con la creatività artistica. Chi non l’ha mai fatto, almeno per diletto, non credo possa capire molto degli artisti.

Ma, eccoli a frotte: letterati, filosofi, storici, antropologi, psicologi, sociologi o sociatri (per dirlo in modo più figo) …di tutto e di più, alcuni dei quali prosopopeici nella propria azione di lingua più che forti del sapere della propria materia. Quest’ultima può venire brandita come una spada per garantirsi una ragion d’esserci. Come? Proclamandone la necessità, in aggiunta alla storia e all’estetica, nel campo della critica d’arte moderna.

Non stupiamoci, però, qualora un tentativo di critica d’arte da parte, ad esempio, di un sociologo non abbia successo a causa di una scarsa familiarità con l’argomento. Senza aver l’anello al naso, grazie ad un minimo di opportune letture, non stupiamoci ancora di constatare la riproposizione “tel quel” di una pagina già scritta – che ne so – da Dorfles, Barilli, De Micheli, … ossia di trovarci davanti quello che all’università si definisce una “tesina compilativa”, seppur astutamente limitata nella citazione delle fonti, quasi per rincorrere un’originalità posticcia.

Risultato: operazioni simili non riescono a produrre un’analisi significativa dell’opera d’arte. Esse servono semplicemente a rigurgitare un mucchio di parole, le quali non descrivono accuratamente l’opera d’arte o trasmettono alcuna intuizione significativa.

Il campo di battaglia sarà pertanto relegato nei confini dell’arte contemporanea. Non può essere che questo il terreno di coltura di opportunità facili da cogliere, visti determinati limiti insuperabili, come presto vedremo, da parte di una “allegra brigata” di pseudocritici, che si troverebbe a mal partito lungo la via della storia dell’arte, dove poco o nulla conta l’arbitraria invenzione di ciò che si vede.

Facili opportunità: ovvero come mungere l’artista per un pugno di lustrini.

Mi capita talora di conversare con pittori o scultori dilettanti, o alle prime armi, che onestamente si rivelano confusi di fronte al fatto che certe recensioni si paghino, senza poi risultare davvero oggettive. Lo sgomento cresce scoprendo un mondo variegato e bislacco di galleristi, curatori di pubblicazioni patinate, critici ammiccanti, bravi a campare facendo leva sulla vanità e il desiderio di emergere di aspiranti artisti, bramosi di apprezzamento. Il meccanismo collaudato è quello di offrire un posto nel firmamento, secondo tariffe incrementali…Da qui, un proliferare di cataloghi da tanto al kilo, di attestati farlocchi firmati con titoli non rivestiti e delle patacche brillantate che ognuno può meritarsi!

All’approssimarsi di questa selva di false lusinghe, senza pentimento alcuni già in partenza rinunciano, altri più incauti ci cascano e poi delusi, e schifati, si affrancano, rituffandosi nell’idea, nemmeno tanto balzana, che l’attività creativa si faccia soprattutto per piacere personale.

Limiti insuperabili: ovvero laddove osano soltanto i veri critici.

L’altro lato della medaglia, per i parvenu dell’arte, è rappresentato dall’ingenua speranza di poter ottenere pareri disinteressati di esperti sul proprio lavoro. Anche in questo caso si incontrano artisti aspiranti, e novelli, le cui idee sembrano assai confuse. Ci si dimentica dei costi sostenuti da una intera filiera: i produttori delle tele, quelli dei telai, quelli dei colori, quelli della carta, quelli dei pennelli e di tanti altri ancora, fino ai galleristi. E siccome devono tutti campare grazie all’attività svolta, come potrebbero gli stessi non chiedere una contropartita? Ci si dimentica pure che legittimamente gli artisti, al pari degli altri, vendono o provano a piazzare al meglio le proprie opere. E, visto che i quadri si pagano, come potrebbero gli stessi essere realizzati senza allettare le attese di potenziale acquirente o della moda corrente? Poi, per quale ragione qualcuno dovrebbe recensire le opere altrui, impiegando giorni di lavoro e della propria vita, senza essere remunerato del proprio onorario?

Tutti questi ragionamenti stanno in piedi nella misura in cui sussistano validi elementi di professionalità. In tal senso, nessun critico d’arte serio, seppur compensato, affermerebbe che le opere di questo o quell’artista sono pari a quelle di un grande maestro del passato. La critica d’arte vera è una disciplina che si fonda su parametri certi, oggettivi e poco opinabili. Sulla base di vere e proprie competenze, nel rispetto dei disciplinari professionali, si può stilare un giudizio autorevole, e non certo per soddisfare soltanto un committente, in quanto pagante.

Proprio da questo modo di operare emerge la differenza con la stirpe di arruffoni sopra descritta, che riesce a proliferare anche grazie al fatto che non esistano norme specifiche che regolano la professione. Non vi sono infatti albi specifici e/o titoli specifici per accedere alla professione.

Bisogna, tuttavia, saper attentamente cogliere tale differenza. Essa sta nel modo con cui il critico d’arte analizza la produzione estetica e valuta opere d’arte e artisti in base a conoscenze approfondite sulla storia e sul mondo dell’arte. Analizza e stima il valore delle opere d’arte, facendo perizie e accertandone eventualmente l’autenticità. Identifica e promuove gli artisti ritenuti meritevoli. Partecipa a mostre o rassegne d’arte e coordina collane d’arte. Scrive articoli, recensioni, libri e saggi di natura scientifica. Infine, tende a dare fondamenta razionali alla propria valutazione, analizzando la produzione artistica all’interno di un contesto estetico o sulla base di una specifica teoria della bellezza.

Come abbiamo accennato, non esiste una formazione specifica per diventare critici d’arte. Nondimeno, sarà di grande aiuto aver frequentato un corso di laurea in conservazione dei beni culturali, discipline artistiche o storia dell’arte; oppure presso l’accademia delle belle arti. O, per lo meno, avere imbrattato tele o scolpito massi?

I due aspetti dell’arte di riciclare.

Mi viene pertanto spontaneo di diffidare dei tanti, soprattutto esponenti delle scienze umane e sociali, lanciati all’arrembaggio dell’arte, fingendosene esperti. Tuttologi superficiali, in grado di soltanto affermare quanto vi intravedono, non meglio di chiunque altro ne abbia il coraggio. L’unica differenza magari consisterebbe nell’esprimersi in un linguaggio più personale e semplice. Non esperti d’arte, dunque, ma abili nell’arte di riciclare sé stessi. Ed è questo un primo aspetto, che determina l’inutile sovrastruttura dell’ambiente artistico formata da soggetti talora non riusciti a coltivare con proficuità la propria disciplina d’origine.

Si palesa quindi chi lenisce soltanto le ferite di una propria frustrazione, chi deve arrotondare per sbancare il lunario e persino chi avidamente non disdegna di spolpare il prossimo.

Per arrivare all’estremo delle conseguenze – possono eccome esservi anche quelle -, troviamo chi, profferendo affermazioni illogiche e mirabolanti, sfrutta talune modalità malate di formazione del consenso collettivo oggi assai in voga. Basti pensare a quanto avviene anche all’interno di religioni, di partiti politici, di correnti umanistiche, giudiziarie e, purtroppo, scientifiche. Manipolando il linguaggio, costoro possono indurre un fenomeno di auto-elevazione che indiscutibilmente affascina i neofiti di turno. E quest’ultimi vengono così attirati da pifferai magici che non fanno troppa selezione, dei mercanti in fiera sfruttatori di vanità. Questa non è l’arte di scoprire talenti, ma quella di riciclare brocchi. Ecco il secondo aspetto, quello di una pesante zavorra che affossa il livello qualitativo del panorama artistico.

Conclusioni – Nelle suddette ipotesi: quanto ampia sarà la sovrastruttura degli pseudocritici tanto pesante la zavorra dei brocchi. Ecco il teorema nel mercato dozzinale dell’arte dove gli affari si fanno a spiccioli e con i mezzucci. Un dramma per l’Arte, nella misura in cui il concetto di “Arte” con la A maiuscola è più variamente profondamente declinabile.

Il dramma origina da una rete drogata di relazioni, una rete di protezione ed autoconservazione per la quale se un uomo si vanta di essere un esperto d’arte facendo delle affermazioni banali ed enfatiche, ad esempio finalizzate al sostegno di un pittore che non sa dipingere, quest’uomo susciterà l’ammirazione e troverà sostegno negli altri critici. Tutto ciò siccome gli altri critici, a loro volta, avranno bisogno del suo sostegno. In poche parole, l’ecatombe della coscienza etica e di quella estetica. In un simile labirinto, vige uno scopo commerciale preciso: portare alla creazione di un “senso comune” totalmente illogico ma profondamente funzionale al guadagno senza troppo scrupolo; è questo il passo fondamentale per condizionare persone ignare e per affossare l’Arte.

Antonio Rossello


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A. Rossello

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