Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Spotorno: Gigetto Novaro, pittore. A Villa La Carlina, donata al Comune, le testimonianze di una vita d’artista


Villa La Carlina è la casa museo del pittore Gigetto Novaro (Savona, 1901- Spotorno, 1982).

di Ezio Marinoni

Gigetto Novaro pittore

La struttura ha avuto una prima sistemazione e riordino, grazie alla Amministrazione Comunale di Spotorno, con l’auspicio di consentire una apertura continuativa al pubblico. La sua inaugurazione è avvenuta il 25 settembre 2021; grazie al Circolo Socio-Culturale “Pontorno” ODV oggi sono visitabili il salone e lo studio, dove si conservano cappe, tavolozze, cavalletti, quadri e pannelli, che costituiscono una mostra permanente sulla vita e sulle opere di Gigetto Novaro.

All’interno della villa è presente anche l’archivio dell’artista, che potrebbe favorire una più diretta lettura del suo originale percorso artistico, grazie a riviste e cataloghi che lo riguardano.

Nasce a Savona, agli albori del secolo scorso (8 aprile 1901), da un’antica famiglia gentilizia originaria di Bordighera, da cui eredita i tratti di un vero gentiluomo.

Gigetto Novaro: autoritratto 1938

La sua ispirazione artistica si sviluppa fra le spiagge e i colori di Spotorno, paese di origine della mamma. Qui avviene l’incontro con il suo maestro, Cesare Maggi (Roma, 13 gennaio 1881 – Torino, 11 maggio 1961), insegnante alla Accademia Albertina di Torino, che dipingeva “en plein air” con il cavalletto collocato davanti al mare. Ed è proprio Maggi a incoraggiare il giovane pittore e allievo a esporre alcuni suoi lavori alla collettiva degli acquerellisti lombardi del 1930.

In gioventù avviene la sua adesione al Futurismo, che declina con sfumature personali. Tra gli aderenti alla corrente incontra Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto, 22 dicembre 1876 – Bellagio, 2 dicembre 1944) nell’estate del 1938, in occasione del primo Bagutta – Spotorno, che vede Novaro tra i suoi fondatori.

In un curriculum, riproposto da Carlo De Benedetti (Il futurismo in Liguria, Sabatelli, 1976), egli viene definito futurista da «quando Marinetti lo fece suo discepolo e Ugo Pozzo, suo compagno d’infanzia, lo incoraggiò».

Durante la conquista dell’Etiopia (3 ottobre 1935 – 9 maggio 1936) Novaro si trasforma in soldato e colono sugli altipiani etiopici; sul suo taccuino di soldato traccia profili di accampamenti e tende, visi e fiori, o una terra arida che aspetta la stagione delle piogge.

È il critico Emilio Zanzi a celebrare il suo vero battesimo artistico, scrivendo nel 1952: «Gigetto Novaro l’ho un po’ scoperto io, timido e quasi pauroso pittore – nato al tempo delle memorabili mostre Bagutta – Spotorno e degli estivi raduni di artisti convocati nel fiorito centro balneare da Giangi Fiumi e da Orio Vergani».

Tra gennaio e febbraio 1938 si tiene a Torino una mostra con 72 acquerelli e 37 disegni a penna di Novaro, tornato in Italia per una breve parentesi. Nel 1939 invia cinque sue opere alla seconda edizione del Premio Bagutta Spotorno e ottiene il premio speciale per le “opere ispirate all’Africa Orientale Italiana”.

Nello stesso anno ritorna in Africa, dove nel 1941 sposa ad Addis Abeba una farmacista italiana, Carla Discepoli, di origine umbra (nata a Gualdo Tadino nel 1909).

Durante la Seconda guerra mondiale viene internato in un campo di concentramento inglese, dal quale riesce a fuggire. Raggiunta Addis Abeba, apre una piccola bottega di pittura e ottiene la fiducia del Negus. Il 25 febbraio 1948, in occasione del Mascàl (1), una delle grandi feste dell’anno liturgico etiopico, l’Imperatore inaugura due grandi dipinti murali, eseguiti da Novaro nel palazzo del Ministero dei Lavori Pubblici. I due pannelli hanno per tema i lavori pubblici e le comunicazioni e sono una singolare fusione dell’ambiente africano e del lavoro europeo.

Apprezzato per questo lavoro, viene chiamato dall’Imperatore, insieme allo scultore Galli e all’architetto Costanzo, ai lavori di ricostruzione e di decorazione in oro e stucchi del Ghebbì (il palazzo imperiale); il Negus, infine, commissiona a Novaro anche un ritratto.

Gigetto Novaro: autoritratto tra le margherite 1949

Nel 1950 avviene il definitivo rientro in Italia, a Spotorno. Dall’Africa l’artista ha portato con sé un patrimonio di luci e forme che gli consentono di raggiungere la maturazione artistica, ma in patria è quasi uno sconosciuto e deve ricominciare tutto daccapo, a partire dalle mostre. E la critica si accorge subito che la “sua” Africa è qualcosa di autentico, i suoi quadri rispondono a una poetica interiore , a una necessità spirituale di dipingere.

Nel 1952, il poeta Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 12 gennaio 1888 – Savona, 31 ottobre 1967) gli dedica un intenso commento poetico, in occasione di una delle prime mostre dopo il rientro in Italia, presso il Palazzo Comunale di Savona: «Basta, a Spotorno, varcare una soglia per trovarsi di colpo in Africa: un’Africa, e più precisamente un’Etiopia, che viene incontro, inconfondibile, dalle tele».

E così Sbarbaro tratteggia, quasi in poesia, un panorama d’Africa, guardando le tele di Novaro: «Prima lieta sorpresa in un campo come quello della pittura odierna, infestato da tutti gli “ismi”, la normalità della tecnica e la sobrietà dei colori; in un soggetto che poteva, se non richiedere, giustifica forzature e violenze… Davanti a questi quadri, rividi l’Africa che scopersi la volta che da Algeri mi affacciai al deserto: la miracolosa trasparenza dell’aria, la immensità di quegli orizzonti, quel senso di infinito».

Nel silenzio della Carlina e negli occhi la luce dell’Africa, in un angolo della vecchia Spotorno ancora fasciato e contornato da piante e frutti, il colore della costa ligure diventa il tema prediletto della sua pittura. I colori dell’Africa si stemperano nel più morbido cielo ligure e la sua attenzione si concentra sui piccoli particolari del panorama.

Gigetto Novaro muore a Spotorno il 27 ottobre 1983; lui e la moglie riposano nel cimitero di Spotorno, uniti anche nella tomba di famiglia.

Per soddisfare un desiderio del marito, la signora Carla, alla sua morte, lascerà Villa La Carlina e tutte le opere di Novaro al Comune di Spotorno, con il vincolo di allestire e gestire una pinacoteca a lui intitolata. E così è avvenuto, grazie alla lungimiranza culturale della Amministrazione Comunale dell’epoca.

Gigetto Novaro: ottobre al mare 1935

La sua pittura, letta oggi, assume una duplice veste: da un lato la descrizione della vita africana e dei tentativi di colonizzazione italiani con la visione di una luce abbagliante in una terra arida e difficile; nel secondo periodo della sua vita artistica, riscopre una Liguria meno luminosa, ma altrettanto arida e difficile da vivere e da coltivare.

Ho visitato Villa La Carlina durante un mio recente soggiorno in Liguria. Desidero ringraziare vivamente Bruno Marengo e il Circolo Socio-Culturale “Pontorno” ODV per l’accurata visita che mi hanno regalato e il benevolo accompagnamento ai locali dove ha vissuto l’artista Gigetto Novaro. L’angolo con le sue tavolozze, come sopra accennato, mi fa immaginare l’artista all’opera, ancora con i colori sospesi, nell’atto di scolpirsi sulla tela. I mobili d’epoca fanno immergere nel clima di quel tempo, così lontano da noi, quand’egli si ritrovava con amici e colleghi d’arte.

Riprendo una frase di Giovanni Bono, da una delicata pagina (Gigetto Novaro e il “Bagutta”, ovvero dell’amicizia), a conclusione del testo Gigetto Novaro (1901 – 1983) a cura di Silvio Riolfo Marengo: «Gigetto era rimasto pittore signorilmente isolato nel suo mondo; isolato, ma aperto agli amici che, tutti gli anni, si ritrovavano puntualmente alla vecchia “Carlina”, tra gli ulivi e gli albicocchi, in un’edizione campestre e marinara ad un tempo, della “tavola dei poeti” della trattoria milanese».

Anche questa è una Spotorno con c’è più, declinata senza malinconia, tra le mura e il giardino di Villa La Carlina.

Ezio Marinoni

Note

(1) Mascàl. È la festa commemorativa dell’invenzione della Croce, che si celebra in Etiopia il 17 maskaram, coincidente con la fine di settembre o i primi d’ottobre del calendario giuliano. Una leggenda, nella forma vulgata presso la chiesa copta, vuole che Elena (madre dell’Imperatore Costantino), incerta sul luogo dove il sacro legno si trovasse, si lasciasse guidare dal fumo di un falò acceso dopo ardenti preghiere. In ricordo di ciò si accende un gran falò composto di croci di legno, detto dammarà.

Bibliografia- Angelo Camillo Maine – I Premi Bagutta – Spotorno – Articolo apparso su Arte mediterranea – Rivista bimestrale – Gennaio – Febbraio 1940 – XVIII – N. 1. Gigetto Novaro (1901 – 1983) – A cura di Silvio Riolfo Marengo – Comune di Spotorno – Assessorato alla Cultura – 1985


Avatar

Ezio Marinoni

Torna in alto