Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Savona non sogna da anni. Non serve pensare al passato. La borghesia sta scomparendo in tutta la provincia. Il nuovo proletariato. I lavoratori poveri


Criticare  non è sinonimo di affossare, soprattutto laddove i commenti, pur in parte distorti,  hanno contenuti di fondo. In democrazia, dentro e fuori dai palazzi del potere, valgono i numeri, numeri che s’identificano in voti. Mai dimenticarlo.

di Sergio Ravera

Non i partiti politici tanto meno  gli  esponenti pubblici ai diversi livelli istituzionali, non foss’altro girando velocemente, come mai in passato, la ruota del dissenso e del consenso. Configurandosi l’obiettivo nell’accettazione del confronto, nel fornire risposte chiare anche laddove s’intrecciano visioni distintive del presente e del futuro di comunità grandi e piccole.

A maggior ragione in tempi  in cui si accavallano delicati problemi  a livello nazionale ed europeo. Un mondo di incertezze pesa sul futuro di tutto l’Occidente, dubbi  tanto più gravi laddove la stagnazione economica diventa ingestibile e fa sentire pesantemente gli effetti di una disoccupazione e di una immigrazione incontrollate, senza precisi schemi di orientamento e di programmazione che si riflettono in negatività impressionanti  – ed in continua crescita – sulla povertà e sulle prestazioni sociali, prima tra tutte la sanità. Colpiti vasti strati sociali ad iniziare dalla stessa borghesia che sta scomparendo in Savona come in tutta la provincia, raggiungendo per tanti aspetti la dimensione di nuovo proletariato. Concomitante, in modo preoccupante, alla crescita dei lavoratori poveri.

Grandi problemi  incancreniti, ormai radicati nel tempo, tanto più censurabili  laddove non sono seguite indicazioni di volontà, peggio si direbbe di sostanza,  tra l’indifferenza, disinteressata o meno, di risposte. Savona non sogna (ma neppure pensa) da anni; nell’ultimo triennio con una popolazione rassegnata tra Covid ed influenza, pesantemente coinvolta in un processo inflazionistico che pesa sul carrello della spesa, posta dinanzi al caro energia e ai costi nei trasporti  determinandosi in tal guisa  indebitamenti onerosi per  famiglie ed imprese. Tra l’altro, andando incontro a mesi che si preannunciano meteorologicamente freddi,  pesanti ed onerosi.

Una città – assieme al circondario finitimo ed aree interne della Val Bormida  – che nel corso della prima metà del secolo scorso scandiva la sua economia sui tempi dell’industria, assistendo nei successivi 50 anni alla perdita continua di aziende contrassegnate da alti livelli occupazionali. Da qui, il rifugio in un terziario di sopravvivenza, la proliferazione sostenuta dagli enti locali tramite concessione di licenze commerciali: negozi, di piccole dimensioni accompagnati nel tempo dall’apertura di unità di servizio. D’altronde, un salto troppo lungo in tema di investimenti presupponeva il ricorso a tempi brevi all’industria dell’ospitalità, peraltro tutt’oggi incompiuto, oltre che condizionato da scelte errate nella destinazione delle aree di costa. Il mare è oltre la spiaggia, una distesa che si espande ai nostri occhi, che ha portato Savona a diventare in altri secoli tra le protagoniste nel Mediterraneo. Una città dal ritardo incolmabile, mentre altri centri del nord-ovest di questo grande bacino storico raggiungevano traguardi impensabili.

Quanto inconcepibile oggi, e di converso immaginabile nei decorsi decenni, trovarci con negozi dalle serrande chiuse assieme ad altre realtà che potrebbero esserne coinvolte tra lo stupore della gente che nulla conosce di Distretti Urbani del Commercio, private di un coordinamento che ne rilanci una valenza che va oltre il ruolo dei supermercati. Nell’obiettivo di assicurare luce ed  ampia diversificazione di prodotti al centro città e ai quartieri.

Mentre calendari – se i bilanci sia pubblici che aziendali li sorreggeranno  –  di manifestazioni dirette ad un loro sostegno debbono trovare originalità nel quadro di iniziative non improvvisate. Né appaiono sostenibili idee di una Savona  candidata  a capitale italiana della cultura stante la difficoltà,  all’apparenza insormontabile, ad ottenere il riconoscimento in un Paese ricco di importanti e diversificate risorse in questo settore. Sicchè esperienza insegna come la scintilla di una incompiuta immaginazione, di un inarrivabile pensiero non sia in grado di generare dapprima progetti, quindi intercettare  finanziamenti per la realizzazione.  Limitarci a riflessioni, a congetture non porta lontano. Nè aderire a bandi pubblici, non tutti per destinazione d’uso o per stanziamento confacenti non solo ad un bilancio comunale ma ad esigenze della comunità. Quindi limitarsi in ambito decisionale-politico ad una indicazione di  obiettivi, lasciando a personale interno specializzato le prime verifiche sulla attendibilità e fattibilità di proposte attese.

Ogni progettualità,  laddove improvvisata o differita, diventa incerta  oggi, con la recessione economica alle porte,  con un Pil dai dati disastrosi. Difficile guardare serenamente al futuro  in  bilanci  in cui  disponibilità di risorse proprie  e finanziamenti esterni non convergono verso obiettivi comuni e imprescindibili; rifuggendo aspettative disattese di una comunità  paralizzata dai consueti punti di burocratizzazione delle funzioni pubbliche che  trovano facile supporto e riscontro in componenti  di consigli di gestione, in eccedenze partecipate di attori esterni.

Mentre a Savona vanno evolvendosi i finanziamenti del PNRR, cui hanno contribuito le giunte Capriolio e Russo nell’intento di rigenerare, riutilizzare il passato, potenziare l’esistente. Avendo ben chiaro il concetto che l’accettazione degli interventi  portino un miglioramento progressivo della situazione. Rifuggendo problemi frutto di superficialità, mancanza di conoscenza, scelte inopportune e incongruenti.  In sostanza, evitando ulteriori debiti, bensì producendo nuovo valore.

Sergio Ravera


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