Trucioli

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Bruna Magi, Marilyn Monroe. Intervista impossibile a 60 anni dalla sua morte


Oriana Fallaci ha inseguito Marilyn Monro e a lungo, nonostante non fosse nota per la pazienza. Ma la sua perseveranza non è stata premiata: Marilyn è rimasta la sua grande intervista mancata. A parziale risarcimento giunge questa intervista impossibile.

Bruna Magi giornalista e scrittrice scrive di cinema e libri per Libero. Ha collaborato con Rai3, ideato e condotto caffè culturali. Numerosi romanzi portano la sua firma

Impossibile perché l’intervistata non c’è più da un pezzo – nata il 1° giugno 1926, Marilyn morì il 4 agosto 1962. Impossibile perché inventata.
Di Marilyn è stato detto e scritto tantissimo
e oggi, sessant’anni esatti dopo la sua morte, che cos’altro si potrebbe raccontare di nuovo? Forse niente, forse tutto. Di certo Bruna Magi, l’intervistatrice impossibile, conosce bene la diva: per anni ha letto biografie, articoli, cronache del tempo e non, romanzi dedicati a lei. Più al suo mito che alla sua persona, però. Per anni ha visto film, documentari, servizi televisivi. E ne ha scritto. E ora che l’etere e Internet sono “scossi” dal la notizia del primo titolo Netflixa luci rosse”, guarda caso dedicato alla bionda più esplosiva di sempre – Blonde (come l’omonimo romanzo sconvolgente che Joyce Carol Oates ha dedicato a Norma Jeane Mortenson Baker) con protagonista Ana De Armas, regista Andrew Dominik, così trash da essere stato respinto alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, inutilmente aspirante a Cannes 2022 – Magi ha sentito sgorgare naturalmente le domande che state per leggere, e anche le risposte. E ha voluto imprimerle, per dare voce alla “bambola” scolpita nell’immaginario e da sempre muta. O meglio zittita.
Come? Con un collegamento fantastico da
un Limbo misterioso, una videochiamata da un mondo parallelo.
Ecco Marilyn: a te la parola, finalmente.

Bruna Magi, savonese di nascita e milanese d’adozione, ha scritto per Panorama, Il Giornale, Anna, Grazia e Gioia, del quale è stata caposervizio spettacoli. Attualmente scrive di cinema e libri per Libero. Autrice di una pièce teatrale, il fantagiallo Chi ha ucciso il prof. Sgarbi?, ha collaborato con Rai3, ideato e condotto caffè culturali, scritto numerosi romanzi, tra i quali La sindrome del califfo, Il ritorno della Papessa, La profezia nell’anno dei grandi re, Fate e streghe sono fra noi? Prima pagina, Vietato al padre.
Suoi i saggi
È la stampa, signori! e Visto si stampi e le raccolte di articoli curiosi Diamoci del tu e parliamone: storie non solo d’amore, di sesso e di politica e Diamoci del tu e parliamone ancora.

INTRODUZIONE- Sessant’anni dalla morte, era il 4 agosto 1962. Se fosse vissuta, Marilyn Monroe nel 2022 avrebbe compiuto novantasei anni. Tutti le avrebbero augurato di campare sino a cento e probabilmente lei li avrebbe mandati al diavolo. Figuriamoci, non sopportava l’idea di una ruga a trentasei, avrebbe giudicato banale e noiosa la teoria secondo la quale stiamo guadagnando punti con le possibilità di durata che la vita oggi ci offre. Tanto più che la morte l’aveva cercata molte volte, guardandola bene in faccia, attraverso una continua escalation nell’assunzione di alcol e barbiturici di ogni tipo, per riuscire a vivere, a dormire, a essere sveglia, ad amare e disperarsi.
Sarebbe stata la protagonista ideale di un
best-seller pubblicato nel 1966, quattro anni dopo la sua dipartita: La valle delle bambole,
30 milioni di copie vendute nel mondo, autri
ce Jacqueline Susann, poi diventato un film e una serie tv, racconta di come e a quale prezzo le ragazze sopravvivevano a Hollywood, oppure finivano stritolate: troppe pastiglie quotidiane (sono loro, le “bambole”) per arrivare all’alba del giorno dopo in vita, e qualche volta da morte.
Marilyn ha in parte ispirato quel libro. Sì, pro
prio lei, la Monroe. Eternamente in bilico fra l’interpretare una creatura di luce assoluta e il restare un povero essere fragilissimo, ineluttabilmente attratto dalla spinta a schiantarsi nel baratro. Siamo sempre soli sul cuor della terra, trafitti da un raggio di sole, e non ci rendiamo conto che la sera arriva comunque troppo presto, ci coglie alla sprovvista, come scriveva Salvatore Quasimodo. E come cantava Fabrizio De André: quando si muore si muore soli, anche dopo aver combattuto la
stessa guerra o amato in cento l’identica donna.
Molte volte, nel corso dei miei lunghi anni di giornalismo cinematografico, quando tutti
la giudicavano una bionda oca per eccellenza
(la stessa critica cieca che a lungo ha considerato Totò una maschera cretina, salvo un giorno scoprirne la genialità), l’ho difesa, scrivendo che oscillava tra il prendere in giro sé stessa e gli altri, con la sua ironia innata che anticipava
i tempi, e la necessità di adeguarsi a un modello
abusato e obbligato, ai tempi in cui Hollywood optava ancora per la netta distinzione fra angeli del focolare, pure eroine di immani tragedie, donne diaboliche che attiravano gli uomini in cerchi infernali, o svampite che con vocine gorgheggianti puntavano all’unico traguardo sensato: sposare un uomo ricco. La macchina del cinema produceva senza sosta immagini scontate e costantemente riciclate. “Santini” a sfondo fisso che portavano fiumi di dollari nelle casse delle major.
Più volte ho pensato con malinconia che non
c’era mai stata un’intervista nella quale Marilyn avesse rivelato la verità su di sé. In apparenza, le sue, sembravano confessioni totali, in realtà ne rilasciava solo brandelli. E bugie, che il giorno dopo smentiva e purtroppo miravano sempre a non intaccare l’immagine che faceva vendere il suo corpo. Peccato.

Marilyn Monroe

Una grande donna, all’epoca, l’ha inseguita a lungo e disperatamente, per cercare di carpirle questa verità sempre dissimulata: Oriana Fallaci, che aveva tre anni meno di Marilyn Monroe, e a soli ventitré, spedita negli Stati Uniti da Angelo Rizzoli senior come inviata per «L’Europeo», sbarcò a Hollywood per raccontarne il mito di “Mecca del Cinema”. Lo fece con la sua penna dissacrante, lo sguardo incline a raccogliere dettagli ravvicinati, a costo di violare la privacy più intima delle sue “vittime predestinate”, a volte entrando nelle loro case faraoniche, sedendo sui bordi delle piscine. Oriana li voleva agguantare a ogni costo, i “suoi” intervistati, li usava a propria discrezione, e otteneva battute, confidenze inedite dai giganti (o mostri, sia pur sacri, scegliete voi) affrontati a distanza ravvicinata, che si trattasse di Cecil B. DeMille o Burt
Lancaster, di Kim Novak o Judy Garland. Ne tras
se una galleria di ritratti talmente avvincenti da diventare un libro – I sette peccati di Hollywood con la prefazione addirittura di Orson Welles.
Ma non fece centro con la star più ambita.
E così la Fallaci anziché la verità di Norma Jeane Mortenson Baker descrive l’amarezza dell’averla inseguita ovunque invano, cadendo in varie illusioni di un contatto sino all’ultima promessa, un appuntamento fissato a casa sua, dove invece si ritrova intrattenuta dal marito Arthur Miller, nell’attesa che arrivi la diva. Ma Marilyn non arriverà mai.

Vittorio Feltri

Da questa occasione mancata una folgorazione: perché non realizzarla oggi, quell’intervista all’attrice più famosa del mondo, vanamen
te concupita dalla più grande giornalista del
Novecento? C’è una logica, infatti sono stata sedotta non solo dalla prima, ma anche dalla seconda, della quale ho potuto conoscere particolari inediti raccontati da Vittorio Feltri. Grande amico della Fallaci, Vittorio le aveva ceduto la sua casa di Milano, trasferendosi altrove, a pochi giorni dalla fine, prima che rientrasse in Toscana, dove aveva scelto di morire.
Dice molto di lei il fatto che, quando lui an
dava a trovarla, Oriana si comportasse come se l’ospite fosse stato Feltri. E che al momento di
lasciare la casa, lei si portò via un bicchiere e un
cucchiaino di lui: le servivano per le medicine da assumere durante il viaggio verso la natìa Firenze, e li avrebbe consegnati a Monsignor Fisichella affinché fossero restituiti al proprietario dopo la sua morte.

Oriana Fallaci

Così, ho pensato a un’intervista immaginaria, “strappata” a distanza. Reverente e piccola sostituzione (anche se appassionata e rispettosa)
di quella che la grande Fallaci avrebbe voluto
scrivere. Folle idea?  Non più di tanto: ho immaginato di allacciare un filo diretto con la star più amata e desiderata di tutti tempi, Marilyn con la sua voce irresistibile, intrisa di miele e seduzione, che arriva da un mondo parallelo pieno di stelle… dell’universo. Sì, proprio le stelle del cielo, dove ci piace immaginare risiedano le persone amate quando non ci sono più.
La sua resta la più luminosa, perché luminosa
è stata durante la vita terrena. L’ho immaginata (o forse l’ho sognata?) nel Limbo, perché neppure nell’aldilà sapevano bene dove posizionarla. Tanto complesso è stato il suo male di vivere, dagli abissi alle più alte vette, e viceversa.
Secondo la religione cattolica il Limbo è il
luogo che ospita i non battezzati, in particolare i bambini, comunque coloro che non hanno co
nosciuto Dio per ragioni indipendenti dalla loro
volontà. Dante racconta di avervi incontrato persone di grande merito, come Omero o lo stesso Virgilio, la sua guida, che infatti era molto addolorato di essere stato collocato da quelle parti. Ma sono sicura che prima o poi la sdoganeranno, Marilyn, inviandola in Paradiso. Perché il Limbo in cui la immagino non è una fotocopia di quello dantesco, primo cerchio
dell’Inferno che lambisce il cratere dei dannati
in eterno. Ha regole più permissive, e presto sarà autorizzata a salire più in alto, perché la Monroe avrebbe voluto conoscerlo, Dio. Per chiedergli aiuto. Anche se non lo aveva mai detto a nessuno. O forse lo confessò a qualcuno che noi ignoriamo. Allora via, diamo inizio alle domande.


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