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Libro di Bonfiglietti: I Rocca di Loano. E il secolo d’oro del grano e dei velieri. La storia del Commercio che l’arricchì tra il ‘700 e l’800


Pubblichiamo l’ultimo capitolo di un interessante e documentato libro scritto dall’ing. Filippo Bonfiglietti realizzato a scopo divulgativo e non di lucro e prossimo ad essere diffuso nelle librerie. La copertina: “I Rocca di Loano. E il secolo d’oro del grano e dei velieri. La storia di Loano e del commercio del grano che l’arricchì tra il sette e l’ottocento”. Da pagina 83 a 183 si parla dei Rocca ieri e oggi.

di Filippo Bonfiglietti

Il passato. Una famiglia sconosciuta di Loano che crea una grossa azienda commerciale e armatoriale, accumulando alla fine una ricchezza strepitosa, fino a scomparire quasi all’improvviso intorno al 1860. Agostino Rocca aveva qualità umane eccezionali, la gente amava lavorare con lui perché lui riconosceva il merito dei collaboratori e con lui ciascuno, fosse ingegnere o operaio, si sentiva parte del gruppo. E i Rocca ai giorni nostri: Techint e molto di più. L’Humanitas.

6. L’Argentina e la Techint
Agostino Rocca sarà pienamente assolto, ma la voglia di ricominciare lo spingerà all’estero. E questo sarà l’ultimo “salto”, quello decisivo. Come prima mossa, nel novembre 1945, Agostino insieme a suo figlio e a suo fratello fonda a Milano la Techint, Compagnia Tecnica Internazionale. Poi, subito dopo l’assoluzione, ottiene il visto per gli Stati Uniti e parte. L’intenzione era di trasferirsi in America Latina, in Brasile o in Argentina, con una preferenza per il Brasile. Gli Stati Uniti erano esclusi perché erano in sovraproduzione. Il viaggio esplorativo in Sudamerica inizia il 15 febbraio 1946. Le prime tappe sono Amsterdam, Lisbona e New York.
Dappertutto, contatti con professionisti e industriali. A New York il rapporto più importante è quello con la Banca Commerciale, dove ha conoscenze che risalgono ai suoi primi anni in Dalmine. Dal punto di vista industriale il contatto principale è con la Di Tella Corporation, che vorrebbe creare in Argentina un nuovo stabilimento per produrre tubi in acciaio. Il giro esplorativo di Agostino Rocca lo porta da New York alla Colombia, al Cile, al Perù e infine all’Argentina.
Tutto questo può sembrare avventuroso, mentre è soprattutto un ardito gioco di scacchi le cui pedine e i cui appoggi sono noti e chiari dall’inizio. Non per nulla, dietro ci sono personaggi come Vittorio Cini (1) e Dino Grandi rifugiatosi in Spagna dopo il voto al Gran Consiglio, e gruppi bancari come la Banca Commerciale Italiana. Agostino Rocca non era un emigrante ma l’uomo di punta, oltre che l’ideatore di un grande progetto industriale. Nel suo gioco le idee sono chiare e i collegamenti pure: doveva essere scelto solo il luogo dove impostare la nuova iniziativa industriale, e fu l’Argentina.
L’ambiente argentino, dove domina Peron, non è del tutto favorevole, ma vengono impostati diversi progetti e nel febbraio 1947 viene fondata la Compagna Tecnica Internacional con sede a Buenos Aires. Il primo progetto importante fu il gasdotto di duemila chilometri dal sud dell’Argentina fino a Buenos Aires, per il quale servivano 80.000 tonnellate di tubi. La produzione
dei tubi fu affidata alla Dalmine. E, per montare i tubi in Argentina, la Techint
dovette ricorrere a duecento operai specializzati trasferiti apposta dall’Italia.
Nel 1954 a Campana, vicino a Buenos Aires, entrò in marcia la Dalmine Safta, una fabbrica di tubi senza saldatura e, nello stesso anno, l’analoga (1 Vittorio Cini, ufficiale di cavalleria nella Grande Guerra, armatore, creatore del porto industriale di Marghera, presidente dell’ILVA, industriale, Commissario Generale dell’Esposizione Universale di Roma del 42, ministro delle Comunicazioni nell’ultimo gabinetto Mussolini, deportato a Dachau, dopo la guerra creatore della Fondazione Giorgio Cini a Venezia). La fabbrica di Tamsa in Messico. Negli anni successivi le due fabbriche furono ampliate con l’installazione di due acciaierie ed altri laminatoi.
Agostino Rocca fu nominato Cavaliere del lavoro nel 1966: qualcuno si era accorto di lui perfino in Italia, dopo vent’anni che l’aveva lasciata. Col passare del tempo la Techint, nata come società di ingegneria, si è trasformata in una multinazionale operante su vari continenti. Il quartier generale è rimasto a Buenos Aires, i centri operativi e progettuali sono dislocati in vari Paesi, l’Italia ha mantenuto una forte presenza progettuale e industriale a Milano e a Bergamo. La società si occupa sempre più di promuovere, finanziare, progettare, realizzare e gestire grandi impianti industriali, soprattutto nel campo della siderurgia.
Dopo la creazione di Techint Argentina sono nate filiali dappertutto. Ma già nel 1952 l’ing. Rocca aveva costituito una holding per coordinare le varie società (almeno una ventina) dislocate in America e Europa. Di qui in poi è una serie di successi.

7. Le lezioni della vita professionale di Agostino Rocca
Della vita professionale dell’ing. Agostino Rocca sappiamo quasi tutto, della sua vita privata non sappiamo quasi nulla. O, meglio, sappiamo ciò che abbiamo raccontato della sua adolescenza, dei suoi desideri di indipendenza, del perché si iscrisse alla Regia Accademia Militare, delle sue avventure durante la grande guerra, del perché aderì al fascismo fino al momento in cui si laureò in ingegneria e si sposò.
Poi, quasi più nulla, salvo la parentesi della seconda guerra mondiale e delle sue terribili disavventure con i tedeschi occupanti. E men che meno sappiamo quale sia stata la natura del demone che lo ha spinto tutta la vita a lavorare con grande determinazione per raggiungere risultati pratici eccezionali: desiderio di emulare il suo trisnonno Gio Batta, desiderio più o meno inconscio di riscattare il fallimento di suo nonno e dei suoi fratelli o solo un’incredibile capacità di darsi un obiettivo e di lavorare solo per questo? Non si saprà mai. Della sua vita privata sappiamo solo che lui è stato un marito e un padre quasi sempre assente, per aver privilegiato il lavoro, ma che nelle notti insonni di Buenos Aires scriveva spesso lunghe lettere alla moglie rimasta in Italia. Sappiamo che gli piaceva la musica, sappiamo che per decenni ha vissuto lavorando più di quattordici ore al giorno, poi abbiamo scoperto che era anche un appassionato alpinista: ciò significa che trovava anche il tempo per fare qualcosa non strettamente legato alla sua incredibile attività professionale.
Ma non sappiamo nulla sulle sue qualità umane più profonde, così come non conosciamo quelle del suo trisnonno Gio Batta, se non per il
suo testamento spirituale, per la terribile disavventura della quasi fucilazione e soprattutto per essere stato il motore che, nel Settecento, portò una famiglia sconosciuta di Loano a diventare una grossa azienda commerciale e armatoriale, accumulando alla fine una ricchezza strepitosa, fino a scomparire quasi all’improvviso intorno al 1860.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in fondo, chi scrive un libro come questo non dovrebbe preoccuparsi più di tanto di certe qualità umane. E sarebbe vero, se non fosse per alcune ragioni serie: la prima sta nell’esemplarità che abbiamo affibbiato alla famiglia Rocca fin dall’inizio; la seconda sta nel fatto che chi ha conosciuto Agostino Rocca ne parla con stima e con affetto anche quarant’anni dopo la sua scomparsa. Agostino Rocca aveva qualità umane eccezionali, la gente amava lavorare con lui perché lui riconosceva il merito dei collaboratori e con lui ciascuno, fosse ingegnere o operaio, si sentiva parte del gruppo. La terza, collegata alla prima, è che di persone note, potenti, arricchite e capaci di raggiungere certi risultati, ma concentrate solo sul proprio interesse a tutti i costi, non ne possiamo
proprio più. L’idea stessa che si possa avere un grande successo, non tanto per le proprie qualità positive quanto per la propria mancanza di scrupoli ci sta diventando sempre più inaccettabile. L’idea che non ci si possa affermare – nel mondo degli affari, in quello dell’arte, in politica, in qualsiasi professione – se non si è disposti a qualunque compromesso, è tanto più insopportabile in quanto corrisponde singolarmente ai modelli più deteriori dei potenti di ogni tempo.
E abbiamo scritto questo libro proprio sperando, supponendo, immaginando di trovare nei nostri protagonisti qualcosa di diverso dal solito. Nei Rocca della famiglia n° 9 dell’Ottocento, dopo aver consultato quintali di documenti, ci è parso di averlo trovato, sia nel successo che nel fallimento. Perché in fondo ci è piaciuta la stessa idea che i Rocca possano essere falliti per non essere riusciti a fronteggiare drammatiche evoluzioni del mercato e per l’idealismo che li ha fatti finanziare Garibaldi: perché questo è ciò che accade alle persone serie, abili, capaci, di fronte alle difficoltà per le quali non sono preparate. Per i malandrini, invece, la faccenda è del tutto diversa.
Si direbbe che Agostino, passato indenne e indomito attraverso due guerre mondiali e arrivato al massimo successo dopo aver superato l’accusa di aver patrocinato l’acciaieria di Cornigliano danneggiando l’economia italiana, sia stato più forte e coraggioso di Gio Batta, rimasto distrutto dall’esperienza della “quasi fucilazione”.
E, indubbiamente, le scelte iniziali di Agostino, quella di fare la carriera militare e quella di battersi in guerra, più la sua passione per le scalate in montagna e per la roccia, sembrano dimostrare un coraggio e un amore del rischio fisico difficili da riscontrare tra i suoi antenati. Dei quali, forse, si può dire che il maggior rischio lo correvano in mare, al comando dei loro bastimenti, ma in un contesto storico in cui questo rischio era parte della vita di tutti i giorni, per chiunque facesse il loro mestiere.
Lo stesso abbandonare l’Italia per l’Argentina, pur con tutti gli appoggi, le conoscenze, l’esperienza tecnologica e la preparazione scientifica di Agostino, sembra molto più coraggioso dello sviluppo che Gio Batta aveva saputo dare ad un’azienda tutto sommato esistente, quasi senza muoversi da casa e con l’appoggio di quattro fratelli.
Peccato solo che la decisione di creare proprio sul mare di Genova uno stabilimento industriale di queste dimensioni abbia contribuito a danneggiare drammaticamente una zona che meritava un pieno rispetto e che non potrà mai più essere come prima. Peccato che nessuno se ne sia accorto, che tutti abbiano seguito l’onda del momento, che nessuno abbia suggerito di fare l’acciaieria altrove, per esempio in un luogo come Piombino dove il danno era già stato fatto. Peccato che questo danno immenso sia stato un sottoprodotto dell’idea dell’acciaio a tutti i costi, che non era indispensabile produrre lì e che era transeunte – così come i fatti hanno dimostrato – mentre era facile immaginare che il danno sarebbe stato permanente.
E qui torna il collegamento con l’Italia e la sua storia, quello che ho iniziato nelle prime righe di questo volume, il motivo per il quale ho scritto di considerare la famiglia Rocca n°9, più che unica, paradigmatica: perché l’Italia. Prima e dopo l’unità, ha sempre vivacchiato tra miserie e sogni di grandezza di qualche poeta, senza mai emergere davvero, come i Rocca prima di Gio Batta. E come quelli tra Agostino zio e Agostino nipote.

L’irredentismo che spingeva Agostino Rocca e la sua voglia di riscatto contro gli Stati stranieri che si sentivano superiori anche perché
lo erano, ha trovato la sua prima affermazione con la prima guerra mondiale e con il fascismo, contribuendo all’illusione di essere diventati
importanti mentre non lo eravamo. La catastrofe della seconda guerra mondiale ci ha tolto ogni illusione fino all’inopinato miracolo italiano, qualcosa che, con le debite proporzioni, rassomiglia al miracolo Rocca del Settecento. Ma l’irredentismo, la fiducia in noi stessi, l’autostima no, non sono mai risorti.
E dopo, tra disaccordi e miserie non solo politiche, il tutto si annacqua fino al quasi fallimento italiano del 2011 e degli anni successivi: perché questo èstato. E oggi molti di noi non credono possibile nessuna rimonta. Perché sono convinti che, anche quando avremo davvero riacceso i motori, continueremo ad essere quelli di prima: l’antitesi della professionalità, l’antitesi della meritocrazia, l’esaltazione del pagliaccismo, del qualunquismo, delle chiacchiere, dell’impreparazione, della corruzione, della raccomandazione. Perché, per disgrazia, non abbiamo ancora trovato un Agostino Rocca, e lo stiamo ancora aspettando anche se non lo sappiamo. Perché non abbiamo avuto un
De Gaulle né un Churchill e nemmeno un Francisco Franco, mentre siamo stati scottati e bollati a morte da Mussolini. E senza un emulo di Agostino Rocca non riusciremo a andare da nessuna parte.
Ecco perché è importante riuscire a dare il peso giusto alle qualità umane dell’uomo. Perché, in mancanza di queste qualità, corriamo sempre il rischio di adorare un nuovo Mussolini o un redivivo Napoleone: non un Hitler, per fortuna, per motivi di incompatibilità ambientale. Ebbene, Agostino Rocca, prima nella sua scalata anteguerra ma soprattutto nella sua rivoluzione personale dopoguerra, ha indicato una strada che può valere anche per l’Italia, purché s’impari la lezione. Perché il successo vero non è mai basato sulla meschinità e sulla voglia di arrivare senza pagare il conto: è sempre e solo la conseguenza della consapevolezza di quanto salato sia il conto e soprattutto
di quanto duro sia l’impe gno.
La prima lezione di Agostino Rocca (ma anche quella del suo trisavolo Gio Batta) è proprio l’impegno in vista di un obiettivo.
Ma la seconda lezione è quella di qualificarsi professionalmente. Agostino lo ha fatto diverse volte, una come ufficiale, una come ingegnere, una come dirigente d’aziende sempre più importanti, una come imprenditore.
Noi, in Italia, non combineremo mai nulla di buono se prima non faremo scuole per formare adeguatamente chi deve governare, e se non manderemo obbligatoriamente sindaci ed amministratori a scuola, prima che inizino a lavorare. È una necessità. L’idea che non ci si possa candidare a un incarico di governo, per modesto che sia, senza avere superato un corso di studi adeguato, è indispensabile, anche se in questo momento sembra una follia. E lo sembra persino da parte di chi accetta, come cosa naturale, che per fare il medico, l’ingegnere,
l’avvocato o il commercialista si debba aver superato un faticoso corso di studi. Credere che si possa svolgere bene un incarico di governo, per mo desto che sia, senza avere una preparazione adeguata dipende solo da un equivoco su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere una democrazia. La terza lezione di Agostino Rocca è che nessuna professione è così creativa come quella dell’ingegnere: sembra che lo dicesse lui e, da ingegnere, su questo punto preferisco non aprire un discorso con nessuno, per non rischiare di essere massacrato.
I Rocca del Novecento, quelli della “infeudazione” di Agostino, sembrano aver applicato bene tutti i punti di cui sopra.
8. I Rocca ai giorni nostri: Techint e molto di più.
Agostino Rocca morì in Argentina nel 1978, passando la mano al figlio Roberto che ampliò ancora il gruppo ma lavorò solo fino 1993, quando lasciò il testimone al figlio Agostino, a sua volta deceduto nel 2001 in un incidente aereo in Patagonia. Il suo posto è stato preso dai suoi due fratelli,
Gianfelice e Paolo.
La preparazione culturale degli attuali presidenti del gruppo sembra tra le migliori che esistano nel mondo di oggi. Gianfelice Rocca che, oltre ad essere il presidente del Gruppo, si occupa soprattutto delle attività facenti capo a Milano (la grande impiantistica siderurgica e l’attività ospedaliera) è laureato in fisica ed ha un master in PMD (Program for Management Development)
alla Harvard Business School di Boston.

Paolo Rocca invece, che segue soprattutto le attività sudamericane ed è presidente di Tenaris, è laureato in scienze politiche a Milano, anche lui ha un master conseguito alla Harvard Business School e, prima di
entrare nel gruppo, ha lavorato per cinque anni alla Banca Mondiale. Sono preparazioni eccellenti che, per funzionare, hanno bisogno di essere applicate a individui eccellenti: io ho conosciuto personaggi, dotati di un master di Harvard o di Stanford, che essendo insulsi di natura sono rimasti tali nonostante il loro master. Ma, a quanto sembra di capire, in questo caso stanno funzionando.
Gianfelice è presidente di Techint dal 1997, è stato vicepresidente di Confidustria con delega all’educazione dal 2004 al 2012, da qualche
anno è presidente di Assolombarda. È stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2009 ed ha appena pubblicato il libro “Riaccendere i motori: innovazione, merito ordinario, rinascita italiana”, edito da Marsilio nel marzo 2014.
Techint fino agli anni Ottanta si è occupata soprattutto di produzione di tubi di acciaio e laminati piani, si è dedicata a realizzare raffinerie, impianti petrolchimici ed acciaierie. Le sue attività nel settore dei tubi in acciaio sono state raggruppate all’inizio del 2000 nel nuovo gruppo Tenaris, costituito in Lussemburgo.
Negli anni novanta Techint è entrata direttamente nell’esplorazione e produzione di petrolio, con diritti di sfruttamento in diverse aree dell’America Latina. In Italia ha partecipato alle privatizzazioni degli anni Novanta, con l’acquisizione, oltre che della Dalmine, di alcune attività dell’Italimpianti e della SIV, Società Italiana Vetro.
Techint è stata fondata nel 1945 a Milano da Agostino e Roberto Rocca come una delle prime società di ingegneria in Italia, con il nome di Compagnia Tecnica Internazionale. Sin da subito inizia l’espansione in Argentina e in altri Paesi dell’America Latina, dove la società concepisce e realizza impianti industriali, progetti infrastrutturali, reti di gasdotti e oleodotti legati alle scoperte di giacimenti di
idrocarburi, raffinerie, impianti petrolchimici e siderurgici.
Negli anni cinquanta il gruppo avvia l’attività industriale nel settore dei tubi in acciaio: in Argentina, fondando Dalmine-Safta, poi Siderca, oggi TenarisSiderca, e in Messico partecipando alla creazione di Tamsa, oggi TenarisTamsa. Negli anni sessanta il gruppo fonda in Argentina Propulsora Siderurgica che entra in funzione nel 1969. Questa azienda è il nucleo storico dell’attuale Ternium, attiva nel settore dei prodotti laminati piani e di cui oggi è leader globale.
Nel 1981, con la creazione di Tecpetrol, fa il suo ingresso nel settore della produzione, trasporto e distribuzione di idrocarburi e in quello della produzione di energia. Con l’espansione dell’azienda argentina Siderca, Techint entra nel mercato internazionale dei tubi senza saldatura, espandendosi rapidamente dal Giappone agli Stati Uniti, fino alla nascita nel 2002 di Tenaris. Dagli anni novanta, nel solco dell’originaria vocazione nel settore dell’ingegneria e impiantistica, il gruppo integra nomi storici dell’industria italiana come Italimpianti, Tagliaferri e Pomini e nei decenni successivi altre acquisizioni in Germania, Cina, Messico, India, Sud Africa e Stati Uniti conducono
alla nascita di Tenova che offre a clienti globali tecnologie a basso impatto ambientale in campo siderurgico e soluzioni avanzate per il trasporto di carbone e minerale di ferro.
Infine, con la creazione di Humanitas, nel 1996 il gruppo fa il suo ingresso nel settore healthcare.

Filippo Bonfiglietti


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