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Intervista/Carla Glori ricercatrice in arte, laurea in Pedagogia e Filosofia. Le sue scoperte sulla Gioconda. La morte di Bianca? Un giallo storico. I poeti e i miei ricordi. E Savona oggi? Tante potenzialità imbrigliate


Carla Glori, savonese, ricercatrice in arte, laureata in pedagogia e filosofia, studiosa dai variegati interessi – artistici, poetici, storici, filologici – estrosamente poliedrica. Fra le sue scoperte, ha identificato la donna effigiata nella leonardesca Gioconda, ed il paesaggio in quel di Bobbio.

di Gian Luigi Bruzzone

Lei è savonese. Ci parli dei suoi rapporti con Savona.

Carla Glori al Priamar di Savona

Di Savona apprezzo soprattutto il “carattere ligure“, chiuso e un po’ spigoloso, che ha assecondato il mio senso di non appartenenza. Il mio legame principale con la città è rappresentato dal mare, e quando sono altrove (per la maggior parte del tempo in Piemonte) la visione del mare si sovrappone fino a confondersi con quella della città. Anche se vivo distante da Savona, questa identificazione col mare rappresenta un legame costante e molto profondo con la città…Dovendo poi esprimere un parere su Savona dal punto di vista socioculturale (che è quello per me più interessante), credo che le sue potenzialità siano ampiamente sottovalutate e perfino “imbrigliate“, ma questo è un discorso complesso, che esula dal tema dell’intervista.

Com’è sbocciata la sua poliedrica passione, così ad ampio raggio, per la letteratura, per la critica d’arte e via snocciolando?

Alla base della mia “poliedrica passione”, come la definisce, c’è sempre stata la poesia. Oggi, di gran lunga più che in passato, si è portati a concepirla una dimensione obsoleta della cultura, che sopravvive soltanto come frazione residuale del “mercato del libro” in crisi. Ma paradossalmente l’inattualità della poesia costituisce una sfasatura, una disconnessione rispetto al nostro tempo, che consente di cogliere gli aspetti della contemporaneità che quelli che ci vivono “immersi dentro” non possono vedere. Viviamo in un multiverso entropico in cui “la seduzione scientifica ha sostituito quella immaginativa » e per me la poesia e la critica letteraria restano l’estrema ratio per sfuggire alla «disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo » (il corsivo è tutto di Elsa Morante). Volendo andare più in profondità, è il rapporto della poesia con la « vita vera » quella che mi ha spinto a coltivarla negli anni, e a tornarci dopo periodici tradimenti.

Lei frequenta ed è amica di uno stuolo di poeti…

Questa domanda mi fa tornare in mente un mondo che non c’è più. Purtroppo devo rispondere con il tempo dei verbi al passato, perché quelli che conoscevo in massima parte se ne sono andati. A cominciare da Roberto Roversi, maestro e amico per un ventennio, ma ben prima, ancora ragazzina, ricordo gli incontri nella redazione di “Alfabeta” con Antonio Porta, e anche gli incoraggiamenti avuti da Luciano Anceschi. La mia versione inglese di “Umana Commedia/Human Comedy” (che sto oggi ripubblicando alquanto “riveduta e rinnovata”) nel 2000 è uscita con le presentazioni di Barbara Lanati e Rebecca West e al riguardo avevo pure una lettrice d’eccezione la mia amica Jacqueline Risset (traduttrice in francese della divina Commedia). Sono una pessima anglista, ma le mie letture di Eliot avevano il sostegno amicale del suo “traduttore personaleRoberto Sanesi. E poi ricordo la gentilezza di Giovanni Raboni e Alfredo Giuliani…. Ma mi fermo, perché l’elenco sarebbe ancora lungo. Al di là di queste memorie, sto ultimamente ri-pubblicando in autonomia le mie vecchie opere alla luce di una riflessione critica su Novecento e contemporaneità, e sono molto inquietata dallo spettro del futuro.

Com’è passata dalla passione letteraria alla ricerca in arte?

Sono specializzata in metodologia della ricerca e per quanto riguarda l’ambito artistico ho operato nei laboratori universitari di attività sperimentali di via Maria Vittoria diretti da Piero Simondo, indiscusso pioniere dell’arte come ricerca. Allievo di Felice Casorati e stretto amico di Pinot Gallizio, con Ansger Jorn era stato fondatore, insieme al mitico Guy Debord, dell’Internazionale Situazionista. Le parlo di una stagione ormai lontana, in cui da Palazzo Nuovo ho visto volare gli ultimi Sanpietrini del ’68: era una Torino allora culturalmente molto vitale. Questo versante anti-accademico e sperimentale della ricerca, integrato con approfondimenti in storia dell’arte rigorosi, mi ha poi permesso di avvicinarmi con occhio disincantato e libero da sovrastrutture dogmatiche, ma anche attento agli apporti della tradizione, alle opere di Leonardo, un personaggio che – stando anche a quanto lui stesso scrive – con l’Accademia aveva poco da spartire.

Che cosa l’ha attratta di Leonardo, oltre al suo controverso rapporto con l’Accademia?

La sua originalità e il suo talento poliedrico si profilano già nella lettera di presentazione al Moro del 1482, un eccentrico « curriculum » in cui – per essere assunto – accampa la primaria competenza quale ingegnere militare e in subordine le sue doti artistiche, prospettando allo Sforza la creazione di un monumento equestre in onore del di lui padre Francesco. Primo duca di Milano (che suo malgrado non potrà mai portare a termine). Lo muove la necessità di trovare un lavoro dignitoso in una città in cui (nonostante il lungo apprendistato presso la prestigiosa bottega del Verrocchio) arriva senza le rituali raccomandazioni e privo di titoli da far valere.

In realtà a corte Leonardo veniva impiegato in una pluralità di ruoli : regista e creatore di costumi per feste ufficiali e tornei, scenografo teatrale, musicista, inventore nei più disparati campi… Intanto portava avanti commissioni prestigiose come la Vergine delle rocce e il Cenacolo, e dipingeva i ritratti della Dama con l’ermellino, della Belle Ferronnière e – come ho dimostrato apportando le evidenze del caso – la stessa Gioconda (che ho datato 1496 e anni seguenti). A Milano iniziò pure gli studi di anatomia e si interessò di progetti di architettura. Come non bastasse, le recenti scoperte fatte sugli icnofossili del Codice Leicester pure negli immmediati dintorni del castello di Bobbio, lo hanno identificato quale precursore nel campo della paleontologia. Aveva una biblioteca di centinaia di volumi, (anche classici latini e tomi scientifici), ma si definiva «omo sanza lettere». Nonostante i suoi meriti, restava escluso dalla cerchia elitaria dei sapienti, a proposito dei quali nel Codice Atlantico scrive «quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliono concedere». E per giunta a corte era mal pagato, come lamenta in un suo scritto (dal Moro non ottenne che la famosa vigna).

Dopo la fuga da Milano Leonardo si ritrovò tormentato da problemi economici e bisognoso di lavorare, per cui iniziò una vita erratica accettando disparati incarichi e commissioni. Quello che lega l’insieme eterogeneo delle sue attività (secondo la mia chiave di lettura) è l’enigma: in un saggio l’ho definito «artefice e testimone dell’enigma» perché sotto il profilo scientifico aspira a una « teoria del tutto » mentre in arte l’enigma traspare visibilmente dai ritratti e dalle figure sacre… ma ancor prima è un tratto della sua personalità.

Part, del Cenacolo
Il ritratto di profilo di Leonardo attribuito all’allievo Melzi 

Le sue scoperte sulla Gioconda sono ormai assodate, in particolare circa il suggestivo e riposante paesaggio bobbiense da lei identificato sullo sfondo del ritratto del Louvre

Su questo punto avrei molto da dire, ma non vorrei dilungarmi troppo. Premetto che il paesaggio bobbiese, oggi verdeggiante di vegetazione, all’epoca di Leonardo era brullo e selvaggio. La città era ricchissima di acque, e la natura in parte calanchica e in parte ofiolitica delle rocce dovevano suscitare il suo interesse sotto l’aspetto geologico e artistico. Agli occhi del turista la Bobbio di oggi è più attraente, ma ha perso l’aura di quel tempo. Restano le chiese con le memorie leggendarie di san Colombano, i suoi palazzi ricchi di storia e molto altro…Tuttavia il paesaggio non può più coincidere con quello dipinto sullo sfondo. Ho potuto identificarlo e localizzarlo quale paesaggio della Gioconda nel contesto di una teoria organica, falsificabile e confutabile in ogni suo punto. Tralascio di scendere nei particolari, ma tutti e tredici elementi paesaggistici e architettonici del dipinto che ho individuato sono provati esistenti nel paesaggio reale e la loro collocazione spaziale nel quadro è conforme a quella che hanno o che certamente avevano (come da documentazione d’archivio) nella realtà.

E circa l’identificazione della donna ritratta?

Anche l’identificazione della modella in Bianca Giovanna Sforza, la primogenita del Moro, ha fondamenti storici e biografici radicati in Val Trebbia, fin dentro il castello (ovvero la roccaforte dei Dal Verme espropriata dal Moro) dove, sulla facciata di nord est, ho individuato il “punto di vista” sul paesaggio. Leonardo conosceva Bianca fin da bambina e il marito di lei. Galeazzo Sanseverino era il suo mecenate. Dopo gli sponsali del 1489, entrambi divennero i destinatari delle terre vermesche espropriate nel 1485 tramite l’avvelenamento del conte di Bobbio, Pietro Dal Verme, su ordine del Moro. Bianca morirà giovanissima il 23 novembre (anniversario della morte di San Colombano), dopo cinque mesi dal matrimonio con Galeazzo, avvenuto nel giugno del 1496. Intorno a quella morte sospetta aleggia un giallo storico insolubile, che vede Francesca Dal Verme, figlia illegittima del conte Pietro, a sua volta imputata di avvelenamento in un intrigo di corte che riconduce ancora alla faida Sforza-Dal Verme.




IMBOCCO STRADA A “S” PONTE LEVATOIO A NORD IL PONTE GOBBO aveva 5 archi e uno crollato

Complessivamente si tratta di una teoria scientifica fondata, ma, attenendomi a Popper, allo stato attuale (in mancanza della “prova regina”) non sarebbe corretto farla coincidere tout court con la verità, tanto più che nella Gioconda Leonardo sembra aver congegnato il suo enigma più impenetrabile, che comprende perfino la lavorazione del quadro, dato che sotto la dama del Louvre ha ritratto la vera giovanissima Bianca Sforza, ovvero la modella originaria del ritratto. La scoperta scientifica fatta con tecnologia multispettrale da Pascal Cotte e da lui pubblicata nel 2015, conferma la predizione da me fatta nel 2010 circa una modella più giovane sottostante il ritratto che vediamo (tranne che Cotte interpreta diversamente l’identità delle “due modelle”). Insomma, quel quadro continua a rivelarsi una matrioska di enigmi: ne sciogli uno e ne nascono altri cento..

Chi la intervista era amico del Prof. Giorgio Costamagna, esperto mondiale di criptografia: anche Lei è appassionata di codesto filone: perché?

Costamagna,oltre che massimo studioso di notariato, era coltissimo in molte discipline , capace di sconfinamenti in territori disciplinari che andavano dalla paleografia alla filosofia, alle questioni epistemologiche, perfino alla linguistica strutturalista, e la sua investigazione sui frammenti notarili non trascurava neppure il ricorso ai fori lasciati dai tarli, alle macchie e alle lacerazioni marginali. I suoi studi sulle scritture segrete e cifrate sono monumentali. Rispetto a lui sono una dilettante. Molto più modestamente mi sono occupata di crittografia in uso presso le cancellerie e le corti del Rinascimento, con particolare attenzione a quella degli Sforza, dove le spie abbondavano, soffermandomi ovviamente sulla figura di Cicco Simonetta e senza trascurare la moda cortigiana dei messaggi segreti amorosi.

Nelle corti del Rinascimento, il mondo del gioco e della divinazione era centrale nella vita sociale e artistica. La civiltà delle corti aveva tempi lunghi e lenti da riempire. I poeti e gli artisti al servizio dei signori inventarono il libro delle sorti, che amo ricordare perché ha a che fare con Aby Warburg, lo storico dell’arte che ritengo più vicino a quel mondo in cui la razionalità logica e matematica si si contaminavano con la componente ludica e la divinazione. Leonardo viveva in questo contesto e la decifrazione dei suoi cartigli da me operata ne porta il segno. È un contesto di ricerca affascinante. Anche un matematico come Pacioli, grande amico di Leonardo, ne era coinvolto. I suoi giochi linguistici e matematici sono famosi. Nel Doppio ritratto di Luca Pacioli con Allievo, (che è nel Museo di Capodimonte di Napoli), il francescano è davanti a un rombicubottaedro appeso a un filo e sulla sua “Summa” con la copertina rossa è posato un dodecaedro: in linea col suo tempo, anche lui assegnava ai poliedri significati filosofici e cosmologici.

Doppio Ritratto di Luca Pacioli e Allievo, Museo di Capodimonte ( J. de Barbari, attribuito con riserva)
Nella sede del Collegio dei ragionieri di Savona (ne dovetti redigere la storia, anni or sono) ogni stanza ostende un ritratto di Luca Pacioli! È un suo cavallo di battaglia, non è vero?

Purtroppo Pacioli, grande amico di Leonardo, anziché un cavallo di battaglia rappresenta la mia sconfitta. Sul suo ritratto di Napoli – in cui ho identificato nell’Allievo al suo fianco proprio Galeazzo Sanseverino, che fu mecenate di Leonardo e Pacioli e marito di Bianca (la Gioconda) – ho fatto una scoperta inimmaginabile. Sul tavolo, in un angolo, c’è un piccolo cartiglio con una mosca ributtante e una iscrizione criptica, da alcuni scambiata con la firma di Jacopo de Barbari. Da quella iscrizione alfabetica ho decrittato quattrocento anagrammi perfetti dotati di senso compiuto tutti contrassegnati VINCI. Gli anagrammi perfetti hanno i requisiti dell’esperimento, ovvero la ripetibilità e la riproducibilità e tutti quelli ricavati dall’iscrizione, se si associano insieme ricostruiscono le vicende della famiglia Sforza nel 1495 (la data del cartiglio) coi nomi dei personaggi. Insomma quello è un “quadro parlante” (analoga scoperta l’avevo fatta sul cartiglio del ritratto di Ginevra Benci di Leonardo decrittato con lo stesso metodo).

Le evidenze sono tali da attribuire il cartiglio a Leonardo, e altre analisi fatte sul quadro riconducono all’apporto della sua bottega. Ebbene, mentre dall’Australia il ricercatore Jerzi Kulski, mi ha dedicato il suo libro “Leonardo da Vinci and the Pacioli Code”, in Italia nessuno ha preso seriamente questa scoperta, che sarebbe per una città non certo florida come Napoli (e non solo) un apporto incalcolabile dal punto di vista culturale, turistico e socioeconomico, poiché quel quadro è proprietà pubblica, dello Stato (se fosse stato proprietà di qualche miliardario le cose sarebbero andate del tutto diversamente).

II cartiglio di Capodimonte con l’iscrizione IACO.BAR.VIGEN/NIS P.1495 e la mosca

 

Nella sua prestigiosa e – se mi consente – anche impegnativa produzione scrittoria, che cosa si propone?

Dopo aver rivisitato e ripubblicato i miei libri di poesia (cui sto lavorando), vorrei chiudere con il “grande romanzo”, ma non so se ne avrò il tempo.

Il suo Leopardi

Il mio Leopardi è quello delle Ricordanze, di tutte le sue malinconiche lune, dell’Ultimo canto di Saffo, di A Silvia e, ovviamente, della Ginestra. Ma è anche quello ribelle, “scappato di casa”, animato da uno sconfinato desiderio di gloria, e nel profondo disperato. Capace di sopravvivere nella Napoli che lo aveva disilluso, respingendolo dalle sue cerchie intellettuali, e in cui trovò perfino detrattori che lo chiamavano “ravanuottolo”. Il Giacomo golosissimo, che andava pazzo per i tarallini del barone Vito Pinto, famoso sorbettaio di Napoli, del quale divorava i gelati al “Coloniali” di via Toledo, mentre era solito degustare caffè zuccheratissimo al Caffè delle Sicilie. Mi stringe il cuore se lo penso nel suo unico consunto soprabito verde che, insieme a poche ossa, gli trovarono nella tomba. E mi ha fatto male al cuore vederlo tradito e irriconoscibile nel film di Martone, soprattutto in quella sequenza gratuita, inventata…Un film pluripremiato, il che rispecchia lo stato in cui è ridotta oggi la cultura.

Giacomo Leopardi
Antonia Pozzi
Emily Dickinson
Sylvia Plath

 

Il mio poeta preferito…

Sono tre donne; Antonia Pozzi, sulla cui produzione poetica ho già scritto molto e su cui ho in progetto un articolo sul suo inedito “saggio su Huxley”; Sylvia Plath, genio dissacrante e visionario senza confronti ed Emily Dickinson, più misteriosa e modernamente disinibita di quanto si crede.

Che cos’è la felicità?

Non lo so proprio!

Un progetto accarezzato

Se per progetto intende la realizzazione di un obiettivo che mi sta particolarmente a cuore, ce ne sono alcuni, non uno in particolare. Ma l’entusiasmo oggi è fuori luogo, e l’idea di un futuro in cui si invera il peggio delle profezie di Huxley e Orwell non mi sembra affatto improbabile.

Domani...

Domani è comunque sempre “un altro giorno”…

Grazie, cara Dottoressa, per aver accolto con entusiasmo le mie domande. Le auguro di reperire quei documenti cui aspira, nonché giorni ricolmi sempre di ore serene e fruttuose.

Gian Luigi Bruzzone


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