Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Savona, San Giuseppe Marello. Fondò due congregazioni. Fu vescovo di Acqui. Le sue virtù, beatificato da Papa Giovanni Paolo II


Giuseppe Marello nato in Torino il 26 dicembre 1844, figlio di Vincenzo e di Maria Viale, ebbe un particolare rapporto con la patria di Gabriella Chiabrera.

di Gian Luigi Bruzzone

San Giuseppe Marello

A premio del buon esito degli studi e dell’indole quanto mai amorevole e rispettosa – Giuseppino era rimasto orfano della madre, morta un anno dopo la nascita del secondo figlio Vittorio, nel 1848 – il padre portò il primogenito a Savona. Correva l’anno 1856, quando Giuseppino aveva concluso felicemente il corso delle scuole elementari. Partirono da San Martino Tanaro (oggi San Martino Alfieri) dove la famiglia si era trasferita da Torino, per Asti e salivano sul treno per Genova. Qui si servirono di una diligenza per Savona non esistendo ancora la strada ferrata. Da tanto traffico si arguisce che la meta fosse proprio Savona ed in particolare il Santuario della Misericordia, allora fra i più noti dell’ecumene cattolico, dopo quello di Loreto.

Viaggio rimasto indelebile nella memoria del Nostro. Egli ammirò paesaggi a lui fino allora sconosciuti e vide il mare per la prima volta. Non solo, ragazzo metodico e bramoso di conoscere, si era informato sulla storia sabazia dove era ancora fresca la vicenda di Pio VII prigioniero nell’episcopio dal tiranno d’Europa. Lo dimostra il fatto che appunto visitarono sia l’episcopio sia il Santuario: meta consapevole della gita. Desta meraviglia che tanto il palazzo vescovile, quanto il Santuario saranno gli ultimi locali veduti dal Marello moribondo, come vedremo fra poco.

Sceso nella bellissima cripta del santuario, il fanciullo «nella mistica penombra del tempio, ai piedi del miracoloso simulacro della Vergine, versò le prime lacrime d’amore, formulò le prime promesse e fece la prima offerta di se stesso alla Madonna, che poi sempre amò con tenerezza e filiale devozione». Così Filippo Berzano, La vita del Servo di Dio Mons. Giuseppe Marello, vescovo di Acqui, fondatore degli Oblati di S. Giuseppe, Asti, tip. S. Giuseppe, 1929, p. 25). Un altro biografo, con enfatiche espressioni scrive così «Nella suggestiva cripta del santuario, sotto lo sguardo pietoso della Vergine taumaturgica, il cuore buono di Giuseppe tutto si diffuse nei più soavi affetti di devota riconoscenza, di filiale abbandono, di tenerissimo amore. E la Vergine Santa, rapita ai teneri sfoghi di quel cuore innocente, li ricambiò con preziosi doni celesti e grazie di vera elezione, invitando il caro fanciullo a seguire Gesù più da vicino, nello stato sacerdotale, nell’apostolato per la gloria di Dio e la salvezza delle anime; anzi fece sentire al cuore di Giuseppe che da quel momento Ella lo prendeva sotto la sua speciale protezione, e si assunse fin d’allora il pietoso incarico di essere a lui guida, sostegno, conforto nei travagli e nelle prove della vita, di assisterlo potentemente nella missione a cui Il Signore per suo mezzo lo chiamava, di proteggerlo sicuramente contro tutti pericoli del mondo e gli assalti dell’inferno, e di ricondurlo un giorno, dopo un dovere fedelmente adempito, dopo la missione eroicamente compiuta, pieno di virtù e di santi meriti, là ai suoi piedi, ricevere dalle sue mani verginali il premio delle sue fatiche, la corona immarcescibili di gloria, che è promossa a chi ha legittimamente combattuto da prode soldato, da valente capitano di Cristo. Giuseppe si levò dai piedi della Vergine, piena la mente di un sublime ideale, il cuore acceso di un’ardentissima fiamma, il petto armato di un saldo proposito: sarò sacerdote e sacerdote santo». (Angelo Rainero, Biografia del venerabile Servo di Dio Giuseppe Marello, III ed., Asti, s.d., pp. 9-10; I ed. 1937).

Quanto al mare, ne rimase talmente impressionato da sceglierlo per lo stemma, da lui stesso disegnato, allorché sarà creato vescovo, insieme con una stella, la sigla AM e col motto «Iter para tutum», verso tratto dall’inno Ave maris Stella. Il mare è richiamato dalla sigla mariana ed allude altresì al cognome Marello. Un’altra sorprendente curiosità: Mgr Gian Battista Parodi (1899-1995), non dimenticato vescovo di Savona e Noli negli anni 1948-74, scelse uno stemma pressoché identico motto compreso, dove peraltro il para richiama il cognome Parodi! (nell’araldica episcopale è consuetudine infatti scegliere un motto che riprenda almeno parte del cognome).

Una scappata a Savona avvenne nell’ottobre del 1867, passando per Millesimo, ossia questa volta in omnibus, anche questa volta rimase estasiato dal mare burrascoso e visitò il Santuario della Misericordia: lo testimonia una lettera senza nome del destinatario a quella altezza cronologica (Epistolario, lettera XVI, p. 93). La Vergine della Misericordia accompagnò il Nostro per l’intera esistenza.

Il Marello continuò gli studi con ottimi risultati, seguirà la vocazione sopra menzionata, sarà ordinato sacerdote in Asti il 19 settembre 1868 in anni quanto mai agitati per la storia d’Italia. Stimato dai superiori, fu scelto da Mons. Carlo Savio vescovo di Asti quale suo segretario fino alla morte del presule venuta l’anno 1881; lo accompagnò al Concilio Vaticano (I) in Roma dove rimase per otto mesi, alloggiato nel palazzo apostolico del Quirinale rimanendo conquiso dalla città eterna. Durante questo soggiorno parlò a più riprese – fra gli altri – con Mons. Gioacchino Pecci, allora arcivescovo di Perugia e futuro Leone XIII dal quale sarà definito «una perla di Vescovo». Nel 1877 il Marello fondava la Congregazione di San Giuseppe, poi congregazione degli Oblati di San Giuseppe, cancelliere della curia dal 1874, canonico della cattedrale di Asti dal 1882. Ma, è intuibile, le doti dimostrate non poterono – suo malgrado – non attirare l’attenzione dei superiori che ne proposero la nomina vescovile. E Leone XIII il 23 novembre 1888 lo nominava vescovo di Acqui. Pontificato breve quanto fruttuoso durante il quale rifulsero le sue virtù: capacità di governo, pietà, generosità, pazienza ed energia, umiltà, zelo e prudenza, semplicità, ed eroismo. Secondo le parole di San Tommaso fu santo, dotto, prudente.

Ma veniamo all’estrema tappa della breve parabola esistenziale del Marello, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1993 e canonizzato dallo stesso Pontefice nel 2001, il quale lo definì «modello di carità verso tutti e di instancabile e silenziosa operosità a favore dei giovani e degli abbandonati».

Nel maggio 1895 ricorreva il terzo centenario della morte di San Filippo Neri, conosciuto da S. Giuseppe Calasanzio, fondatore delle Scuole Pie, il quale, appena canonizzato, volle che la chiesa savonese fosse a lui intitolata: si ritiene sia stata la prima nell’ecumene. Or bene, P. Demetrio Poggi, rettore degli Scolopi di Ovada invitò Monsignor Marello a Savona per le feste del 26 maggio. L’invito sarebbe dovuto partire dal P. Luigi Del Buono, rettore delle Scuole Pie savonesi, ma non conoscendolo, questi aveva chiesto al confratello in Ovada di farlo a suo nome. Di fatto nel processo canonico dichiarò: «Non conoscevo personalmente Mons. Marello, sapevo soltanto che era vescovo di Acqui e di lui avevo sentito parlare con lode. Non avendo con lui personali relazioni lo feci invitare da P. Poggio Demetrio, allora rettore delle Scuole pie di Ovada».

Il Vescovo accondiscese volentieri, sia per la stima verso il confratello Mons. Giuseppe Boraggini vescovo di Savona, impegnato ad Albenga, sia per la stima verso i religiosi insegnanti, sia perché nella sua diocesi operavano due case dell’ordine: quella gloriosa di Carcare, fondata nel 1621, fra le primizie dell’Ordine e visitata dal Calasanzio in persona, e quella più recente di Ovada. E così sabato 25 maggio 1895 partiva per Savona col treno, accolto alla stazione da autorità e da molta cittadinanza. La stessa mattina alcuni canonici della cattedrale astigiana di familiari, notandone l’aspetto sofferente, sconsigliarono l’andata alla città rivierasca, ma egli con profetiche parole disse «Ebbene, si va a Savona, si fanno le feste di S. Giuseppe, e poi, occorrendo, si muore».

Come si spiega – osserva il biografo P. Rainero – tanta persistente fermezza in lui che era di solito così arrendevole, discreto e prudente, in lui che aveva per massima e vi si atteneva fedelmente di “non muovere lingua, cuore, o piede, senza prima evocare lo Spirito Santo”? Bisogna pure ammettere che lo Spirito Santo medesimo, da lui umilmente invocato, lo stimolasse, per i suoi fini reconditi, ad intraprendere quel viaggio, che appariva realmente come il viaggio verso l’eternità». (A. Rainero, Biografia, cit., 305)

Domenica 26 maggio Monsignore celebrò Messa nella chiesa degli Scolopi distribuendo la prima comunione agli allievi del collegio (per l’occasione era stata impresso un simpatico opuscolo) e tenne una lunga omelia, durante la quale restò grondante di sudore. Il canonico Pietro Poggi che lo serviva all’altare, molto impressionato di quel fenomeno, temette che il Vescovo si sentisse male, e volle accertarsene stampando un forte bacio sulla sua mano nell’atto di porgergli il bastone pastorale. Con sua meraviglia constatò che la mano del Vescovo era fredda come il ghiaccio. Temendo di qualche inconveniente, appena finita la Messa, lo esortò a ritirarsi subito in sacrestia; ma egli volle fermarsi in presbiterio per fare il ringraziamento ascoltando la Messa che era uscita dopo la sua. Dopo l’elevazione si alzò dall’inginocchiatoio per uscire dalla chiesa, ma attraversata appena la sacrestia gli vennero meno le forze e sarebbe caduto a terra se non fosse stato prontamente sorretto. Accorso il dottor Zunini presente in chiesa, e fattogli sorbire un bicchierino di Marsala, si riebbe». (A. Rainero, Biografia, cit., 306).

La chiesa di San Filippo – vero gioiello di architettura e di arte – non esiste più: dopo i bombardamenti anglo-americani del 30 ottobre 1943 fu stolidamente e vandalicamente demolita nonostante fosse restaurabile, su comando del genio civile, ignorando l’opposizione tanto della Soprintendenza alle belle arti, quanto dall’amministrazione municipale.

Nel pomeriggio una breve passeggiata presso il mare, in compagnia del P. Del Buono ricreava un poco l’animo del Presule e chissà quali ricordi gli avrà evocato, a cominciare da quando, fanciullo, lo aveva ammirato la prima volta in compagnia paterna.

Lunedì 27 maggio Monsignore salì al Santuario accompagnato dal segretario Don Pietro Peloso e dal P. Carlo Pizzarello, vicario generale delle Scuole Pie. Si noleggiò una vettura tirata due cavalli e un gruppo di savonesi, saputolo, formò un corteo. Monsignore celebrò il santo sacrificio eucaristico nella cripta restando poi a lungo in orazione: era l’ultima messa celebrata a quell’altare dinanzi al quale aveva pregato fanciullo.

Nella tarda mattinata gli fecero visitare il Duomo e poi le stanze abitate da Pio VII: durante la visita ebbe un malore e fu fatto adagiare sulla sedia adoperata dal Pontefice prigioniero. Accorso il Dr Carlo Zunini, pur non rilevando «nulla di allarmante», gli prescrisse di rimandare la partenza per Acqui, ritardo confermato nei giorni 28 e 29. Nessuno si rese conto della gravità del male, neppure l’interessato, a parte una pesante spossatezza. D’altra parte il Marello era stato sempre sereno, paziente, affabile, desideroso di non importunare alcuno, delicatissimo nel relazionarsi col prossimo.

Ma alle ore 18:45 del 30 maggio 1895 Monsignor Giuseppe Marello, dopo poche ore di assopimento e con universale stupore, in modo quasi misterioso, cinquantenne appena, esalò l’ultimo respiro. Le esequie furono imponenti, celebrate nella Cattedrale sabazia sabato 1° giugno con un’amplissima partecipazione sebbene fosse dai savonesi conosciuto soltanto da pochi giorni – ma evidentemente ne avevano percepito la santità – ed il feretro accompagnato alla stazione ferroviaria sotto una pioggia torrenziale.

Gian Luigi Bruzzone


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