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Ospedali e Pronto Soccorso, eliminato codice giallo. Due nuovi: arancione e azzurro. L’antico giuramento di Ippocrate


La priorità dell’accesso alle cure in Pronto Soccorso è pertanto legata al codice di priorità assegnato dall’infermiere al momento del triage, cioè dell’accettazione iniziale, e non all’ordine di arrivo dei pazienti nella struttura.

È stato pertanto eliminato il codice giallo, trasformato e “spacchettato” in due nuovi codici, l’arancione e l’azzurro, con l’obiettivo di stratificare meglio il rischio del paziente e il suo livello di criticità, stabilendo così anche indicazioni ancora più precise sul tempo massimo di attesa per la presa in carico del paziente rispetto agli altri codici.

I pronti soccorsi, il più delle volte,  sono pieni; i pazienti in lista di attesa vengono incolonnati, sulle barelle, nei corridoi e poi quando arriva il proprio turno, il malato [!?!] si sente chiedere “ma il suo medico di base cosa dice ?” Risposta del paziente: “!!!!!!!…vedi sopra….!!!!!”

Se vai in uno qualsiasi di pronto soccorso, noti che sono intasati di “codici”. Nuovi codici numerici e di colore per il triage del Pronto Soccorso Civile e Pediatrico che da quattro passano a cinque, come da indicazione delle linee guida regionali e nazionali, a seconda dell’attribuzione di priorità assistenziale. In particolare la nuova codifica, dal più grave al meno grave, prevede:

  • Codice 1 – Rosso: indica l’emergenza, ovvero l’interruzione o compromissione di una o più funzioni vitali;
  • Codice 2 – Arancione: indica l’urgenza, ovvero il rischio di compromissione delle funzioni vitali; condizione con rischio evolutivo o dolore intenso;
  • Codice 3 – Azzurro: indica l’urgenza differibile, ovvero una condizione stabile e senza rischio evolutivo, con sofferenza e ricaduta sullo stato generale che solitamente richiede prestazioni complesse (nell’ambito di questo codice viene data precedenza ai pazienti anziani e con disabilità);
  • Codice 4 – Verde: indica l’urgenza minore, ovvero una condizione stabile e senza rischio evolutivo che solitamente richiede prestazioni terapeutiche semplici e mono specialistiche;
  • Codice 5 – Bianco: indica la non urgenza, ovvero un problema non urgente, di minima rilevanza clinica (può essere soggetto a ticket).

Se da una parte la mancanza di qualsiasi vincolo legislativo aveva reso possibile lo sviluppo rapido della ricerca medica, d’altra parte essa spostava la riflessione anche sui doveri morali del medico. In diversi passi delle opere di Ippocrate egli insiste sull’esigenza che il medico conduca una vita regolare e riservata, non speculi sulle malattie dei pazienti ma anzi li curi gratuitamente se bisognosi, stabilisca un legame di sincerità con i malati. Il testo più celebre che codifica l’etica medica è però il giuramento (ancor oggi in parte in uso), in cui vengono enumerati i princìpi fondamentali che deve seguire chi esercita questa professione: diffusione responsabile del sapere, impegno a favore della vita, senso del proprio limite, rettitudine e segreto professionale. 

GIURAMENTO ANTICO DI IPPOCRATE- V sec. a.C.

“Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dei tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, ne suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi. Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”.

Forse Ippocrate se fosse vissuto oggi giorno,  si sarebbe pentito di come ha steso il suo giuramento. Il pensiero medico e filosofico di Ippocrate si inserisce in un contesto esoterico che egli stesso cercò di preservare dall’accesso di quanti fossero impreparati, e perciò inadeguati, a comprenderlo
«Le cose sacre non devono essere insegnate che alle persone pure; è un sacrilegio comunicarle ai profani prima di averli iniziati ai misteri della scienza.»

Uno dei fondamenti della medicina ippocratica è il principio «Νόσων φύσεις ἰητροί», chiamato in seguito da Galeno vis medicatrix naturae, o «forza curatrice naturale», che vede il corpo umano animato da una forza vitale tendente per natura a riequilibrare le disarmonie apportatrici di patologie. Secondo questa concezione, la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze insite nella persona stessa, non da agenti esterni o da superiori interventi divini; la via della guarigione consisterà pertanto nel limitarsi a stimolare questa forza innata, non nel sostituirsi ad essa: «la natura è il medico delle malattie […] il medico deve solo seguirne gli insegnamenti».

Ritratto di Ippocrate, dallo studiolo di Federico da Montefeltro- Ippocrate fu anche il primo a occuparsi di patologia, anche se per farlo non utilizzò la dissezione sui cadaveri, per la quale, nella storia dell’anatomia greca, si dovrà attendere ancora un paio di secoli. Egli inventò la cartella clinica, teorizzò la necessità di osservare i pazienti prendendone in considerazione l’aspetto ed i sintomi e introdusse per primo i concetti di diagnosi e prognosi. Egli credeva infatti che solo la considerazione dello stile di vita del malato permettesse di comprendere e sconfiggere la malattia da cui era affetto. Se tale prospettiva è tutt’oggi tipica della pratica medica, la ricchezza degli elementi che Ippocrate chiama in causa (dietetici, atmosferici, psicologici, perfino sociali) suggerisce un’ampiezza di vedute che raramente sarà in seguito praticata. Ma la necessità di una considerazione globale valeva anche in senso inverso: ogni elemento nella natura umana aveva ripercussioni sull’esistenza.

Tale innovazione appare chiara soprattutto a partire dalle osservazioni che Ippocrate rivolge all’indirizzo della scuola di Cnido. Questa, sotto l’influenza delle prime osservazioni scientifiche compiute in area ionica (Talete, Anassimandro) aveva rafforzato lo spirito di osservazione tipico dei primi medici itineranti greci, nominati nei poemi omerici.

Ippocrate valorizza il dialogo tra medico e paziente. «Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: “Ma così tu rendi medico il tuo paziente!” proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico».Se si parla di medici itineranti basta ricordare i nostri medici di paese quelli che nonostante il clima accorrevano nelle case dei pazienti.

“Dottore venga il mio babbo sta male” – “Aspetti, mi metto il tabarro e vengo” – presa la borsa, saltò in groppa al somaro e attraverso il bosco per fare prima si avviò verso la cascina anche tra le colline innevate.

Era Santo Stefano del ’56, giornata festiva,  mio padre insisteva che facessi i compiti delle vacanze di Natale, ma, io stavo male. Chiamato il “Dottore” che prontamente venne, mi fece una visita accurata e sentenziò: “è meglio che lo veda anche Magnani” .

Magnani era il primario dell’ospedale locale. Il parroco, uno dei pochi in paese che aveva il telefono , chiamato il primario si fece dare un appuntamento per le tre del pomeriggio. Al primario è bastato toccarmi e rivolto alla Cappelona capo disse: “entro le tre voglio pronta la camera operatoria poi dica a mia moglie che da sua madre ci vada da sola” alle quattro era già tutto finito, salvato per un rotto di cuffia, dalla peritonite. – Ed era festa.

Oggi giorno nonostante la tecnologia, alla medesima richiesta, via telefono, il medico risponde: oggi è sabato ed è il mio giorno libero, chiami la guardia medica. Oppure “sto visitando, verrò nel pomeriggio, sotto sera; se ha fretta chiami la guardia medica o l’ambulanza”.

Alesben B.

 

 


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