La censura del giornale diocesano di Genova ‘Il Cittadino’. Cronaca di uno ‘sbandamento’ (?) episcopale.
di Paolo Farinella, prete
Premessa- Il giorno 20 agosto 2022, spedii al Direttore de «Il Cittadino», settimanale ufficiale della Curia di Genova, la lettera qui di seguito riportata, datata 30 luglio 2022. Come temevo, non è stata pubblicata senza alcuna spiegazione. Il 1° settembre 2022, scrissi alla Direzione:
«Ho preso atto che il mio pezzo allegato del 30 luglio 2022 e spedito a codesta Redazione il giorno 29–08–2022, non è stato pubblicato. Immagino per eccesso di materiale. Chiedo cortesemente di sapere se nel prossimo numero troverete spazio o no. In questo caso chiedo anche di conoscere il motivo redazionale o di altro genere. In attesa di un vostro gentile riscontro, porgo cordiali».
La Direzione non risponde per iscritto, come era obbligata a fare, ma il Direttore, Silvio Grilli,
si fa vivo con un WhatsApp: «Ciao don Paolo, quando ci vedremo, personalmente ti potrò spiegare perché non ho pubblicato la tua lettera. Con amicizia Don Silvio Grilli». Rispondo: «Quando? Ho bisogno di saperlo per valutare altre opzioni». Risposta: «Ci sentiamo la settimana prossima».
Surreale, scandaloso, inaccettabile. Il Direttore non osa rispondere per iscritto perché
dovrebbe impegnarsi a giustificare le ragioni della «censura» a una lettera pacata, motivata e
rispettosa, che aveva diritto di essere pubblicata sul giornale che in testata si definisce «Settimanale cattolico di Genova». In un tempo in cui si spegne anche l’orgia sinodale con cui vescovi, vicari e settimanale «acattolico» hanno fatto i gargarismi vuoti e muti, la Curia di Genova censura, vieta, ha paura che si possa criticare la gestione fallimentare e disastrosa dell’autorità «pro tempore» esercitata da due vescovi e cinque vicari, separati dalla loro stessa chiesa. Essi imperano, non governano; comandano, non ascoltano; gestiscono, non coordinano;
pontificano, non servono; mangiano insieme (a spese nostre), non fanno comunione. Brutta copia dei politicanti nostrani: dicono, ma non fanno. Il 4 febbraio 1966, Paolo VI abolì l’indice dei libri proibiti, istituito da Paolo IV nel 1559 e contemporaneamente anche la proibizione ai preti di pubblicare libri e scritti senza il permesso del vescovo. In sostanza abolì la censura. La curia di Genova la coltiva.
La diocesi di Genova è ferma al 1559 e vive di censura perché non sappiamo nulla della vita
della Diocesi, delle riunioni conviviali di vescovi e vicari, che si permettono anche di dire bugie e
manomettere la verità dei fatti. È vietato criticare l’autorità del vescovo e dei suoi moschettieri perché l’autorità deve essere sempre circuita, adulata, esaltata, venerata… forse in sostituzione di Dio? Nemmeno con la tortura mi abbasserò a questa apostasia che è vera idolatria. Al vescovo ho promesso «riverenza e obbedienza», non ho venduto né la coscienza né la dignità di figlio di Dio e della Chiesa che è mia quanto del vescovo e dei suoi adulatori complici.
Un’altra volta sono stato pesantemente censurato, nell’ottobre 2009, quando accusai pubblicamente il Segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, di essersi venduto all’immondo e pregiudicato Silvio Berlusconi, che trescava con la Cei, allora presieduta dal card. Bagnasco, arcivescovo di Genova. Le loro lettere pubbliche contro di me apparvero ben in vista il 25 ottobre 2009 su «Il Cittadino», mentre la mia risposta «no».
Censurate, censurate pure, piccoli preti ubriachi di voi stessi: non fate altro che mostrare la vostra vera identità e la vostra intima paura della verità. Gesù ha detto – e ci ha imposto – di predicare sui tetti quello che abbiamo udito nel segreto. Verrà un giorno in cui necessariamente dovrete rendere conto di tutto, ma quel giorno non vi sarà alcuno a prendere le vostre difese, perché già da ora siete «scismatici»: vi siete separati dal vostro popolo e dai vostri preti e siete andati allo sbando per conto vostro. Pastori senza gregge, vagate nel deserto, soli con voi stessi.
Il lupo curiale perde il pelo, ma non il vizio. Almeno, il pastore leopardiano, pur errante,
contemplava la luna nel proprio deserto, pascolando il suo gregge (cf Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia [1829/30]), mentre voi siete vescovi e vicari, non pastori perché il gregge vi ha lasciati soli. Godetevi la vostra censura, a vostro ludibrio, a vostra vergogna. Come scritto a conclusione della mia lettera, mantengo la parola data e, di seguito, pubblico la lettera censurata che divulgo a oltre 2.000 indirizzi per dovere di trasparenza
Genova, 07–09–2022
Paolo Farinella, prete
Lettera al Direttore de «Il Cittadino»: Due ruoli per un monsignore e marcia indietro. di Paolo Farinella, prete.
Gentile Direttore, Leggo a pag. 6 de «Il Cittadino» (anno 46 N. 28 del 24 luglio 2022) il resoconto «Incarichi in Curia per due laici», in cui si dà risalto, come doveroso, alla nomina arcivescovile del Dott. Giuseppe Armas a direttore della Caritas e della Dott.ssa Eleonora Russo a Coordinatrice dell’Ufficio Università. Per questo ultimo incarico, mi viene spontaneo dire: era ora, ma sarebbe un discorso lungo. Vorrei fare alcune precisazioni sul primo incarico, la nomina del direttore della Caritas, non sulla persona di Giuseppe Armas, che è degnissima e farà onore alla diocesi, ma sulle motivazioni espresse, secondo l’articolista, dal vescovo. A mio parere, esse fanno una ricognizione erronea, se non errata e mi domando «perché?».
Sono stato direttamente coinvolto nella fase precedente, quella, per intenderci, in cui il Vescovo, su spinta efficace dell’ausiliare, Nicolò Anselmi, ha inglobato nella persona di mons. Andrea Parodi sia l’ufficio di Economo diocesano sia quello di Direttore della Caritas. La scelta fu un vecchio pallino di don Nicolò Anselmi che ha sempre pensato all’unificazione dei due ruoli come «visione di Chiesa» emotiva e caritatevole, senza conoscerne né storia né ruoli e
funzioni; infatti, vescovo e vicari non si resero conto di avere creato, a norma di CJC e delle
consuetudini, un palese conflitto d’interessi, classico caso dove controllato e controllore si
identificano. In nessuna diocesi del mondo, infatti, i due ruoli sono stati mai unificati.
Su questo specifico punto, io stesso feci un esposto alla Santa Sede, tramite Nunziatura
Apostolica e ho motivo di pensare che il ritorno alla separazione dei ruoli tra Economo e Direttore della Caritas sia stato quantomeno suggerito, se non imposto, da un intervento di Roma. A una mia precisa domanda al vescovo ausiliare, egli non ha dato risposta, come è solito fare. Capisco il disagio nel dovere ammettere di essersi sbagliati, ma so anche che la verità è sempre la via più breve tra due punti. Ammettere di avere sbagliato, sarebbe stato segno di saggezza e di autorevolezza, mentre le circonlocuzioni per aggiustare le apparenze hanno sempre, come le bugie del proverbio, le gambe corte, molto corte.
Il Vescovo, p. Marco Tasca, sa di non poter dire che «in questa ottica avevo chiesto a don
Andrea di diventare anche direttore della Caritas Diocesana, perché per un po’ di tempo la conoscesse, ne facesse esperienza…e tutto ciò ci aiutasse a discernere la direzione da prendere». Ho incontrato il vescovo personalmente e abbiamo parlato per un’ora e un quarto e uno dei punti fu proprio il mio esposto alla Santa Sede perché ritenevo illegittima l’unione delle due nomine. Prima, però scrissi al vescovo e a tutti i vicari una lunga lettera in cui, Diritto alla mano, dimostravo l’illiceità delle due nomine in una sola persona. Non avendo avuto risposta per espressa volontà positiva di tutti i vicari, ho deciso di pubblicare in rete il documento letto da migliaia di persone.
Tutti i preti sanno che non è giusto manipolare verità e informazione perché si dà una
impressione di Chiesa «fake news». Mi dispiace, ma comincio a pensare che codesto metodo sia
diventato un sistema nella nostra chiesa locale. La prova è che siamo ancora in attesa di conoscere le ragioni della rimozione di mons. Carlo Sobrero da Vice Economo con modalità che hanno offeso, vilipeso e macchiato la sua buona fama, tutelata sia dal Codice civile/penale italiano sia dal CJC che impone al vescovo di redigere un decreto con le motivazioni dettagliate, pena la rimozione del vescovo stesso.
In un tempo di sinodalità, che si realizza solo nella sintesi delle diverse opinioni e differenti
visioni di Chiesa, e non nella monotematica esaltazione, a prescindere, dell’autorità, col rischio
sempre in agguato di trasformarsi in culto della personalità, sono certo che vorrà ospitare questa mia precisazione che posso difendere in qualsiasi luogo e foro, essendo un contributo per la migliore comprensione delle relazioni «ad intra» nella Chiesa, dove «multae mansiones sunt» e non «una tantum». Resto in attesa, riservandomi la libertà di pubblicare in rete questo testo, qualora per qualsiasi motivo – ma sono sicuro che nella chiesa sinodale del vescovo Tasca ciò sia impossibile –, dovesse decidere di non ospitarlo su Il Cittadino che è «il giornale» della chiesa locale e non la «velina» della Curia. La ringrazio da abbonato con stima e gratitudine.
Genova, 30–07–2022 Paolo Farinella, prete