Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Un nonno che ha scelto di andarsene in sordina. La nipote lo ricorda. ‘Ci mancherai sempre senza mancare mai’. La morte chiude un capitolo, ma apre un nuovo volume della vita


Nel centro di Genova. Un funerale anonimo come nella maggior parte dei casi, «un funerale per tutte le stagioni». Le solite ovvietà: la morte, la risurrezione, il cielo, mentre i presenti, eccetto i familiari, fanno la loro parte, assumendo il volto di circostanza dei funerali, come si usa in tutto il mondo.

Nonno Sergio ha scelto di andarsene in sordina, quando buona parte di persone, dopo tre anni quasi di carcere pandemico, sono andati via per sopravvivenza e ferie. All’improvviso l’ovvietà di un funerale ovvio, in una ovvia chiesa, è rotta dalla voce di Gloria, la Nipote di Sergio. Una voce di giovane ventenne, che vive una relazione affettiva straordinaria col Nonno di 95 anni.  Una differenza enorme, ma un rapporto affettivo profondo che nessuna età potrà mai scalfire. Gloria non ricorda il Nonno, ma legge uno scritto suo, messo di getto su foglio, come solo l’anima innamorata sa fare. Dei Nonni ci si innamora solo e subito, con essi non si discute perché la «nonnità» è una esigenza delle generazioni giovani: solo i nonni sanno essere capaci di complicità con i nipoti e questi lo sanno bene, senza che nessuno glielo spieghi; è nella natura. I nonni non sostituiscono mai i genitori perché sono funzioni e presenze diverse, nemmeno sono complementari, perché i Nonni sono «unici», insostituibili, necessari. Gloria ha saputo dipingere il volto e l’anima di Nonno Sergio con una tecnica «di contrasto», riuscendo a mettere in evidenza non solo le qualità, come si usa in genere nei funerali, dove «tutti i gatti sono bigi», e non si può che parlare bene dei morti, anche di quelli, alla cui morte si tira un sospiro di sollievo. Dalla mano di artista di Gloria emerge solida, forte e delicata la Personalità di Nonno Sergio in ogni sfumatura di natura, cultura, relazionale, ironica e anche «tranchent», quando non aveva risposte pronte (Paolo Farinella, prete).

Addio Sergio Consonno Damiani
È usanza, quando una persona viene a mancare all’affetto dei propri cari, ricordare tutte le
migliori qualità e i pregi di colei che amavamo. Io però ho deciso di andare controcorrente,
di fare di testa mia (come al solito), così come in qualche modo era sui generis il rapporto tra
me e il nonno perché gli dicevo sempre “Nonno, io ti dico tutto, mica ti tratto da vecchio
rimbambito!” e gli raccontavo anche dei lati di me dei quali non vado fiera, con assoluta
trasparenza e un confronto aperto. E allora oggi parlerò di tutte le cose che di te mi
mandavano in bestia. E che ti ho sempre detto.
Detestavo il tuo essere maniacale, il dover sistemare in modo millimetrico e preciso qualsiasi
cosa, ti eri persino alzato dal letto di ospedale per sistemare in modo rigoroso e simmetrico i
letti e le coperte dei tuoi compagni di stanza.
Detestavo il tuo criticare costantemente la disposizione di ogni oggetto di casa e il tuo
ritornello “Un posto per ogni cosa, ogni cosa ha suo posto!”.
Detestavo il fatto che non facessi mai i complimenti al destinatario delle tue parole, e ti
trovavi a elogiare una tua figlia con un’altra e io ti apostrofavo così “Ma sarai strano? Non
puoi ringraziare tua figlia o tuo nipote o tuo genero direttamente anziché tessere le lodi con
noi e poi criticarla o criticarlo quando lo hai di fronte? ”
Detestavo la tua bocca all’ingiù, le giornate e le serate in cui il tuo viso era ombroso e il tuo
naso sembrava essere ancora più adunco, ma sistematicamente alla domanda “Cos’hai?”
rispondevi “Nulla, sto benissimo!”
Detestavo il tuo lamentarti per l’assenza di garbo, per le nostre voci a tuo dire troppo
squillanti “Ragazzi, ho l’iper-acusìa!” e il continuo criticare i nostri atteggiamenti con il tuo
tipico “Mi pare che questo non sia tanto giusto, SE DOVESSI DIRE”.
Detestavo quando volevi eludere una risposta e rimanevi vago con una delle cose che dicevi
sempre “Dici? Mah… Non saprei!”
Detestavo il tuo essere rompiscatole e iper-critico, non c’è una tua lettera o un messaggio che
non contenga un rimprovero, un rimbrotto, un monito o, come lo chiamavi tu, un “consiglio
da amico”.
Detestavo il tuo rimandare i discorsi. Spesso ci addentravamo in questioni complicate,
parlavamo della religione, del senso della vita, di filosofia, io ti riempivo di domande e
spesso tu rispondevi “poi ne parliamo un giorno con calma” e io friggevo, perché non capivo questa necessità nel voler posticipare. Poi ho capito. Era un tuo modo per avere una serata
assicurata con i tuoi nipoti, un prossimo appuntamento da attendere con gioia, come se
dovessi avere una scusa per vederci e sentirci. E non sai quanto mi mancherà quel prossimo
appuntamento che non avremo occasione di avere. Quanto mi mancheranno tutti i discorsi
che non siamo riusciti a fare.
Eppure, adesso ripenso a tutto questo e so, e dentro di me l’ho sempre saputo, che mi
mancheranno immensamente i tuoi rimbrotti e le tue critiche, al pari di quanto mi
mancheranno le tue parole dolci e gentili, il tuo garbo, l’eleganza, la classe innata, la
pacatezza. Ci hai sempre educati alla moderazione e all’umiltà, ma ti confesso che ho
peccato di superbia parlando di te. Non sai in quante occasioni con ostentata fierezza ti
dipingevo al mondo orgogliosa “Mio nonno ha più di 90 anni e guida macchina e scooter.
Non solo, ma va in casa di riposo ad aiutare gli anziani con la fisioterapia” e mi godevo le
espressioni stupefatte degli astanti.
Ricorderò sempre le belle figure che mi facevi fare con i professori quando ti recavi ai
colloqui, immancabilmente in giacca e cravatta, con il tuo eloquio fluido e musicale, e ti
divertivi quando ti raccontavo che si erano innamorati di te.
Ricorderò i momenti in cui mi aiutavi a tradurre in genovese i copioni di teatro, e sappi che il
merito di quelle risate fragorose era anche tuo, che sei sempre stato in platea a seguirmi con
affetto e scrivendomi che ogni volta che mi vedevi sul palco andavi in brodo di giuggiole.
Mi mancherà la tua strenua difesa della lingua italiana contro gli anglicismi “perché devo
leggere sale sulle vetrine? Per me il sale è quello che si mette nelle pietanze!”, e il tuo
insegnarmi termini di cui ignoravo l’esistenza, come burbanzoso (che mi hai spiegato con
“beh, significa pieno di burbanza!”). Adesso fanno parte del mio patrimonio, e non sai
quanto sia bello vederti vivere in ogni termine più aulico che scelgo e avere dentro di me la
stessa passione che avevi tu per la nostra bella lingua.
Mi mancheranno le cenette insieme, la tua espressione goduta nello spazzolarti il rotolo alla
nutella di cui andavi matto, ed era il nostro segreto perché “non ditelo alle mie figlie, che
pensano che abbia la glicemia alta!” e le barzellette che amavi raccontare.
Mi mancheranno tutti quegli aneddoti che non ci hai mai raccontato.
Mi mancheranno le risate che ci siamo fatti insieme, e le perle immense che ci hai regalato
come “Portate la vostra deficienza a letto ragazzi!” rivolto a me e Fabio.
Mi mancherà l’amore che si celava dietro ogni tuo gesto e dietro ogni parola, così come
dietro ogni silenzio. Perché non importa quante discussioni, seppur accese, ci siano state: tra
anime buone svaniscono risentimenti, fastidi e dispiaceri, resta l’amore. Quello trascende la
vita terrena.
Un giorno parlavamo di Dante, e della sua visione di Dio, dell’inferno e del paradiso e della
giustizia divina. Dopo avermi rassicurata sul fatto che l’inferno non esiste, mi hai spiegato
cosa fosse la giustizia di Dio. Mi hai detto che Dio non è un giudice severo che dividerà i
buoni dai cattivi, e manderà a soffrire i cattivi mentre accoglierà in cielo i buoni. Quella è
una bieca visione umana. Dio è un padre misericordioso che ci ama esattamente per come
siamo, errori compresi (mi hai persino detto “puoi anche non credere che esista, lui ti ama lo
stesso, che tu lo voglia o no!”). E la giustizia divina, mi dicevi, è quella che ti rende giusto. E
tu, della giustizia e della correttezza, hai fatto uno stile di vita. Mi hai detto che Dante era
stato profetico nel descrivere Dio come un’esplosione di luce, e che tu ti immaginavi così, di
finire nel suo immenso amore, nella sua luce, in uno stato di beatitudine e amore eterno.
Perché la morte altro non è che una rinascita. Luce sei stato per noi, e luce continuerai ad
essere, per sempre, vivendo in ogni gesto, in ogni parola gentile, in ogni buona azione, in
ogni sorriso.
E, come ci hai sempre detto tu: “Su ragazzi: non facciamo tragedie!”
Per cui nessuna tragedia promesso e, per rendere onore a quello che ci hai sempre insegnato
“In alto i cuori!” e “Sarà una passeggiata, anzi: una marcia trionfale!”.
Fa’ buon viaggio nonno, sarai sicuramente in sella alla tua moto con la nonna Bianca dietro
di te. Ci mancherai sempre, senza mancare mai. Con amore,
tua nipote Gloria


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