Un’amica, giustamente sconvolta per le modalità con cui sono state disposte queste elezioni politiche, mi chiede per quale partito dovrebbe votare.
di Sergio Bevilacqua
Le rispondo prima di tutto che la domanda è ben posta, in quanto “per quale partito votare”, e non “per chi” (la gente non si conosce mai abbastanza, e in particolare in un ruolo pubblico…) o “per che cosa” (destra sinistra, populisti statalisti, sovranisti globalisti, sudisti nordisti, laici cristiani, ecc.), è corretto in quanto la nostra Costituzione, come quella di tutti i Paesi democratici, dell’Occidente in particolare, affida proprio agli organismi di partito la rappresentanza del singoli cittadini maggiorenni, non alle persone e nemmeno alle idee, che vengono subito dopo.
La faccio ragionare, e le spiego che un partito è una organizzazione alla quale chiedere dei servizi, e che un simpatizzante o un attivista o un tesserato in qualche modo ne è parte. Ma anche ciascun elettore è interessato alla presenza di buoni partiti, perché una sana concorrenza tra loro è benefica per tutti. Le spiego che nessun candidato da solo ha le competenze per effettuare ciò che compete agli eletti: l’indirizzo è il controllo sull’immenso organismo dello Stato sono fuori dalla possibilità anche del più intelligente ed esperto individuo, perché lo Stato è fatto di un milione di processi, uno più complesso dell’altro e uno più importante dell’altro per la vita di un cittadino, della sua famiglia, delle formazioni sociali ed economiche a cui partecipa. Invece, tali competenze devono essere chieste ai partiti politici, i quali dovrebbero essere organismi compositi che espletano quelle funzioni complessive che sono impossibili a ogni singolo politico: in loro assenza, in assenza di serie organizzazioni di partito, ogni singolo politico è costretto a diventare bugiardo e arrogante, per coprire i suoi umanissimi limiti nella funzione…
Ciò detto, per quale organismo siffatto votare? Per nessuno, perché questi organismi di partito nella nostra malatissima democrazia non ci sono. Salvo forse uno, che all’analisi socio-organizzativa risponde minimamente ai requisiti: il PD.
Ma, analizziamo subito il campo da questa eccezione. Diciamo subito che il PD:
- ha una forte ramificazione nei corpi sociali intermedi, che però gestisce in modo opportunistico, la qual cosa è peraltro sbagliata ma comprensibile;
- ha forte abitudine alla frequentazione dello Stato, la qual cosa di per sé non sarebbe male, se non sviluppasse delle forme perverse di integrazione, il cosiddetto Deep-State, Stato Profondo, ove il partito si fonde con gli uffici pubblici anziché controllarli attraverso i suoi eletti, causando profondi deficit di efficacia e produttività e di legittimità sostanziale;
- attua una forte selezione centralista dei candidati, seguendo logiche di “carriera interna” anziché di competenza;
- ha sì un progetto per lo Stato, ma non dialettico: appare una funzione più mimetica rispetto ai poteri forti o alle tendenze correnti che una visione a tutto tondo basati sulla sensibilità civile che il suo sistema gli donerebbe a iosa.
- ha sviluppato cospicui meccanismi lobbistici, però non sostiene il lobbismo per non fare si che anche gli altri partiti capiscano come fare.
- solo a questo punto appare la ideologia e la propaganda, che si basa su eventi storici indubbiamente importanti, ma deformati in esagerazioni comunicazionali finalizzate al mantenimento di un vantaggio culturale e istituzionale, rafforzati poi da una certa incidenza sugli organi di stampa.
Tutto comprensibile e, tutto sommato, coerente, in un regime di concorrenza tra partiti… Ma visto che questa dimensione della concorrenza non c’è in Italia, la decisione dell’elettore che si domanda per chi votare è bloccata. Ciò che il PD fa male, gli altri partiti non fanno. Nella mia interpretazione politico organizzativa attuale, escluderei il voto al PD in quanto il suo modello organizzativo porta a una profonda deformazione democratica. Ciò non toglie che, nei suoi modi, Il PD rappresenti una offerta elettorale che, per chi conviene con i 6 punti sopra (certamente persona di bassa cultura democratica) il Partito democratico può rappresentare una soluzione appropriata per il proprio voto.
Il funzionamento di una sana democrazia prevede che partiti politici si confrontino dialetticamente e organizzativamente nel proporre ai cittadini soluzioni che garantiscano il controllo democratico e il corretto indirizzo sullo Stato e, parallelamente, siano dei canali diretti tra l’organizzazione dello Stato e i bisogni dei cittadini. Questo lavoro che viene svolto come descritto sopra dal Partito democratico coi suoi corpi sociali intermedi di riferimento, pur in modo deformato, non è svolto da nessun altro partito dell’arco costituzionale.
Dagli anni ‘90 ai giorni nostri è intervenuto una progressiva diseducazione dell’elettore alla costruzione democratica, rispetto ai requisiti dell’esercizio della propria facoltà di voto e, in stretta conseguenza, dell’esercizio della rappresentanza che gli spetta in Parlamento e quindi sullo Stato. Gli anni ‘90 con la stagione di Mani pulite e il sopraggiunto grillismo casaleggiante hanno distrutto il concetto fondamentale proprio delle democrazie parlamentari. Esso afferma che la rappresentanza del cittadino deve stare dentro organizzazioni capaci, dotate di molteplici professionalità, di strutture competenti, di rapporti sani e costruttivi con i corpi sociali intermedi (sindacati, associazioni, patronati, terzo settore, mondo dell’economia, eccetera) e che eroghino concreti servizi di orientamento del cittadino elettore sostenitore o tesserato rispetto alle funzioni dello Stato repubblicano, di cui ciascun cittadino italiano è anche proprietario insieme agli altri concittadini italiani.
E veniamo ora al punto per cui la mia amica non trova una risposta: ha capito che cosa è il Partito democratico e considera che non faccia per lei. Di fronte alla spiegazione da parte mia sulla natura organizzativa delle altre forze politiche che non hanno nessuna corrispondenza rispetto ai requisiti fondamentali della rappresentanza prevista dalla Costituzione; ha sollevato i sopraccigli e a mostrato un’espressione attonita allargando le mani.
Purtroppo non c’è risposta al momento attuale e anche considerare di votare il meno peggio significa comunque votare delle realtà che non hanno nessun requisito rispetto al principio di rappresentanza costituzionale che sono al limite costituite da persone anche intelligenti e preparate nei loro campi specifici, ma che complessivamente non riescono a produrre quella rassicurazione del rapporto del cittadino con lo Stato che è deputata ai partiti dal buon senso, dalle esperienze estere di democrazia e dalla nostra Costituzione.
Alla sua condizione attonita mi sono trovato a rispondere anche storicamente in un altro modo: queste elezioni politiche sono state indette in estrema urgenza, peraltro con piena consapevolezza di ciò che stava avvenendo, probabilmente con l’intento di danneggiare forze politiche contrarie al processo di integrazione italiana nel mondo europeo, di appartenenza alla NATO e di comprensione rispetto all’utilità addirittura della moneta unica europea. Le condizioni di questa tornata elettorale volute scientemente e in modo tale da avere una alta prevedibilità del loro risultato, in particolare a favore delle forze favorevoli ai tre argomenti citati poco sopra, ha fatto sì che però venisse leso un punto fondamentale del processo democratico: il fatto che in democrazia debba essere possibile presentare partiti cioè organismi di rappresentanza dei cittadini italiani, che abbiano sostegno (le firme) e caratteristiche idonee a questa funzione, anche se non già rappresentate in Parlamento.
Infatti, il meccanismo elettorale che si presenta oggi agosto 2022 alla nostra esperienza, praticamente impedisce alle nuove forze politiche di presentarsi, per via del lavoro insostenibile di raccolta di firme per arrivare a scadenze (ormai superate), nelle quali il partito si presenti agli elettori e possa così qualificare la sua offerta di rappresentanza (e di servizi!). Ecco allora il verificarsi, che ho constatato personalmente in questi settimane, di una sorta di casba, colorito mercato delle partecipazioni politiche a sigle già presenti (quindi esentate dalla raccolta di firme) per procurarsi uno spazio di presenza politica verso l’elettorato ma, più frequentemente, date anche le condizioni, dei posizionamenti nelle liste elettorali che consentissero una qualche probabilità di elezione, per di più in un Parlamento ridotto da 1000 a 600 parlamentari.
Il volto della mia amica da attonito si stava progressivamente trasformando in arrabbiato. Aveva capito che anche questa tornata elettorale non avrebbe soddisfatto il suo bisogno di democrazia. Aveva capito che si sarebbe trovata “tra i piedi” un altro Parlamento imbelle, che non l’avrebbe rappresentata, con tutti i partiti privi di organizzazione e di strutture di servizi, e un solo partito, il Partito democratico, che fa i suoi interessi di casta politica interna e non quelli dell’elettorato (che ha tutto il diritto di non vedere il mondo come lo propongono i dirigenti del PD e la sua organizzazione).
Insomma cari amici, e cara amica mia ora delusa e quasi piangente, la strada per dare alla democrazia italiana una funzionalità moderna comparabile con quella delle altre democrazie occidentali è irta di mille difficoltà: non soltanto di cultura di organizzazione dei partiti ma di cultura del partito, di comprensione della sua importanza, avvilita da eccessi giudiziari degli anni 90 e dagli eccessi vacuamente ideologici e fantatecnologici del grillismo casaleggiante, che ha colpito tante menti fertili e giovani, e che rischia di creare condizioni di pericolo per la sopravvivenza della nostra stessa Repubblica, soprattutto in termini patrimoniali, ma anche in termini filosofici e istituzionali.
La prossima stagione politica che inizia il 25 settembre sarà determinante di sicuro per quanto riguarda i destini dell’importante valore che ha il nostro Paese, l’Italia, europea, occidentale, ma anche degli italiani… Sarà urgente il consolidamento di altre forze partitiche degne di questo nome cioè in grado di corrispondere ai veri effettivi bisogni di rappresentanza dei cittadini. Perché i cittadini non possono (per legge!) e non devono essere considerati semplicemente fornitori gratuiti di un loro diritto, di una loro facoltà (che è l’emblema della loro proprietà della Repubblica italiana), il proprio voto, per darlo a organizzazioni prive dei contenuti necessari alla rappresentanza… Questa è la prima missione che dobbiamo perseguire noi democratici, convinti assertori del bene pubblico e del corretto funzionamento delle istituzioni e dello Stato.
Ricreare al più presto sane e organizzate strutture di partito, con organi operativi interni, volti al servizio dei cittadini e delle tante organizzazioni che compongono un Paese civile e moderno, com’è l’Italia, se non guardiamo la sua tragica, contraddittoria e invalida democrazia.
E dunque, cosa dire alla mia amica? Vota, per non disabituarti, ma non aspettarti nulla di significativo e di nuovo dal prossimo Parlamento: sarà una pena, come il vecchio, solo ancora più acquiescente ai pericolosi poteri forti che non aspettano altro che di avventarsi sulle nostre bellezze e ricchezze.
Poi le ho promesso che farò tutto il possibile per creare qualcosa di buono, che sia utile davvero alla rappresentanza che è democrazia, e quindi di aspettare il prossimo ciclo elettorale. Perché c’è un gran bisogno di democrazia vera, funzionante, e, anche, insieme, di sussidiarietà. Forse, allora sì… Chissà!
Sergio Bevilacqua
IN ATTESA DELLE ELEZIONI POLITICHE:
LA POLITICA ITALIANA E IL TEXAS
di Sergio Bevilacqua
Mi piace l’America. Amo la freschezza, forza e lucidità ancora presente nel grande corpo degli USA, dove il grande organismo federale con i suoi potentissimi muscoli economici, brilla di genio tra i fari di est e di ovest, New York e Los Angeles/San Francisco. Ho sempre pensato che spazio e pensiero si condizionassero molto a vicenda, che le grandi estensioni di natura e la scarsa densità umana portassero a migliori riflessioni, cosi come le grandi concentrazioni urbane invece genialità e finezza umana. Tutto vero, infatti. Ed ecco allora un bel confrontò tra queste disgraziate elezioni politiche, dove il popolo italiano è stato letteralmente “giocato” con astuzia istituzionale leonardesca, e la semplicità di un allevatore texano.
Da Marco Rizzo a Giorgia Meloni van tutti bene: quanto a partiti, esistono e son malati, o non esistono che è anche peggio. Le persone contano fino a domattina: nessun genio della lampada può garantire una seria rappresentanza del popolo italiano nell’immane organismo dello Stato, se non ha anche un solido partito organizzato alle spalle. E smettiamola di far finta di non capire. La democrazia è una cosa seria, non una ridicola parata di grotteschi contorsionisti circensi con l’aria da profeti.
Ovviamente io sono extrapartes, con il mio solito approccio sociatrico. Sembra di fare qualcosa di utile alla sinistra, parlando di organizzazione dei partiti, e del vantaggio competitivo costituito dall’avere o non avere struttura interna ed esterna, ma non è così: si tratta del miglior servizio alla democrazia italiana, e l’unico modo per salvarla, cioè capire che le organizzazioni di partito vengono prima delle persone, le quali, poi, ovviamente, danno loro un specie di anima e se ne avvalgono per il bene dei cittadini, in loro rappresentanza. La figura del politologo extrapartes è difficile e nessuno la interpreta in Italia oggi, ed è la mia sfida, a estrema summa di 1000 casi clinici sociologici, trattati con i metodi della Sociatria Organalitica.
E in questo preciso momento “la scienza” (attenzione alle virgolette…) gioca di certo a favore della sinistra, col tema dell’organizzazione interna e del raccordo coi corpi sociali intermedi, ed è molto utile alla civiltà politica che a destra se ne rendano conto e la smettano di fare quelli che forse no e i geni carismatici del “ghe pensi mi”. Il politologo extrapartes può esprimere un ruolo di certificazione democratica, dalla rappresentanza ai servizi ai cittadini ed elettori. La situazione attuale, infatti, vede gli Stati scivolare da soggetto sistemico di tipo geopolitico a un ruolo di sindacato dei cittadini, a fronte del veloce incedere del nuovo Feudalesimo economico privato, quello moderno, occidentale e anche cinese, e quello vecchio ma pericolosamente resistente e oscurantista della Russia putiniana.
I partiti sono paradossalmente sempre più importanti per la libertà e la democrazia, e devono prendere le parti NON dell’obiezione alla globalizzazione ma della spinta (sinergica!) del locale sul più grande globale. Cioè, la opposizione non è tra Global e No-global (scemenza oscurantista già 30 anni fa), ma tra GLOCAL (invasione del globale nel locale) e LOBAL (uso da parte del locale delle risorse straordinarie del globale). Al di là delle deformità, è normale che la gente oggi si senta rappresentata difensivamente da organizzazioni solide e non da tenori e soprani. E questo, cari amici democratici (gli altri non posso proprio considerarli amici…) di destra e di sinistra, è un principio che in Italia oggi premia la sinistra.
Ieri parlavo con un allevatore texano, che mi diceva: “Sì, io sarei anche per Trump, ma la sua insistenza per America First fa sì che il lavoro che io pago in Messico 20 $ al giorno lo debba comprare qui (dalle stesse persone, poi…) a 20 $ all’ora…”. Misconoscere la dialettica aperta tra globale e locale, che non sono in dialettica ma sinergici, porta a contraddizioni palesi.
Occorre sì logica e teoria, cultura, ma anche molto buon senso e tolleranza, che s’imparano meglio di tutto sul campo, e non solo in biblioteca. E questo è vero soprattutto oggi, in epoca diluviana, dove la trivoluzione, la rivoluzione tripla del Globantropocene mediatizzato in pieno corso con onde giganti, sconvolge tutto, e la storia non è più magistra vitae, se non per pigri intellettuali che scoprono di essere inutili al futuro prossimo e reagiscono con le armi o la spocchia pseudoaccademica che tanto piace ai laureatini accidiosi, e invidiosi di chi muove le terga e, come sempre, ottiene.
Non bastasse, per farla proprio finita con la polvere e la schizofrenia tra mente e corpo, ecco, soggiacente ma ancora per poco, la quarta rivoluzione, la più perturbante e originale mai vista, che muove fortissime correnti sotterranee nel diluvio: una possibile immane mutazione nell’umanità… che vi lascio come curiosità, ma se voleste informarvi, trovate descritta nel mio saggio in forma di romanzo “Gynandromakia”.
Pare chiaro che la politica in democrazia abbia oggi particolare bisogno di calma, serietà, rigore e realismo, sia nei grandi USA sia nella non piccola Italia. Ieri sera ci siamo capiti molti bene con quell’allevatore texano, che, assicuro, qui sarebbe sembrato un… idraulico? Netturbino? Seppellitiore? Talmente scalcinato questo milionario… ma così avveduta, semplice e lucida la sua visione…
Non era D’Alema. E nemmeno la Meloni.
Sergio Bevilacqua