Achille Maccapani, laureato in giurisprudenza all’università di Milano, segretario generale di quattro comuni appartenenti a due province liguri (la città di Quiliano in provincia di Savona e i comuni di Airole, Olivetta San Michele e Castel Vittorio in provincia di Imperia), esperto di diritto amministrativo, cultore di variegati interessi, scrittore di gialli.
di Gian Luigi Bruzzone
Egregio Dottore, se non le dispiace, ci parli della sua famiglia. E dei suoi studi. Perché ha scelto giurisprudenza? Le saranno rimaste impresse la figura e la lezione esistenziale di qualche docente…
Da anni vivo con mia moglie Chiara e i figli a Ventimiglia, una scelta derivante da ragioni familiari. Ma non ho mai smesso di viaggiare e lavorare in luoghi diversi e lontani, sempre nel territorio ligure. La scelta della facoltà di giurisprudenza è maturata durante gli anni di studi liceali classici a Treviglio (BG), quasi come una reazione mista al desiderio di voler meglio comprendere i meccanismi della vita delle istituzioni dello Stato e, più in generale, della pubblica amministrazione. Sull’impronta che mi hanno lasciato i docenti, vorrei citarne due: per gli anni liceali, sicuramente Amilcare Borghi che mi ha trasmesso l’amore per la cultura classica, il senso della bellezza e la passione per le arti, e per quelli universitari l’avvocato Ennio Amodio che mi ha aperto squarci incredibili sui sistemi processuali penali stranieri.
L’importanza del diritto amministrativo nell’ordinamento dello stato italiano. Ce ne può parlare?
Rispetto ai tempi in cui ho iniziato a lavorare come istruttore direttivo a Brugherio (MB) e poi a Melzo (MI), e si parla del lontano 1991, il sistema legislativo italiano è cambiato in modo incredibile e, tolti alcuni capisaldi di riferimento, l’intero meccanismo normativo non è più lo stesso di prima. Basti pensare che la legge caposaldo del diritto amministrativo, la Legge 7 agosto 1990 n. 241, è stata revisionata, aggiornata, modificata a più riprese, sia in conseguenza o in reazione a miriadi di interventi della magistratura amministrativa, e ancora adesso questa disciplina va ad intersecarsi con l’ordinamento comunitario, sempre più presente nel sistema normativo italiano. Basti pensare all’impatto causato dal Regolamento GDPR Ue n. 679/2016 sul trattamento dei dati personali: la nuova disciplina sulla privacy è entrata prepotentemente nell’attività delle pubbliche amministrazioni e, grazie ai puntuali e determinanti interventi del Garante, ha messo (giustamente) un freno decisivo alle diffusioni di tante e troppe informazioni sui dati e qualità personali dei singoli soggetti riportate negli atti amministrativi, spesso poi ripresi dai media.
Ventimiglia, Bajardo, Quiliano… : Lei tasta il polso di molti comuni delle provincie di Imperia e di Savona. Ci può partecipare qualche sua impressione su codeste località?
Sono luoghi diversi tra loro. Attualmente vivo in questa città, ma in modo limitato, essendo sempre in giro al lavoro tra i comuni. Bajardo, come pure gli altri comuni tra scavalchi e convenzioni, rappresenta una realtà di entroterra a confine in questo caso tra due valli: l’Armea e il Nervia. Forse è proprio questo concetto del confine che mi attrae: abito in una città di confine, e due comuni convenzionati (Airole e Olivetta San Michele) sono situati nella parte ligure della Val Roja ai confini con due comuni francesi (Sospel e Breil), mentre Castel Vittorio, situato nell’estrema Val Nervia, e dislocato lungo la viabilità interna diretta verso la Valle Argentina.
Diverso è il caso di Quiliano (un comune con grandissime potenzialità di sviluppo sostenibile, situato in una posizione strategica; il più grande e popoloso ente locale di entroterra di tutto il ponente ligure), nel quale sto vivendo un importante percorso professionale e umano, fatto di interventi, progetti, iniziative innovative, e che mi sta dando tantissime soddisfazioni.
Bacchetta in levare! Questo titolo di un suo libro fa arguire una competenza ed un amore per la musica, è vero? Giuseppe Verdi soleva ripetere che la grande musica comincia in levare.
Ascolto moltissima musica, anche quando scrivo. Quel romanzo, risalente al 2010, edito da Marco Valerio, rispondeva al desiderio di narrare una storia di solitudine che trova redenzione nella compagnia, nel fare musica insieme ai giovani, vissuta da un uomo anziano, rifugiatosi nell’entroterra ligure. E lo scoprire i fantasmi del passato, l’elaborazione del lutto familiare, attraverso l’ottava sinfonia di Anton Bruckner, si è rivelato per me una sfida non semplice.
Ha curato un volume su Alessandro Varaldo (1876-1953): giovincello, su una rivista del caro Silvio Sabatelli, attirai l’attenzione degli italianisti su questo scrittore intemelio troppo obliato…
È stato uno dei maggiori scrittori italiani di genere della prima metà del Novecento. Portano la sua firma decine di romanzi gialli che hanno avuto una diffusione elevatissima all’epoca. Ma Alessandro Varaldo era anche un funzionario pubblico, un uomo di Stato. Cresciuto presso la prefettura di Genova, venne infatti presto promosso al ministero dell’interno, con rilevanti incarichi, tra cui quello della nascita della SIAE. Personalmente ho voluto collaborare per la ripubblicazione di una trilogia narrativa storica di Ventimiglia, per far scoprire “l’altro” Varaldo, autore anche di ulteriori romanzi storici dedicati alla Liguria. Attualmente gran parte delle sue produzioni narrative è introvabile.
Com’è nata la sua passione scrittoria?
Scrivo dall’età adolescenziale. Ho imparato a usare una Lettera 32 Olivetti a otto anni. E ho scritto il mio primo romanzo a vent’anni, nell’estate 1984. Poi l’ho lasciato nel cassetto, e l’ho riscritto radicalmente nel 2004. Di seguito ho partecipato ad alcuni premi letterari, trovandomi a vincere il “Cava de’ Tirreni” nel giugno 2005. E pochi mesi dopo ho esordito proprio col romanzo rock “Taci, e suona la chitarra!” per Fratelli Frilli Editori nel mese di settembre 2005.
Come architetta e come appronta i suoi romanzi? Quali sono le molle ispiratrici?
Articoli di cronaca nera, inchieste, materiali vari. E tanta ricerca, con sopralluoghi, fotografie, mappe. E una progettazione narrativa preliminare, senza la quale rischierei di andare fuori strada. In questa direzione, è stato per me fondamentale il metodo appreso e sviluppato con l’editor Stefania Crepaldi, che mi ha aiutato tantissimo nel 2013/2014 a porre le basi per una serie di romanzi gialli-noir usciti proprio con Fratelli Frilli Editori dal mese di marzo 2018.
Parliamo dunque del ciclo del capitano Martielli…
Durante i miei tre anni di permanenza a Rapallo (settembre 2012 – luglio 2015), ho lavorato tantissimo sulla mia scrittura, leggendo decine e decine di romanzi gialli-noir di autori italiani e stranieri. E dopo essermi letto saggi, inchieste, rapporti investigativi reperiti su internet, è nato il ciclo della trilogia criminale del ponente ligure di confine, composto dai romanzi “Il venditore di bibite” (marzo 2018), “Destini in fumo” (giugno 2019) e “Ventimiglia riviera dei fuochi” (maggio 2020), tutti scritti proprio a Rapallo tra il 2013 e il primo semestre 2015. Decisivo è stato il supporto di Carlo A. Martigli, scrittore best-seller di fama internazionale, che ho conosciuto a Rapallo, e mi ha dato numerose indicazioni e suggerimenti preziosi. Assieme a Stefania Crepaldi, Martigli mi ha guidato nell’elaborazione di questa serie di romanzi noir di inchiesta, al punto tale da proseguire con i successivi episodi della serie, quando…
È giunto sulla scena il commissario Orengo. Ce ne può parlare?
Aspetti. Se sono riuscito a trovare una voce personale (dopo anni di un blocco voluto), lo devo anche e soprattutto ai consigli e incoraggiamenti dell’editore Marco Frilli. Già nel 2005 mi disse che potevo scrivere romanzi gialli-noir. Ma non ne ero certo. Eppure, quando mi è nato il personaggio del capitano Martielli, ho capito che il filone narrativo sarebbe stato differente: quello dei romanzi noir di inchiesta. Si tratta infatti di storie nere in cui l’intreccio complesso prende spunto dalla cronaca reale, e attraverso la finzione narrativa si racconta un territorio e una contestualizzazione che solo in parte la stampa e il mondo dell’informazione raccontano. Ma proprio durante la lavorazione di “Ventimiglia riviera dei fuochi”, è arrivata un’idea provvidenziale di Armando d’Amaro che mi ha lanciato l’idea di creare un altro personaggio parallelo, protagonista di una nuova serie. Da qui è nato il commissario Francesco Orengo.
Come mai questo nome e questo cognome?
Un omaggio alla frontiera e al confine. E a due grandi scrittori della seconda metà del Novecento, legati proprio alla Liguria dell’estremo ponente: Francesco Biamonti e Nico Orengo. Di conseguenza, il commissario Orengo doveva essere un uomo di entroterra, un ligure immerso nelle proprie radici, e che difende fino in fondo con forte passionalità (per certi versi, un po’ mi assomiglia), nonostante gli anni di gavetta ed esilio lavorativo passato tra Genova, la provincia di Bergamo e i luoghi del Piemonte. Un passato, quello del commissario laureatosi durante gli anni di apprendistato come poliziotto, e poi vincitore di concorso, che emerge pian piano nelle sue indagini.
E il primo episodio, “Delitto al Festival di Sanremo”, ha rappresentato una sorpresa.
Questo romanzo ha infatti ottenuto il premio speciale giallo-noir al premio Santa Margherita Ligure, e un forte interesse positivo dei lettori. Secondo me, le ragioni sono molteplici: un giallo al Festival di Sanremo, l’equivalente italiano della Notte degli Oscar o del Superbowl, non era mai stato pubblicato. E mi piaceva l’idea di sperimentare un territorio narrativo per me diverso, il giallo tradizionale, abbinato ad un’area piena di spunti, quella di Sanremo e del suo entroterra. Così è seguita, nel febbraio scorso, la pubblicazione, sempre per Fratelli Frilli Editori, del secondo episodio della serie: “Lo smemorato di Sanremo”, che prende spunto da una vicenda analoga accaduta negli scorsi anni a Ventimiglia, un giallo a sfondo sociale, con molti spunti generazionali, e sempre con l’evidenziazione di questa convivenza tra la costa ligure e il suo effetto glamour, da una parte, e questo affascinante e particolare mondo dell’entroterra, dove si beve Pastis e si gusta a tavola un buon piatto di cinghiale dei cacciatori. Attualmente sto lavorando al terzo episodio del ciclo del commissario Orengo, un giallo ambientato tra passato e presente, nel quale Sanremo avrà un ruolo fondamentale. Purtroppo i successivi romanzi del ciclo Martielli, peraltro già pronti, dovranno aspettare ancora…
Qual è la sua opinione sullo stato della cultura nel Ponente?
Parto da un episodio concreto: lo scorso anno a Quiliano il Comune e l’Anpi hanno inaugurato “Percorsi che resistono”, un progetto multimediale con cartelli lungo le strade urbane e campestri, e relativi codici bar-code collegati a produzioni video visibili sugli smartphone, e tutti finalizzati a far perpetuare la memoria dei partigiani e di coloro che hanno lottato e dato la vita per liberare l’Italia dalla dittatura nazifascista.
Invece nell’estremo ponente, e mi riferisco alla Val Nervia e alla Valle Armea, tolti i monumenti ai partigiani, non c’è nulla di tutto questo: eppure Italo Calvino ha combattuto, da giovane studente universitario finito in clandestinità, proprio in questi boschi e località dell’entroterra ligure di confine, dal quale sono scaturiti numerosi racconti e romanzi. Per intenderci, il castello del “Barone rampante” era quello di Isolabona, e il rio Merdanzo citato è proprio quello che scorre tra Apricale e Isolabona. E non parliamo poi del “Racconto di una battaglia”, che si riferisce proprio alla battaglia di Bajardo.
E questo è solo un esempio. Voglio dire che c’è davvero molto da fare, non solo per ridare rinnovato valore a figure come Calvino, come il troppo dimenticato Varaldo, ma anche e soprattutto per far scoprire il patrimonio storico e culturale del ponente ligure con le nuove tecnologie, col digitale, con differenti forme di comunicazione (pensate, ad esempio, ai Tik-toker come la comacchiese Vittoria Tomasi che fa scoprire i borghi e i luoghi più incantevoli dell’Emilia Romagna con milioni di visualizzazioni a livello mondiale). Si dovrebbe, a mio modesto parere, lavorare su una visione aperta e ampia che permetta di aprire gli orizzonti, verso una dimensione di maggiore conoscenza, di visione rivolta al futuro e con la ripresa attualizzata dei valori del passato.
Un partenariato importantissimo con il prestigioso Premio “Calvino” di Torino che, non a caso, ha scelto di collaborare con la Città di Quiliano (unico ente locale in Liguria, e ci tengo con orgoglio a sottolinearlo), fa capire che proprio in questo Comune gli spunti progettuali per un lavoro costruttivo e pieno di tante prospettive non mancano affatto. E sia chiaro: non è questione poi di avere tante o poche risorse in bilancio. Anzi, spesso sono le idee che fanno scaturire i progetti, e da qui le pratiche di finanziamento, e di conseguenza le possibilità di crescita territoriale dei singoli borghi. Ad esempio, nel 2002/2003 ho lavorato assieme all’allora sindaco di Dolceacqua Mauro Giordano per un progetto sfidante di recupero e restauro dell’antico castello dei Doria: con la partecipazione ad un bando dell’Obiettivo 2, Dolceacqua ottenne infatti due milioni di euro; nel progetto integrato si prevedevano, all’epoca, almeno venti nuovi posti di lavoro in più. Vent’anni dopo, a restauro completato, e con un castello visitato ogni giorno da turisti provenienti da tutto il mondo, ogni volta che passo per Dolceacqua e mi dirigo verso Castel Vittorio, noto con soddisfazione la crescita dei bed & breakfast, degli agriturismi, delle enogastronomie, e di tantissime attività di impresa che a loro volta si sviluppano con esiti eccellenti. E adesso Dolceacqua, già valorizzata nello stand italiano all’Expo di Dubai, si prepara al gemellaggio con Monaco, e a una serie di sfide e investimenti di livello internazionale, compresi i progetti correlati alla valorizzazione del vino Rossese (giustamente celebrato al recentissimo Vinitaly di Verona, a fianco della Granaccia di Quiliano).
Di conseguenza, occorre avere coraggio, piedi per terra e credere in una visione rivolta al futuro dei territori, valorizzando le loro peculiarità culturali, storiche, dei prodotti tipici, dunque dei patrimoni locali, esattamente come hanno fatto in Francia numerosi comuni in tutti questi anni. Ecco perché il lavoro svolto con persone di fiducia e qualità, come ad esempio, l’amico Roberto Grossi (già artefice di numerosi concerti dal vivo come quello dei Modena City Ramblers a Ventimiglia alta o di Diodato a Calice Ligure) – e che ritengo essere il vero erede di Roberto Coggiola, un fotografo e agitatore culturale che nei decenni scorsi ha dato tantissimo per il ponente ligure sia con il Club Tenco sia con le rassegne musicali d’autore a Dolceacqua – che ora dirige il “Premio Città di Quiliano per la canzone d’autore emergente” (ex Varigotti Festival), rappresenta un valore aggiunto, uno stimolo per crescere, non fermarsi all’ordinarietà e alla sola gestione corrente, ma per andare oltre con “lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Incontri memorabili. Ce ne vuole parlare?
Ce ne sono tanti e che fanno parte del mio vissuto. Penso ad una telefonata sorprendente di Carlo Maria Giulini (uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi) presso il comune di Pontirolo Nuovo (BG), nel lontano 1997, che mi ringraziò per un’email notturna spedita alla Sony Music Italia, nella quale gli esprimevo tutta la mia gratitudine per la sua meravigliosa e commovente versione discografica della “Missa D 950” di Franz Schubert. Ma più in generale ho cercato di cogliere dagli incontri con decine e decine di persone provenienti da mondi diversi (musicisti, scrittori, cantautori, ecc.) il lato positivo di ognuno, e soprattutto di apprendere spunti e idee per maturare, col tempo, una mia voce e uno stimolo nello svolgere la mia funzione di dirigente pubblico con un’impronta rivolta a superare le barriere del mero burocratismo, e a condividere e contribuire a sviluppare le progettualità di amministrazioni locali che credono nel futuro.
Lei in passato accennò ad una sua amicizia con Francesco Biamonti.
Non è stata un’amicizia, ma l’occasione di una serie di incontri casuali sul treno da Milano a Ventimiglia, quando tornavo dalla bassa pianura bergamasca. Biamonti conosceva la zia di mia moglie, anche lei insegnante, e così ci si trovava a parlare di tante piccole cose. All’epoca scrivevo testi giuridici, commentavo leggi, decreti, riforme per “Italia Oggi”, pubblicavo saggi di diritto di pubblica amministrazione per gli enti locali. Però lo stimolo a scrivere storie, racconti e romanzi, giunse proprio da Biamonti, che me lo ribadì durante un sabato pomeriggio nel 2000 in un bar di Soldano: a quell’epoca, Francesco stava lavorando al romanzo rimasto incompiuto (“Il silenzio”). Eppure volle rimanere ore e ore con me e mia moglie, raccontandoci tanto di sé, e continuando a stimolarmi sull’idea di scrivere romanzi.
Alla luce di quanto mi ha raccontato finora, qual è il progetto che accarezza?
Voglio proseguire in questo lavoro, ottenere nuove soddisfazioni e conquiste, con spirito positivo e costruttivo. E nel frattempo continuare a scrivere romanzi. Poi, dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, non mi dispiacerebbe dedicarmi a progetti editoriali con la mente più libera, sviluppando i percorsi condivisi con Armando d’Amaro e l’editore Carlo Frilli.
Secondo lei, che cos’è la felicità?
La soddisfazione di veder crescere tutto quanto ho seminato assieme al fondamentale supporto di mia moglie Chiara, sia nella vita di coppia e famiglia, con i nostri figli che vivono in un clima stimolante e aperto, sia in quella lavorativa sia in quella componente dedicata alle letture e scritture. E per il futuro, preferisco gustarmelo giorno dopo giorno, a mano a mano che i percorsi tracciati fanno emergere i risultati che sviluppo con costanza, continuità e serenità.
Grazie, egregio Dottor Maccapani, per aver accolto le mie domande. Auguro a Lei ed ai Suoi ore sempre serene.
Ci mancherebbe. Grazie a Lei per avermi dato la possibilità di raccontare il mio presente attuale.
Gian Luigi Bruzzone