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Il presidente Draghi e le sue sfide: il management pubblico contro il Cencelli


Appare abbastanza evidente che il Governo Draghi non sia il governo del risanamento istituzionale. Non ci sono iniziative visibili che vadano nella direzione di migliorare il rapporto tra i partiti e le istituzioni e nemmeno che riguardino la catena interrotta tra partiti e popolo, tra Paese legale e Paese reale.

di Sergio Bevilacqua

D’altra parte, la sua natura è emergenziale e queste esigenze richiedono una fase di maggiore tranquillità. Resta dunque ancora sullo sfondo il tema della gestione dei servizi: meglio la gestione diretta tramite strutture pubbliche o la gestione affidata a imprese private? Quasi tutti i servizi della pubblica amministrazione, dello Stato, possono esser gestiti per le due vie. E non c’è niente di nuovo nel considerare le due ipotesi, anche secondo un dosaggio tra loro. L’opzione make-or-buy (“lo faccio o lo compro?”) è una delle opzioni fondamentali di qualunque organizzazione moderna, pubblica o privata ed è al centro del dibattito gestionale italiano da almeno 25 anni.

Alla mia luce di tanta clinica, tanta chirurgia e tanto studio comparativo con altre realtà pubbliche di altri Stati, posso dire che non c’è evidenza che il meccanismo pubblico non possa gestire i servizi direttamente o in saggio bilanciamento con il privato (il quale risalta opportuno in particolare per le attività a reddito).

Il tema è la qualità del management pubblico, che in tutti i Paesi a democrazia matura funziona molto meglio che in Italia, sia che si abbia un approccio privatistico (speso in coincidenza con lo spoil-system anglo-americano) sia che si abbia un approccio alla francese, come anche il nostro, che peraltro è stato astutamente leso e ibridato dai politicanti assistiti dal formalismo leguleio, che per opportunismo professional-politico misconosce la natura di organismo degli enti pubblici.

Purtroppo, il dato della colonizzazione opportunistica delle funzioni operative del pubblico da parte di bande di eletti dipende non dal modello ma dalla professionalità con cui lo si pratica, che sia dell’un tipo o dell’altro.

Quindi, prima occorre conoscere e attuare il management pubblico, con le regole del caso, e poi, semmai, svolgere delle considerazioni di carattere socio-istituzionale per capire quale dei 2 modelli  fa al caso dell’Italia, anche se questa riflessione è già stata svolta negli anni ’90, e ha portato alla scelta del modello attuale (quello “alla francese“) non prima di lunghe riflessioni, ove l’aspetto socio-giudiziario aveva avuto peso rilevante (non mi riferisco soltanto a “mani pulite” ma anche alla situazione endemica di inquinamento da logiche e organizzazioni mafiose).

Quindi, il vero obiettivo è sviluppare cultura di management pubblico, sia a livello operativo che a livello amministrativo. Cosa che ovviamente non si fa col Cencelli e tanto meno con annessi sorrisi cinici, ma col serio lavoro e la sana civiltà politica.

Certo, chiedere razionalità democratica e amministrativa a chi ha fatto un governo per tenere buono il Parlamento e poi dirigerlo con un pugno di fedelissimi al fine di ottenere i risultati richiesti dalla sopravvivenza, non è proprio naturale… Aspettiamo fiduciosi che il vento cambi e che le sane istanze di organizzazione democratica di questa Repubblica si ripresentino con la forza che la civiltà italiana richiede.

Ma, intanto, vigiliamo.

Sergio Bevilacqua


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