Un’usanza che si perde nella notte dei tempi (forse addirittura pre-cristiana?): il pellegrinaggio che dai nostri paesi del ponente ligure si faceva verso il santuario della Madonna di Laghet (entroterra di Nizza), e durava alcuni giorni…L’arch imperiese Doc l’ha descritta per gli amici occitani di Ousitanio Vivo, che l’hanno pubblicata con la traduzione di Rosella Pellerino (http://www.espaci-occitan.org/news/news/e-anaviam-tuchi-a-la-madona-de-laguet-de-nica-roberto-amoretti/), ma in italiano è ancora inedita.
di Roberto Amoretti
…e tutti si andava alla Madonna del Laghet(to) de Nissa (vedi sito internet in francese…..).
Moun Espelido – Memòri e Raconte (Le mie origini – Memorie e Racconti) di Fréderic Mistral (apprezzato attraverso la traduzione di Alfredo Fabietti, nella preziosa riedizione anastatica della Compagnia del Birùn – Soulestrelh, Cuneo 2005) sono una fonte inesauribile di immagini e suggestioni, che illustrano e fanno rivivere l’anima autentica di una società rurale molto antica e complessa, dove comportamenti, modi di fare e di pensare (sedimentati nei millenni) venivano memorizzati e trasmessi attraverso la narrazione orale, con una continuità generazionale ininterrotta (interrotta solo da noi…).
“Ho avuto la fortuna, da bambino, di ricevere ricche porzioni di questo patrimonio immateriale da nonni, parenti e amici di famiglia, molti dei quali avevano visto nascere il ventesimo secolo (e avevano conosciuto persone che avevano visto Napoleone Bonaparte, che a loro volta…).
In particolare ricordo con affetto mia nonna paterna, Gerolama (Mietta) Giordano, classe 1889, di Pietrabruna (IM), ottima narratrice, che mi raccontava aneddoti e memorie della vita quotidiana della sua comunità, aneddoti e memorie che ho ritrovato pari pari nelle “Memorie” di Mistral. Quando Mistral descrive le allegre comitive che da Maillane (suo paese natale, vicino ad Arles) partivano per arrivare, in pellegrinaggio, “alla Madonna della Luce, a San Gent, a Valchiusa o alle Sante Marie…” (cit. pag.96), ho rivisto il pellegrinaggio che la comunità di Pietrabruna intraprendeva per arrivare, dopo tre giorni di cammino, alla Madonna di Laghet (entroterra di Nizza).
“Questo percorso, per nulla banale (la distanza tra Pietrabruna e Laghet, considerando le attuali strade carrabili, è di più di cento chilometri…) veniva ottimizzato attraverso la rete delle percorrenze preindustriali che innervava l’entroterra del ponente ligure e univa tutti i centri urbani, con una maglia viaria molto più complessa ed efficiente rispetto all’attuale schema “a pettine“, dove ogni valle ha un unico collegamento monodirezionato con la via costiera (l’intasatissima “Aurelia”), con rari collegamenti intervallivi.
“Si partiva all’alba da Pietrabruna (di solito ai primi di settembre, per arrivare al Laghet(to) nel “giorno della Madonna”: l’otto di settembre) e, attraverso il passo di san Salvatore, sulle pendici del monte Faudo (il “mille metri” più vicino al mare, sul crinale principale che collegava direttamente il mondo pastorale brigasco alla costa e utilizzato, come percorso, fin dalla preistoria), si entrava in valle Argentina.
“Scendendo nell’antichissimo bosco di leccio, si toccava la cappella detta la “Maddalena vecchia” (oggi pochi ruderi), si attraversava il torrente Argentina nei pressi di san Giorgio (vicino alla fortezza bizantina di Campo Marzio), e si risaliva l’altro versante, anch’esso boscato, passando dalla Maddalena “nuova” (nuova si fa per dire, con i suoi quasi mille anni di storia, da sempre curata e venerata dalla comunità di Taggia).
“Attraverso il passo del Merlo si scendeva nella valle di Ceriana, si passava di fianco alla cappella di sant’Anna e, a santa Lucia, si attraversava il torrente Armea. A Ceriana, altro centro antichissimo (preromano?), con forti legami con Pietrabruna, finiva la prima giornata del pellegrinaggio, e i prebenenchi si sistemavano per la notte, ospitati da parenti e amici (ospitalità ricambiata, a Pietrabruna, in occasione della festa “grande” di san Matteo, che durava parecchi giorni…).
“Il secondo giorno si lasciava Ceriana di buon’ora, e si saliva a san Giovanni (san Zane), sulle pendici del monte Bignone (altro “signore” alpino sopra i mille metri, in posizione dominante sul mare). Ancora oggi il grande prato intorno a san Zane si anima in occasione della giornata dedicata al santo (24 giugno), ma soprattutto nella notte della vigilia, con fuochi, canti e balli che arrivano da molto lontano…
“Si aggirava la cima del Bignone e, toccato san Romolo, dalla colla “dei termini” si scendeva a Perinaldo. Una preghiera a san Michele (appena fuori dal paese) e, attraverso le vigne delle “morghe” (ancora oggi la zona più vocata per la produzione del vino Rossese), si giungeva a Dolceacqua. Qui, chi aveva parenti o amici in grado di ospitare, si fermava per la notte, mentre molti continuavano (anche per ridurre la percorrenza del terzo giorno), attraversavano il torrente Nervia sullo spettacolare ponte in pietra a unica arcata, proprio sotto il castello e, passando da san Bernardo e san Lorenzo, raggiungevano l’ordinato fondovalle del Roja, alla confluenza con il Bevera, ricco di orti ben irrigati e, nei pressi dei piccoli nuclei di Trucco, Varase, Torri e Villatella, si sistemavano per la notte (vista la stagione estiva, poteva bastare anche un bel fico come tetto…).
“Il terzo giorno del pellegrinaggio iniziava con l’aspra salita al passo del Cornà (attuale confine italo-francese, attraversato, nell’ultima guerra, da centinaia di ebrei in cerca di salvezza…) e, da qui, giù a Castellar, poi di nuovo su a sant’Agnes e poi, sempre in salita, al passo della Madonna. Il nome non è casuale: dal passo ancora non si vede il santuario di Laghet, ma il pellegrinaggio è quasi ultimato! Meno di due ore di comoda discesa e si arriva al santuario.
“Ancora oggi, giungendo a Laghet, si respira un’aria particolare, si avverte la presenza di qualcosa di trascendente… D’altra parte il sito di Terra Amata (uno dei più antichi insediamenti umani che utilizzavano il fuoco per usi domestici, circa 400.000 anni fa) è a pochi chilometri, come pure il “Trofeo delle Alpi”(che invece ha “solo” 2.000 anni), voluto da Augusto per ricordare la vittoria (?) sulle tribù liguri, che probabilmente continuavano a guardarlo dall’alto in basso, incuriositi ma per nulla intimoriti…
Roberto Amoretti