Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La P2 a Savona con Teardo presidente. Il racconto. Interrogato tremava come una foglia, ma rispondeva con intelligenza e sicurezza. La dolcezza dei figli Daniela e Marco. Il questore piduista ‘spiava’ i giudici Del Gaudio e Granero


Il 9 novembre 1981 si insedia la commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica Propaganda 2, che accerta le sue trame “democraticamente” eversive. La commissione è presieduta con coraggio ed indipendenza dall’onorevole Tina Anselmi. Più che soffermarmi sugli aspetti criminali, vorrei esplorare l’umanità negli eventi.

di Michele Del Gaudio

Savona,primi anni ’80, cena – conferenza organizzata al Lions Club. Alberto Teardo quasi all’apice del potere: nel foto con il prefetto Giuseppe Condorelli, il sindaco socialista dr. Carlo Zanelli, il presidente dell’Ente provinciale del turismo dr. Giovannui Bono, il procuratore della repubblica dr. Camillo Boccia
L’inchiesta iniziò dopo l’esposto in Procura di  Renzo Bailini (compianto) massone ‘pentito’ di un loggia  di Imperia, pubblicista a Il Lavoro di  Genova, iscritto al Psi, figlio di un piccolo albergatore a Borghetto S. Spirito. Qui un altro giorno felice di Teardo negli spogliatoi del Savona Calcio (Leo Capello presidente) dopo un partita vittoriosa

Da giudice istruttore di Savona mi occupai di P2 dal 1981 al 1986. In particolare indagai su Alberto Teardo, iscritto alla loggia con tessera n. 341. Era presidente della Regione Liguria e stava per diventare deputato e ministro della marina. Nell’interrogatorio mi colpirono due cose: tremava come una foglia, ma rispondeva alle domande con intelligenza e sicurezza; in pochi secondi inventava balle che altri avrebbero partorito in due o tre ore di meditazione; e ad un primo esame apparivano anche attendibili! Ma gliele smontavamo una per una! Fu condannato a 12 anni di reclusione, poi ridotti a 8, per più di 300 reati: dalla concussione alla corruzione, dal peculato all’interesse privato, dalla truffa all’attentato dinamitardo…

E’ il 6 aprile 1983, conferenza stampa dell’on. Paolo Caviglia socialista, a poco più di due mesi  dai clamorosi arresti di Teardo e C.: qui con Leo Capello, i compagni di partito Riccardo Borgo e Carega mai coinvolti nella maxi inchiesta

Nel perquisire la sua abitazione mi impressionò l’assenza di porte. L’accesso ad ogni camera era libero, senza la minima ostruzione. Entrai nei suoi abiti: se odiava le porte, quanto soffriva chiuso in una cella? C’erano la figlia Daniela, adolescente con tonalità infantile annuvolata, e il figlio Marco, un ragazzino dall’atteggiamento malinconico, amareggiato, disilluso. Passerotti sorpresi dalle intemperie! La loro dolcezza inerme mi provocò un nodo alla gola: come avrebbero fatto la sera ad andare a letto senza salutare il papà? E la notte a sentirsi indifesi per la sua assenza? Ero io il colpevole della separazione! Ero io che avevo firmato il mandato di cattura! Perché nell’esercizio delle mie funzioni dovevo arrecare sofferenza? Perché per fare del bene dovevo fare del male? Questo dilemma mi ha sempre accompagnato! La tenerezza che provavo mi sollecitò a concedere loro più permessi di colloquio col padre di quelli consentiti e a dialogare quando venivano per presentare la richiesta. Chissà cosa fanno oggi, dopo quasi quarant’anni!

Franco Gregorio era alla segreteria generale della presidenza della Repubblica. Tessera P2 numero 803. Era un semplicione. Ritengo che sia stato intrappolato da Teardo e soprattutto dai suoi colonnelli con spiccata tendenza delinquenziale. Agiva con leggerezza, quasi senza avvertire la gravità delle sue condotte. Quando lo interrogai, sembrava che stesse chiacchierando al bar con gli amici. Nella sua superficialità mi chiese se avevo bisogno di qualcosa, perché lui…! Dal carcere poi! Lo rividi a Roma, quando ero deputato. Aveva scontato la pena. Mi invitò insistentemente ma educatamente ad un caffè. Il suo sguardo spontaneo stava per farmi cedere, ma declinai. Mi tese la mano, gliela strinsi. Si offri di nuovo di risolvere i miei problemi: conosceva Roma e i romani come le sue tasche. Gli augurai una buona vita.

Alberto Teardo e il questore Arrigo Molinari, due istantanee prima della retata

Arrigo Molinari, questore, tessera numero 767. Un uomo affabile oltremisura, come molti massoni, di una eleganza sobria, dalle narrazioni inverosimili a cui credeva fermamente. Intralciò la nostra istruttoria. L’Interpol ci aveva assegnato una squadra di agenti a supporto del nostro gravoso cammino investigativo. La comandava un commissario. Lo sorprendemmo mentre riferiva ogni nostro passo a Molinari. Lo allontanammo. Ci spiavano. E se a controllare era Arrigo, era la P2 a sorvegliarci!

Scoprimmo anche una loggia paramassonica italo francese, Les Anysetiers, che comprendeva alti magistrati, politici, funzionari, imprenditori operanti al di qua e al di là del confine. Non ne venne fuori nulla, salvo la comicità di alcuni titoli: un dirigente statale di Savona ricopriva la carica di Gran Balì.

Sì, ho sempre cercato i sentimenti anche dove per definizione non dovrebbero esserci.

I giudici istruttori Granero e Del Gaudio che firmarono gli ordini di cattura e che pochi mesi dopo si spostavano dalla vecchia sede di palazzo santa Chiara con un’auto blindata, la prima volta nella storia del tribunale di Savona

Uno dei più pericolosi accoliti di Teardo era Leo Capello. Ho sempre avuto repulsione per le manette… sempre ordinato di  toglierle ai detenuti in mia presenza… i carabinieri obbedivano malvolentieri per timore che fuggissero, ma io li tranquillizzavo con lo sguardo… Se c’erano familiari, venuti per vederli, toccarli almeno per un attimo, li lasciavo entrare nel mio ufficio… e spesso parlare da soli, con documenti riservati sulla scrivania: non è mai mancato nulla! Un giorno toccò a Capello. Mi pregò di salutare la moglie – continuava ad avvalersi della facoltà di non rispondere, quindi non era meritevole di trattamenti di favore –  ma lo accennò umilmente tremante, aspettandosi il no. Il mio sì spontaneo ed immediato lo commosse… gli porsi il fazzoletto: “Non si faccia vedere così dalla signora!”. Si asciugò gli occhi e me lo spedì per posta dal penitenziario. Molti anni dopo mi chiamò per strada: “Giudice, io la stimo… certo mi ha arrestato… ma era il suo dovere… È stato sempre umano con tutti noi… Auguri!”.

Ma dai delitti emergono anche gli ideali. Esistono tante persone pronte a rischiare per la verità. Come Tina Anselmi! Come Sandro Pertini! Prese le nostre difese con un comunicato ufficiale: «Il Presidente della Repubblica da due anni e mezzo ha troncato

Alberto Teardo il 24 novembre 1987 durante il processo d’appello a Genova con i difensori Vittorio Chiusano, affermato penalista torinese e dirigente della Juventus, con il collega genovese Silvio Romanelli. Massoni in logge diverse. Teardo risultava iscritto all’obbedienza di Pizza del Gesu, ma anche di Palazzo Giustiniani e alla P2.

ogni rapporto con i dirigenti della federazione del Psi, rifiutandosi di ricevere i rappresentanti… Il giorno stesso in cui apparve nell’elenco degli appartenenti alla P2 il nome di un impiegato distaccato al Quirinale, questi fu immediatamente allontanato dal Presidente». Fu una grande soddisfazione: in un clima incandescente di polemiche, accuse e linciaggio verbale nei nostri confronti, Pertini, il più amato dagli italiani, richiamò l’attenzione sulle responsabilità di Teardo e compagni e sulla nostra serietà professionale. L’onestà non ammette mezze misure!

Michele Del Gaudio

 

Genova, 24 novembre 1987 udienza del processo d’appello: Teardo coperto dalla mano sul volto, a fianco un coimputato minore Euro Bruno di Albenga, in basso il nipote di Teardo, Buosi; gli avvocati difensori Donato Cangiano e Fausto Mazzitelli, i giornalisti Marcello Zinola e Luciano Corrado (le foto sono dell’archivio  Trucioli.it)

 

 

 

 


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M. Del Gaudio

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