Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Intervista/ Maria Teresa Reineri già docente di Fisica a Torino. A Celle seconda casa, i ricordi dei personaggi. Ha visto ‘scomparire gli orti dei Piani. La collina invasa da condomini. Lo scempio da chi ne doveva avere più cura. E si continua’.


Maria Teresa Reineri, torinese, già docente di Fisica all’Università di Torino, studiosa, coltiva la passione per la storia ed ha approntato un mannello di pregevoli biografie di illustri personaggi e, sopra tutto, meritevoli di ricordo, oltre ai contributi scientifici concernenti la disciplina professata accolti su riviste scientifiche nazionali e foreste. Ma da sempre, durante i mesi estivi, diventa ligure ponentina.

di Gian Luigi Bruzzone

Cara Signora, ci vuol parlare un poco della sua famiglia?
Passeggiando nella Torino carlo-albertina abitata un tempo per lo più dai nobili piemontesi della Restaurazione, mi soffermo ogni volta ad ammirare un bel palazzo in stile neobarocco francesizzante, opera del rinomato architetto Camillo Riccio. Al quarto piano nacque mio padre nel giugno 1900, al piano della strada si apriva il grande emporio di vermouth e amari che mio nonno creava ed intitolava sovente a fatti gloriosi della storia sabauda, come il “Vermouth della Vittoria (1706-1906)”. Per via femminile mio nonno discendeva da G. Francesco Fiochetto, che fu protomedico di Carlo Emanuele I, salvò la città dalla peste del 1630 e fu nobilitato. Una famiglia cattolica fervente la mia, ammiratore di don Bosco il nonno, amico di Pier Giorgio Frassati mio padre, che non volle però continuare l’attività di famiglia dedicandosi (dopo la laurea in filosofia e pedagogia) all’insegnamento e al giornalismo.
La famiglia di mia madre era originaria delle valli di Lanzo: l’origine anglosassone è testimoniata dai documenti che risalgono al 1610 e dal cognome che si è tramandato nella forma originale: Davy. Noi fummo in cinque, tre prima della guerra e due sorelline dopo, che ora non ci sono più.
Suo padre era un famoso giornalista…
Sì, creò e diresse per oltre 25 anni la rivista teatrale “Boccascena“, fu membro del CLN, dopo la guerra riattivò le colonie marine, fu giornalista del “Popolo Nuovo“, etc. Tra le sue poche frequentazioni cellasche menziono l’ing. Silvio Volta, con cui discorreva sovente della possibilità di realizzare un porticciolo in zona, avendone sempre un diniego.
Suo padre costruì la simpatica villetta sulle alture dei Piani di Celle.
Mio padre fece costruire nel 1936 la casa in cui ancora abito (“la villetta bianca in cima alla collina / ridente al sole in faccia alla marina / è la dimora estiva dei Reineri …”) in previsione della seconda nascita in famiglia, la mia, 20 marzo 1937. Da allora trascorsi in questo paese le vacanze estive, e non solo. Quando iniziarono i grandi bombardamenti inglesi nel novembre 1942, abbandonammo Torino e ci rifugiammo qui. Il cibo scarseggiava, ma i miei riuscirono quasi sempre a sfamarci. Le colazioni a base di patate bollite, condite con il sale per i grandi, con un po’di zucchero per noi bambini, però erano frequenti.


Le immagini di guerra sono tante e tuttora vividissime: il soldato tedesco che saliva la lunga scala, fucile in spalla e cane lupo al guinzaglio, alla ricerca delle radio mimando una musica immaginaria, o, nelle notti in cui si cercava rifugio sotto gli olivi, il cielo illuminato dai traccianti e la contraerea incalzante, l’ufficiale che dava il braccio alla mia nonna ottantenne perché non avesse a scivolare. L’avvenimento che sconvolse il paese all’alba del 25 aprile 1945 e che ci svegliò, i letti coperti di vetro in frantumi, si stempera nella prima apparizione di soldati neri e sorridenti, che dall’alto dei loro blindati ci offrivano pagnotte di un candore inverosimile e cioccolato. Noi bambini, festanti, allungavamo le mani, ma con occhi sbarrati osservavamo contemporaneamente gli strani congegni che scalavano le macerie della collina scomparsa.


Ci vuol parlare dei suoi studi?
Mia madre, eccellente maestra, insegnò in paese: il primo anno agli “sciuscià” sfollati da Napoli ed ospitati nell’albergo “Quisisana, le cui eleganti linee liberty sono state spudoratamente cancellate; lamentava, ricordo, la fuga degli allievi dalle finestre del seminterrato: al termine delle lezioni pochi erano ancora presenti! Fu lei che mi preparò nell’estate 1943 a sostenere l’esame di ammissione alla seconda elementare; con me un compagno di giochi, Mario Perazzi [1937 – 2014], che affittava il primo piano della nostra casa (fu valente giornalista del “Corriere e marito di Paola Fallaci, sorella di Oriana). Frequentai la 2a, 3a, 4a con la maestra Clementina Mezzano; mio fratello Pier Costanzo (futuro avvocato) fu allievo del maestro Baodo in 5a e, alle medie, della professoressa poi moglie dell’on. Carlo Russo.
Per l’ultimo anno delle elementari tornai a Torino, scrutata con meraviglia dalle compagne per la spiccata cadenza ligure; ma più mi traumatizzò lo sguardo perplesso di una pescivendola dove ero stata mandata ad acquistare un chilo di sgombri: chiesi, come mi era naturale, dei “laserti”; la pescivendola chiamò a consulto il marito e, dopo un buon lasso di tempo, mi licenziò così: “Noi non vendiamo lucertole” (in piemontese sono dette “laserte”).
Aritmetica e latte ….
Usai la mia predisposizione alla matematica per risolvere ì problemi alimentari (mancanza di latte) per il fratellino Giorgio che a quei tempi contava poco più di due anni: alcune compagne abitanti ai Piani (e che in famiglia possedevano una mucca, ma erano in difficoltà nel risolvere i problemi di aritmetica) ci vendevano un quarto di litro di latte per sdebitarsi della mia gentilezza! Forse quel latte ha servito a creare il fisico di atleta che lo fatto primeggiare Giorgio sugli 800 metri e poi, da giornalista sportivo, iscritto all’albo dal 1971, raccontare con passione le imprese olimpiche e non solo?
Quali sono state le molle nella scelta della professione?
Dopo il liceo classico (il “Cavour” fu massacrante) scelsi il corso di studi che più mi attraeva, Fisica, avendo ben chiaro il proposito di dedicarmi alla ricerca; il corso era frequentato da pochissimi studenti, una quarantina, a prevalenza maschile. La laurea conseguita ventiduenne con il massimo dei voti (centodieci, lode e dignità di stampa) mi permise di ottenere una borsa di studio biennale per la specializzazione in Fisica nucleare (con cui però non avrei potuto mantenermi senza il sostegno familiare) e, successivamente, fui assunta nella sezione torinese dell’Istituto di Fisica nucleare. Poi la carriera procedette con soddisfazione ed “emozione”. Gli studi cui mi dedicavo sotto la guida del prof. Tullio Regge [1931-2014] (futuro premio Dirac) erano severi, ma mi davano enorme eccitazione: portavo il mio (infinitesimo) contributo alla comprensione dell’universo!
I ricordi più vividi degli anni d’insegnamento
Ebbi la fortuna di vivere i primordi dell’Informatica: fui direttore tecnico del primo centro di calcolo dell’Università di Torino (avevo contribuito alla scelta della mitica Elea 6001 Olivetti), partecipai alla nascita del corso di laurea relativo e approdai così all’insegnamento di materie specifiche dedicandomi, infine, alla cibernetica e alla teoria dell’informazione.
Negli anni Sessanta fui ospite di molti campus in Canada e negli U.S.A. incontrandovi coloro che avevano fatto esperienza prima di me: furono contatti stimolanti che mi formarono, ottimi maestri di una scienza nuova. Le pubblicazioni scientifiche accolte dalle riviste del settore o direttamente presentate ai Congressi nazionali e internazionali furono apprezzate ed estesero le mie collaborazioni a settori medici, particolarmente cardiologici.
Lasciai l’Università nel 2006 con qualche anno di anticipo (avevo comunque 44 anni di anzianità), quando mi resi conto che l’organizzazione (all’italiana) dei corsi di laurea voluti dalla riforma Berlinguer (la famigerata riforma 3+2) abbassava, anno dopo anno, il livello culturale dei neo laureati.
La Celle della mia infanzia e della mia giovinezza.

Le estati degli anni Cinquanta furono magiche. Tantissimi gli amici: Franco Reviglio della Veneria (futuro ministro e presidente dell’ENI) mi portava in motorino a ballare al mitico “Cabiria” sulle fasce digradanti sul mare dei Piani d’Invrea, Umberto Allemandi (abitava in casa nostra), ideatore del “giro di Francia” a biglie su pista di sabbia che costruivamo ogni pomeriggio imitando per quanto possibile l’andamento della tappa vera, e molti altri che sarebbero diventati uomini di cultura o imprenditori di successo (come Carlo [1934 – …] e Franco Debenedetti [1933 – …]). Purtroppo osservavamo con preoccupazione scomparire a ritmo frenetico i grandi orti dei “Piani”, sostituiti da case esteticamente grossolane e, dopo il pianoro, anche la prima collina fu invasa dai condomini che di suggestivo avevano il nome soltanto: “Villaggio degli olivi“!

Di pari passo cambiò la classe sociale dei villeggianti: molti amici traslocarono in zone di maggior prestigio verso la Riviera di levante, restarono coloro che avevano da difendere la vecchia casa, sordi alle proposte insistenti di vendita. Negli anni dell’Università il “mondo” ci attraeva, a Celle si andava solo per un breve saluto, ogni volta ricevendo, ahimè, una nuova coltellata: l’ultima villetta aveva lasciato il posto ad un nuovo condominio, i negozi dei “besagnin” erano inghiottiti inesorabilmente dalle catene dei supermercati e, poi, dai venditori magrebini. Ritornai, con continuità, assieme a mio marito all’inizio degli anni Settanta per allevarci nostro figlio, cui lasciai tutta la libertà di cui avevo goduto. Mi commuove sentirlo oggi rimpiangere “il tennis che esisteva dietro casa” o “il cinema in mezzo agli olivi”: mi dà gioia questo legame e spero che continui nel tempo.


La Celle odierna.
Le giornate settembrine ancora oggi mi riconciliano con Celle, anche se sono velate da una ricorrente malinconia; passata la sfuriata vacanziera furono sempre occasione per rivedere le antiche amicizie, cellasche e non, che la folla dell’estate mascherava. Compagne e compagni delle elementari (Rita e Costantino Bruzzone, Irene Grondona, Maria Teresa Arecco, Vittorio, Ettore, Aldo Bruzzone …) che non sono più.
La mia passione per soggetti della corte sabauda è sbocciata così…
Non ho pensato a “godermi la pensione in conversazioni salottiere”, né ebbi esitazione nello scegliere la futura attività: avevo in casa il ritratto di una giovane dama (manto di velluto blu con gigli di Francia) di cui ignoravo il nome: dovevo scoprirlo. Ci arrivai abbastanza agevolmente (data l’importanza del personaggio) e ne seguirono entusiasmanti giornate volte a conoscere tutto di lei: trascorsi giorni e giorni negli archivi torinesi e parigini, consultando faldoni di lettere politiche e non, memoriali, relazioni degli ambasciatori, giornali pettegoli e corrispondenze familiari. Produssi un testo che ancora oggi mi meraviglia.

Sì, ho letto la sua documentata, quanto pregevole e succosa, monografia su Anna Maria d’Orléans, regina di Sardegna, duchessa di Savoia. Le fa piacere presentare i suoi volumi storici?

Tutto quanto ho pubblicato nasce dalla curiosità di decifrare vuoi un particolare documento familiare (si conservava in casa copia del testamento di Giovanni Francesco Fiochetto) vuoi il vissuto di personaggi che andavo incontrando. La ricerca scientifica precedente è stata una guida per me: mai ho scritto qualcosa non documentata.


Stanno per uscire interessanti memorie della….
Sì, a giorni vedrà la luce l’ultima impresa, la sesta: è la traduzione e il commento del diario di una dama della corte di Carlo Alberto. Amo moltissimo questa donna: se un futuro lettore ne apprezzerà cultura e intelligenza, davvero singolare per l’epoca, potrò dirmi soddisfatta. Il titolo scelto (sono parole di lei) “A vent’anni ero bella”, nei miei intendimenti deve suggerire “la pausa di riflessione, il primo bilancio del proprio vissuto”.
Quali le sue impressioni sulla cultura del Ponente ligure?
Noto con piacere l’intensa attività di ricerca della Società Ligure di Storia Patria di cui sono costantemente informata: vorrei leggere tutto, ma quanto è poco il tempo a mia disposizione! Amo la Liguria “scarsa lingua di terra che orla il mare”. Sbarbaro: mi commuovo ad ogni suo verso. La terra che l’ha generato ha cultura e sensibilità. Penso ai racconti di Gaetano del Ghiare, alla pittura magistrale di Raffaele Arecco, all’arte fantasiosa di Eliseo Salino… Una sensibilità tuttavia difficile da percepire nel vissuto quotidiano. Ahimè, le cerchie familiari difficilmente si aprono ad accogliere il “foresto”.
Desidera partecipare qualche notizia sulla famiglia Praga, già sua vicina?
I Praga furono amici veri: l’avvocato dalla folta barba nera, all’apparenza burbero, era il più gioviale signore con noi bambini: organizzava recite e sciarade per intrattenerci e raccontava con intelligenza i tempi gloriosi della presa di Pola, tacendo sulle molte schegge che gli viaggiavano in corpo e che lo portarono ad una morte prematura. E veniva Cabruna, l’asso dell’aviazione, di cui conoscevamo le imprese, e che ci pareva impossibile poterlo ascoltare, semplicemente, sedendogli accanto. C’era la figlia Cicina (Corinna) che mi fu sorella maggiore nei giochi e nelle letture: possedeva tantissimi volumi della mitica “Biblioteca dei miei ragazzi” che mi nutrirono di sogni e di avventure. L’avevo sentita nell’autunno scorso e ci eravamo ripromesse di rivederci quest’anno. Se n’è andata in primavera, pochi mesi dopo Ferruccio, il fratello compagno di classe del mio. La sua sapienza storica mi fu molte volte di aiuto; conservo con amore i libri pubblicati, molti per Italia Nostra, ma anche amo rileggere “Tempo dell’altr’ieri”, racconto della sua infanzia a Genova e a Celle in cui faccio capolino anch’io.

Con orgoglio affermo (ogni volta che mi capita l’occasione di far sfoggio di erudizione) essere la stradetta che corre a monte sulla Crocetta una strada romanica, orrore chiamarla romana, come tanti anni fa Corinna mi spiegò al termine di studi severi.

Celle è anche fonte di rincrescimento: non posso non lamentare giornalmente lo scempio che è stato fatto al paese da chi ne doveva avere più cura. E che continua.

Cara Prof. Maria Teresa Reineri, Le sono grato per aver accolto le mie domande: Auguro a Lei, a suo fratello Giorgio e a sua Cognata ore sempre serene e quanto desiderano. Viva noi! 

Gian Luigi Bruzzone

 


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