In un sistema culturale e sociale spesso legato a dati monoculturali (olivo, castagno) intorno ad una particolare pianta si costruiva un mondo di relazioni sociali e culturali nonché un sistema agricolo basato spesso sull’utilizzo degli elementi esistenti nel territorio allo scopo di regolare il sistema delle acque e di ottenere terreno coltivabile.
di Danilo Bruno

Sul sito di Slow Food (www.slowfood.it/Liguria/) si ritrova una buona descrizione dei tecci e del loro utilizzo,che ancora oggi avviene in Alta Valle Bormida (Murialdo,Bardineto e Calizzano) ove è nato il relativo presidio.
“I seccatoi, o tecci, sono piccole costruzioni in pietra di un solo locale con il tetto di scandole. All’interno,all’altezza di due o tre metri da terra, un soffitto di graticci in legno, la graia, permette al calore e al fumo di raggiungere le castagne. Ancora oggi nei castagneti dell’Alta valle Bormida, si trovano tecci attivi nascosti fra alberi secolari.Dopo la raccolta, le castagne ,prevalentemente della varietà Gabbina (o Gabbiana) , si pongono sui soffitti a graticcio, sopra un fuoco basso e costante alimentato dalla potatura dei castagni o dalla pula.A mano a mano che procede la raccolta gli strati aumentano:in totale l’affumicatura si protrae per due mesi circa.Al termine delle varie fasi di raccolta, le castagne si girano,portando quelle inferiori allo strato superiore per rendere uniforme l’affumicatura. Dopo questa operazione , detta “girata”,le castagne sono esposte al fumo ancora per cinque,dieci giorni e poi battute per eliminare la scorza”.

Si trattava comunque di un sistema di lavorazione, che nei secoli passati si trovava in tutte le aree vocate al castagno da Caprauna (CN), a Pieve di Teco (IM) dove ancora oggi si giunge in zone boscate e si trovano edifici, che costituiscono gli ultimi resti di una antica civiltà legata dal punto di vista socio-economico-culturale al castagno.
Oggi,come è già stato pubblicato su Trucioli.it, le aree interne possono trovare le loro ragioni di esistenza solo se a coloro che vi si vanno ad insediare non vengono richieste specifiche volontà di sacrificio e una particolare vocazione al martirio quanto piuttosto sono offerti servizi, strade e connessioni adeguate in modo da poter svolgere anche la propria attività dal borgo ove si risiede e in modo che gli antichi borghi possano ritrovare le grida di bambini e bambine e non solo le campane a morto delle chiese (cito a memoria dal Manifesto per l’entroterra elaborato dallo specifico gruppo di lavoro di Europa verde, di cui faccio parte) .

In ultimo voglio solo ancora una volta rammentare come nel 1996 insieme all’assessore Aicardi in Provincia tentammo di fare una promozione della Valle Bormida integrata con la parte piemontese, che non fu capita in toto, nè localmente, nè a livello regionale, con il risultato che all’Alta valle Bormida è rimasto il presidio Slow Food (almeno quello) oltre ad ACNA, Diga di San Giuseppe, ex cartiera di Murialdo,...mentre Langhe, Monferrato e Roero , con cui avevamo cominciato a collaborare, sono diventate Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Danilo Bruno